Nel 1825, le reliquie di San Massimo giunsero a Cravagliana, donate da Don Giovanni Juva in memoria dello zio, primo pievano del paese. La traslazione e la sistemazione del corpo santo nella chiesa parrocchiale, documentate con dovizia di particolari, offrono spunti di riflessione sulla persistenza del culto dei santi e sul suo adattamento alle esigenze pastorali dell'Ottocento. La sostituzione dell'altare di San Giuseppe con l'urna di San Massimo, figura ritenuta più adatta alla devozione popolare in un'epoca di secolarizzazione, evidenzia il mutare del sentire religioso. La solenne processione del 1930 e le celebrazioni eucaristiche periodiche testimoniano la vitalità del culto.
|
Il corpo santo di Massimo, di nome proprio, venne recuperato nel 1825 dalla catacomba di Ciriaca e fu donato alla comunità di Cravagliana da don Giovanni Juva, originario di Cervatto e canonico della cattedrale di Torino, in ricordo di suo zio don Spirito Antonio Juva, anch’egli di Cervatto, che fu il primo parroco del paese a portare, dal 1788, il titolo di pievano.Giunta in paese la reliquia fu oggetto di un’attenta ricognizione nella sacrestia della chiesa parrocchiale, alla presenza del delegato vescovile don Giacomo Pomi, nativo del posto e parroco a Camasco, di don Giovanni de Mattei parroco ad Ornavasso e del parroco di Sabbia don Giovanni Antonio Bertolio. Dopo un’accurata indagine anatomica compiuta dal dottor Lana, di cui è presente la relazione nei documenti d’archivio, i resti, molto frammentari, vennero inseriti nei quattro arti e nella maschera della figura in cera appositamente realizzata per contenerli, conferendo così all’insieme le sembianze di un corpo umano. Il manichino fu poi rivestito da un costume di soldato romano, offerto, come l’addobbo dell’urna in cui è conservato, da Giovanni Reffo di Ferrera. Per la sistemazione della reliquia venne completamente smantellato l’altare di San Giuseppe e si sacrificò tutta la decorazione barocca della cappella, opere volute e realizzate, non molti anni prima, proprio da colui in memoria del quale fu donato il corpo santo. Questo modo di procedere può sembrare contraddittorio, in realtà ribadisce il grande valore e l’importante significato attribuito, ancora nell’ottocento, ai corpi santi, presenti non solo in particolari e prestigiosi luoghi di culto ma diffusi ormai anche nelle piccole parrocchie periferiche. E’ un aspetto che tocca anche l’ambito delle esigenze pastorali di un dato momento storico e sociale, per le quali evidentemente era più importante la presenza concreta di una reliquia di un presunto martire dei primi secoli, rispetto al modello di santità offerto da Giuseppe; quest’ultimo, infatti, pur personaggio non leggendario, attivo e presente nei vangeli, risultava figura troppo discreta da proporre all’attenzione devozionale dei fedeli, in un’epoca di dilagante laicismo e liberalismo politico anticlericale. Nella parete della cappella fu così realizzato un loculo in cui venne sistemata l’urna sopra al quale fu però conservato il quadro, realizzato dal pittore Corvetti nel 1766, che riproduce la morte di San Giuseppe. Una solenne celebrazione pubblica in onore del presunto martire è stata la ricorrenza centenaria della sua presenza, tenutasi il 25 maggio 1930, con processione per le vie del paese, mentre il ricordo annuale viene celebrato in una domenica all’inizio del mese di giugno. La venerazione riguardo al corpo santo di Massimo si è manifestata anche a livello personale tra i fedeli, sia con l’imposizione del suo nome a diversi individui, sia nella commissione di celebrazioni eucaristiche all’altare dove ne riposano i resti, pratiche ancora presenti in seno alla comunità parrocchiale.
Autore: Damiano Pomi
|