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Blinisht, Albania, 2 dicembre 1906 – Scutari, Albania, 4 marzo 1946
Daniel Dajani, allievo del Seminario di Scutari dall’adolescenza, entrò ventenne nella Compagnia di Gesù. Si dedicò in particolare all’insegnamento in Seminario e all’istruzione religiosa degli abitanti dei paesi in montagna. Il 31 dicembre 1945 venne arrestato dalla polizia del regime comunista albanese insieme al confratello padre Giovanni Fausti; sottoposto a torture, non perse mai la calma e la fede. A seguito di un processo-farsa, venne condannato a morte insieme al confratello padre Giovanni Fausti, al francescano GjonShllaku, al seminarista Mark Çuni e ai laici GjeloshLulashi eQerimSadiku: la sentenza fu eseguita il 4 marzo 1946,presso il cimitero cattolico di Scutari. Insieme ai suoi compagni di martirio, è stato incluso nell’elenco dei 38 martiri albanesi beatificati il 5 novembre 2016 a Scutari.
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Gesuita albanese di nascita
Daniel Dajani nacque il 2 dicembre 1906 a Blinisht, nella pianura di Zadrine, a sud-est di Scutari in Albania. Ad appena dodici anni entrò nel Pontificio Seminario di Scutari, diretto dai padri della Compagnia di Gesù.
A 20 anni, l’8 luglio 1926, entrò nel Noviziato dei Gesuiti a Gorizia, poi studiò filosofia dal 1931 al 1933 a Chieri. Insegnò nel Seminario di Scutari dal 1934 al 1935, per ritornare a Chieri, dal 1937 al 1939, per studiare Teologia e ricevere, il 15 luglio 1938, l’ordinazione sacerdotale.
Nel 1940 ritornò nel Seminario di Scutari come professore e s’impegnò nell’attività pastorale della “missione volante”. Si trattava di un’attività di apostolato dedicata specialmente all’istruzione religiosa e alla riconciliazione tra i clan familiari nei paesi di montagna.
Il 2 febbraio 1942 fece la sua professione religiosa. Proseguì per tre anni nel suo compito d’insegnante e di pacificatore.
L’inizio della persecuzione
Intanto l’Albania, scossa dalla seconda guerra mondiale, era occupata dai tedeschi. Quando le truppe di Hitler si ritirarono alla fine del 1944, subentrarono al potere i partigiani comunisti comandati da EnverHoxha, che presero a mettere in atto una campagna di discredito e soprusi nei confronti dei cattolici.
Si accanirono in maniera particolare contro i vescovi, i francescani e i Gesuiti; questi ultimi perché, attraverso l’educazione dei giovani, contribuivano alla formazione culturale delle classi dirigenti del Paese, specie nel Nord.
Padre Daniel, che avrebbe voluto proseguire con i suoi viaggi di riconciliazione, venne nominato Rettore del Seminario di Scutari,nel settembre 1945. Il suo atteggiamento sereno e la sua fermezza erano particolarmente lodati dai suoi studenti, che rassicurava soprattutto mediante le sue azioni.
L’arresto
Nel mese di dicembre uno degli studenti del Seminario, FranGaçi, morì in casa propria, dopo essere stato torturato dalla Sigurimi (la polizia segreta) e rilasciato. Il 31 dicembre, insieme a padre Giovanni Fausti, da otto mesi viceprovincialedei Gesuiti in Albania e suo predecessore come rettore, si recò nel villaggio d’origine del giovane, per una Messa di suffragio: nell’omelia, dichiarò apertamente che chiunque volesse seguire le orme diFranGaçi dovesse essere fiero di morire per la fede cristiana.
La sera stessa, appena tornati a Scutari, i due sacerdoti vennero arrestati. Padre Daniel fu tenuto in isolamento per due mesi e, anche in seguito, fu sottoposto a torture. Non si abbatté mai né si disperò, ma continuò a pensare agli altri prigionieri.
Il processo
Nel gennaio 1946, insieme ad altri prigionieri, venne sottoposto a un processo che, in realtà, aveva la conclusione già scritta. Padre Daniel, con i segni delle torture ancora visibili sul volto, rispose con fermezza alle accuse che venivano rivolte a lui e agli altri: la principale, quella di essere politicanti traditori della nazione, asserviti agli occidentali e spie del Vaticano. Ad essa si aggiungeva quella di essere i capi dell’Unione Albanese: in realtà, era lo pseudonimo con cuii seminaristi Mark Çuni e Gjergj Bici avevano firmato alcuni volantinicon cui avevano cercato di contrastare la propaganda comunista, stampati in proprio e senza farne parola con i superiori.
Sul finire del processo, uno dei giudici militari gli si rivolse per l’ultima volta: «Voi credete in Dio e in suo figlio Gesù Cristo?». Il gesuita rispose: «Io credo sin dalla mia infanzia e sono pronto a morire per rendere testimonianza della mia fede».
Con sarcasmo, l’altro replicò: «Vedremo se questo Gesù Cristo salverà la vostra testa dalla giustizia del tribunale popolare!». Il sacerdote, senza scomporsi né alzare il tono, proseguì: «Io e i miei compagni consideriamo un privilegio morire per Gesù Cristo, perché il nostro sacrificio sarà fonte di nuovi martiri della fede cristiana», aggiungendo: «Forse un giorno il popolo capirà quale errore è stato commesso». Pronunciò quindi la sua estrema difesa: «Non chiedo pietà, ma giustizia di fronte a questo tribunale».
Il martirio
Il 22 febbraio 1946 vennero lette le sentenze. Otto furono i condannati a morte per fucilazione: padre GjonShllaku, padre Giovanni Fausti, padre Daniel Dajani, i seminaristi Mark Çuni e Gjergj Bici, i laici GjeloshLulashi, FranMirakaj e QerimSadiku. Gli altri furono invece destinati al carcere, per un periodo che poteva andare dai cinque anni all’intera vita, di fatto, se avessero anche minimamente trasgredito. Per Gjergj Bici la sentenza venne poi cambiata in anni di lavori forzati, mentre FranMirakaj risulta che sia morto nel settembre 1946.
All’alba del 4 marzo, i sei rimasti furono trasportati al cimitero cattolico di Scutari, luogo della loro esecuzione. Alle 6 in punto venne dato l’ordine di fare fuoco agli otto soldati del plotone, armati di mitragliatrici.
Padre Daniel pronunciò quindi le sue ultime parole: «Perdono tutti coloro che mi hanno fatto del male. Sono contento di poter morire da innocente piuttosto che da colpevole. Che i miei genitori offrano dei soldi a padre ZefShllaku per celebrare due Messe per me». Il grido comune dei condannati fu: «Viva Cristo Re! Viva l’Albania!».
La fama di santità e la beatificazione
La notizia del martirio di padre Daniel Dajani e dei suoi compagni si diffuse celermente in tutto il mondo cattolico, suscitando dolore e stupore. Il 31 ottobre 1947 morì un altro gesuita, il fratello laico GjonPantalia.
Poco dopo l’esecuzione dei padri Dajani e Fausti, il regime abolì le istituzioni gesuite e sciolse ufficialmente la Compagnia in Albania. Nel 1990, dopo le prime aperture alla vita religiosa, tornò una prima missione.
Nell’elenco di 38 martiri uccisi sotto il regime comunista in Albania e capeggiati dal vescovo VincençPrennushi, figurano anche padre Daniel Dajani e i suoi compagni. Sono stati tutti beatificati il 5 novembre 2016 nella piazza davanti alla cattedrale di Santo Stefano a Scutari.
Autore: Antonio Borrelli ed Emilia Flocchini
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