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Parigi, 10 ottobre 1610 – Canada, 17 marzo 1649
In un contesto di colonizzazione europea del Nuovo Mondo, caratterizzato da interessi politici, economici e di sfruttamento, emerge l'opera di missionari come i Gesuiti e i Francescani, che in Canada diffusero il Vangelo e i principi cristiani tra le popolazioni locali. Tra questi, un gruppo di otto sacerdoti e fratelli coadiutori gesuiti, tra cui Gabriele Lalemant, si spinse nelle terre americane, incontrando difficoltà e ostilità. La loro opera di evangelizzazione, condotta con il metodo di "farsi selvaggi fra i selvaggi", si rivolse principalmente alla tribù degli Uroni. Tuttavia, la guerra tra Uroni e Irochesi portò al martirio di questi missionari, che con il loro sacrificio diedero nuovo vigore alla colonia cattolica. La loro beatificazione e canonizzazione avvenne nel 1925 e 1930. La storia di Gabriele Lalemant, in particolare, esemplifica la dedizione e il coraggio di questi missionari di fronte alle avversità. La sua "passione", avvenuta il 17 marzo 1649, rimane una testimonianza di fede e speranza.
Martirologio Romano: Nel territorio degli Uroni in Canada, passione di san Gabriele Lalemant, sacerdote della Compagnia di Gesù, che con strenua dedizione diffuse l’anuncio della gloria di Dio nella lingua delle popolazioni del luogo, prima di essere tratto da alcuni ostili idolatri a crudelissimi supplizi. La sua memoria si celebra unitamente a quella dei suoi compagni il 19 ottobre.
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Se nel colonizzare il Nuovo Mondo, come veniva chiamato il Continente Americano, si attivarono più o meno con interessi politici, economici e di sfruttamento coloniale, Inglesi, Francesi, Spagnoli, cioè le grandi Potenze dell’epoca, vi furono di pari passo, altri uomini appartenenti a Congregazioni religiose di antica fondazione, oppure che si costituirono negli anni successivi, che portarono la luce del Vangelo ed i principi cristiani, alle popolazioni locali.
Quindi essi costituirono l’altra faccia della colonizzazione, non portarono guerra, violenza, sfruttamento, ma solidarietà umana e spirituale, aiuti sanitari, istruzione, accoglienza per i più disagiati e deboli, che non mancano mai in ogni angolo della Terra.
E nell’America Settentrionale e precisamente in Canada, al confine con gli Stati Uniti, arrivarono come seconda generazione di Missionari, i padri Gesuiti ed i Francescani. Fra i Gesuiti vi fu un gruppo di otto sacerdoti e fratelli coadiutori, che a gruppetti o singolarmente, si spinsero nelle inesplorate e vastissime terre americane, tra immense foreste e laghi grandi come mari.
Il loro apostolato si svolse primariamente fra i “pellerossa” della zona; compito non facile, visto il loro carattere sospettoso e mutevole; i primi successi relativi, si ebbero con la tribù più vicina degli Uroni; i Gesuiti usarono il metodo di farsi “selvaggi fra i selvaggi”, cioè adottare e adattarsi agli usi e costumi locali, avvicinandosi alla mentalità degli Indiani, cercando di comprendere le loro debolezze, riti, superstizioni.
Ma dopo il 1640, la tribù degli Uroni fu attaccata ferocemente da quella degli Irochesi, per natura più combattivi e crudeli, più intelligenti e perspicaci e dotati di veloci cavalli; la guerra tribale fu violenta, portando allo sterminio quasi totale degli Uroni e annullando così l’opera dei missionari.
E nel contesto di questa guerra fra Uroni ed Irochesi, persero la vita gli otto martiri gesuiti, che in varie date testimoniarono con il loro sangue la fede in Cristo, suscitando negli stessi Irochesi, una tale ammirazione di fronte al loro coraggio, nell’affrontare le crudeli e raffinate sevizie, che usavano per torturare i loro nemici, da giungere a divorare il cuore di alcuni di loro, per poterne secondo le loro credenze, assimilare la forza d’animo ed il coraggio.
E come si diceva degli antichi martiri cristiani: “Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”, così il loro sacrificio non fu inutile, perché nei decenni successivi, la colonia cattolica riprese vigore e si affermò saldamente in quei vasti Paesi.
I martiri furono beatificati il 21 giugno 1925, dal grande ‘Papa delle Missioni’ Pio XI e dallo stesso pontefice canonizzati il 29 giugno 1930. Citiamo i loro nomi:
Sacerdoti Antonio Daniel († 1648), Giovanni De Brébeuf, Gabriele Lalemant, Carlo Garnier, Natale Chabanel († tutti nel 1649); fratello coadiutore Renato Goupil († 1642), sacerdote Isacco Jogues e il fratello coadiutore Giovanni de la Lande († 1647). Ricorrenza liturgica per tutti al 19 ottobre.
Gabriele Lalemant nacque a Parigi il 10 ottobre 1610, da distinta famiglia; sotto l’aspetto debole e quasi fragile, nascondeva un’anima ardente e generosa.
A 20 anni entrò nella Compagnia di Gesù e mentre studiava per sacerdote, si preparava per diventare missionario, chiedendo di essere inviato nella Nuova Francia, come allora si chiamava il Canada; con il permesso dei Superiori, fece anche il voto di essere sempre al servizio degli indigeni.
Dopo essere stato ordinato sacerdote, fu incaricato dell’insegnamento nel Collegio di Moulins e poi a Bourges; nel 1646 furono accettate le sue insistenti richieste e quindi il 20 settembre 1646 giunse a Québec.
Il Superiore della Comunità gesuitica di tutta la Missione, che era suo zio Girolamo Lalemant, conoscendo la natura gracile ed impressionabile del nipote, lo trattenne con compiti da svolgere in città.
Solo nel luglio 1648 lo affiancò al padre Giovanni de Brébeuf, come missionario nel villaggio di Sant’Ignazio, nel territorio degli Indiani Uroni.
Svolse con tenacia il suo apostolato fra queste popolazioni, restie al cambiamento dei loro riti, per una religione che non comprendevano; per poterli avvicinare imparò egregiamente la loro ostica lingua.
Il 16 marzo 1649, gli Uroni furono assaliti dai feroci Indiani Irochesi, i quali massacrarono quanti potevano e catturando i missionari; padre Giovanni de Brébeuf fu torturato a lungo e poi ammazzato (vedere scheda propria), padre Gabriele Lalemant, fu torturato subito dopo, con ferocia ancora maggiore, prolungando i suoi tormenti dalle diciotto fino alle nove del mattino successivo del 17 marzo; quando visto che alzava gli occhi al cielo per chiedere conforto a Dio, i carnefici glieli strapparono e nelle orbite vuote posero dei carboni ardenti.
Alla fine un selvaggio, stanco di vederlo soffrire così a lungo, con la scure fracassò la testa dell’intrepido martire. Poi apertogli il petto, ne strappò il cuore divorandolo e sorbendone il sangue, perché secondo le loro credenze, avrebbe assimilato in questo modo la forza e il coraggio dimostrati dal missionario.
La sua personale ‘passione’ è ricordata al 17 marzo.
Autore: Antonio Borrelli
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