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Cordoba, Portogallo, 1578 – Sendai, Giappone, 22 febbraio 1624
Missionario gesuita portoghese, nel 1594, all'età di 23 anni, partì per il Giappone, dove iniziò la sua opera di evangelizzazione. Si dedicò alla conversione dei giapponesi, fondando numerose chiese e scuole. Fu anche un grande amico dei poveri e degli emarginati, e si batté per la giustizia sociale. Nel 1614, in seguito alla persecuzione dei cristiani decretata dallo shogun Ieyasu, Carvalho fu arrestato e condannato a morte. Fu decapitato nel 1624, insieme a 26 compagni.
Martirologio Romano: Nella città di Sendái in Giappone, beato Diego Carvalho, sacerdote della Compagnia di Gesù e martire, che, dopo gli oltraggi, il carcere e i faticosi viaggi compiuti in pieno inverno, sottoposto infine al supplizio dell’acqua ghiacciata, con intrepida fede confessò Cristo insieme a molti compagni.
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I Gesuiti con s. Francesco Saverio (1506-1552) furono i primi ad incominciare l’evangelizzazione del Giappone, che si sviluppò con notevoli risultati nei decenni successivi al 1549, tanto che nel 1587 i cattolici giapponesi erano circa 300.000, con centro principale a Nagasaki.
Ma proprio nel 1587 lo ‘shogun’ (maresciallo della corona) Hideyoshi, dai cristiani denominato ‘Taicosama’, che fino allora era stato condiscendente verso i cattolici, emanò un decreto di espulsione contro i Gesuiti (allora unico Ordine religioso presente nel Giappone) per delle ragioni non chiarite.
Il decreto fu in parte eseguito, ma la maggior parte dei Gesuiti rimase nel paese, mettendo in atto una strategia di prudenza, in silenzio e senza esteriorità, continuando con cautela l’opera evangelizzatrice.
Tutto questo fino al 1593, quando provenienti dalle Filippine sbarcarono in Giappone alcuni Frati Francescani, i quali al contrario dei Gesuiti, iniziarono senza prudenza una predicazione pubblica, a ciò si aggiunsero complicazioni politiche tra la Spagna e il Giappone, che provocarono la reazione dello ‘shogun’ Hideyoshi, che emanò l’ordine di imprigionare i francescani e alcuni neofiti giapponesi.
I primi arresti ci furono il 9 dicembre del 1596 e i 26 arrestati, fra cui tre gesuiti giapponesi, subirono il martirio il 5 febbraio 1597, i protomartiri del Giappone furono crocifissi e trafitti nella zona di Nagasaki, che prese poi il nome di “santa collina” e proclamati santi da papa Pio IX nel 1862.
Subentrato un periodo di tregua e nonostante la persecuzione subita, la comunità cattolica aumentò, anche per l’arrivo di altri missionari, non solo gesuiti e francescani ma anche domenicani e agostiniani.
Ma nel 1614 la numerosa comunità cattolica subì una furiosa persecuzione decretata dallo shogun Ieyasu (Taifusama), che si prolungò per alcuni decenni distruggendo quasi completamente la comunità in Giappone, causando moltissimi martiri, ma anche molte apostasie fra gli atterriti fedeli giapponesi.
I motivi che portarono a questa lunga e sanguinosa persecuzione, furono vari, a partire dalla gelosia dei bonzi buddisti che minacciavano la vendetta dei loro dei; poi il timore di Ieyasu e dei suoi successori Hidetada e Iemitsu, per l’accresciuto influsso di Spagna e Portogallo, patria della maggioranza dei missionari, che erano ritenuti loro spie, per gli intrighi dei violenti calvinisti olandesi e infine per l’imprudenza di molti missionari spagnoli.
Dal 1617 al 1632 la persecuzione toccò il picco più alto di vittime; i supplizi secondo lo stile orientale, furono vari e raffinati, non risparmiando nemmeno i bambini; i martiri appartenevano ad ogni condizione sociale, dai missionari e catechisti, ai nobili di famiglia reale; da ricche matrone a giovani vergini; da vecchi a bambini; dai padri di famiglia ai sacerdoti giapponesi.
La maggior parte furono legati ad un palo e bruciati a fuoco lento, cosicché la “santa collina” di Nagasaki fu illuminata sinistramente dalla teoria di torce umane per parecchie sere e notti; altri decapitati o tagliati membro per membro.
Non stiamo qui ad elencare le altre decine di tormenti mortali cui furono sottoposti, per non fare una galleria degli orrori, anche se purtroppo testimoniano come la malvagità umana, quando si sfrena nell’inventare forme crudeli da infliggere ai suoi simili, supera ogni paragone con la ferocia delle bestie, che perlomeno agiscono per istinto e per procurarsi il cibo.
Oltre i primi 26 santi martiri del 1597 già citati, la Chiesa raccogliendo testimonianze poté riconoscere la validità del martirio per almeno 205 vittime, fra le migliaia che persero la vita anonimamente e papa Pio IX il 7 luglio 1867 poté proclamarli beati.
Dei 205 beati, 33 erano dell’Ordine della Compagnia di Gesù (Gesuiti); 23 Agostiniani e Terziari agostiniani giapponesi; 45 Domenicani e Terziari O.P.; 28 Francescani e Terziari; tutti gli altri erano fedeli giapponesi o intere famiglie, molti dei quali Confratelli del Rosario.
Non c’è una celebrazione unica per tutti, ma gli Ordini religiosi a gruppi o singolarmente, hanno fissato il loro giorno di celebrazione.
Al gruppo dei 33 Gesuiti, la cui celebrazione comune è al 4 febbraio, appartiene il portoghese Diego Carvalho, che nacque a Cordoba nel 1578; attratto dalla spiritualità della Compagnia di Gesù, da qualche decennio fondata da s. Ignazio di Loyola (1491-1556), entrò fra i Gesuiti nel 1594.
A 22 anni, ancora novizio fu mandato nel 1600 alla Missione delle Indie, a Macao possedimento portoghese nella Cina Meridionale, compì gli studi in Filosofia e Teologia e fu ordinato sacerdote; nel 1609 raggiunse il Giappone, da dove dopo cinque anni di attività apostolica, ripartì a causa del decreto di espulsione dei missionari del 1614, emanato dall’imperatore Tokugawa.
In questo forzato esilio, padre Diego Carvalho fu impegnato alla fondazione della missione in Cocincina (Vietnam) insieme al confratello padre Francesco Burzoni.
Nel 1616 rientrò clandestinamente in Giappone, dove gli vennero indicati per la sua attività missionaria, i distretti settentrionali di Oxu e il Dewan; era un lavoro entusiasmante perché gli permetteva di visitare e attirare alla fede cattolica, le migliaia di giapponesi emigrati in quelle zone per lavorare nelle miniere d’oro scoperte da poco.
Naturalmente non mancavano le difficoltà, a causa delle condizioni climatiche e le asperità del luogo, per i continui e necessari travestimenti, gli accorgimenti per salvaguardare dalle dogane gli arredi per la celebrazione della Messa.
Grazie alla sua tenacia e zelo infaticabile, riuscì a contattare tutte le comunità affidatagli, accrescendo il numero dei convertiti; nel 1620 raggiunse anche l’isola di Yeso, dove il 5 agosto poté celebrare una prima Messa e il 15 agosto un’altra presso le miniere per i minatori cattolici.
Poté visitare, attraversando lo Stretto di Tzugaru, a Tacavoca i miserabili campi di concentramento, dove erano state raccolte le nobili famiglie giapponesi cristiane, vittime della persecuzione e condannate a morire lentamente di stenti e ristrettezze.
Ma nel 1623 anche il signore del regno di Oxu, Masamune, fino allora favorevole ai cristiani, si trasformò in loro persecutore; allo scoppio di questa persecuzione padre Diego Carvalho si trovava a Miwake nel feudo di Giovanni Gotò fervente cattolico, per celebrarvi il Natale e l’Epifania, ma per non compromettere il suo ospite, subito partì e così sfuggì all’arresto delle guardie, le quali avvertite da due apostati si recarono fra i cristiani di Orosce dove si era rifugiato.
Ma anche da qui padre Diego era fuggito insieme ad una sessantina di cristiani rifugiandosi in un vallone profondo, ma le orme lasciate sulla neve dai fuggitivi li tradirono.
Per salvare i fedeli, padre Carvalho si consegnò ai soldati insieme ad una decina di cristiani che non avevano voluto lasciarlo e fu condotto a Sendai. Il 18 febbraio 1624 i prigionieri furono trascinati sulla riva del fiume Hirose e fatti sedere nudi in una grande buca riempita di acqua, in quel periodo gelida, legati a dei pali stettero in quella tortura per tre ore, poi ricondotti in prigione, ma alcuni morirono per strada.
Essendo i superstiti costanti nel dichiarare la loro fede, la tortura fu ripetuta il mattino del 22 febbraio; i martiri furono lasciati nell’acqua gelata tutto il giorno, finché morirono; padre Diego Carvalho morì per ultimo poco prima della mezzanotte.
La sua celebrazione come beato martire gesuita, è al 22 febbraio.
Autore: Antonio Borrelli
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