I Gesuiti con s. Francesco Saverio (1506-1552) furono i primi ad incominciare l’evangelizzazione del Giappone, che si sviluppò con notevoli risultati nei decenni successivi al 1549, tanto che nel 1587 i cattolici giapponesi erano circa 300.000, con centro principale a Nagasaki.
Ma proprio nel 1587 lo ‘shogun’ (maresciallo della corona) Hideyoshi, dai cristiani denominato ‘Taicosama’, che fino allora era stato condiscendente verso i cattolici, emanò un decreto di espulsione contro i Gesuiti (allora unico Ordine religioso presente nel Giappone) per delle ragioni non chiarite.
Il decreto fu in parte eseguito, ma la maggior parte dei Gesuiti rimase nel paese, mettendo in atto una strategia di prudenza, in silenzio e senza esteriorità, continuando con cautela l’opera evangelizzatrice.
Tutto questo fino al 1593, quando provenienti dalle Filippine sbarcarono in Giappone alcuni Frati Francescani, i quali al contrario dei Gesuiti, iniziarono senza prudenza una predicazione pubblica, a ciò si aggiunsero complicazioni politiche tra la Spagna e il Giappone, che provocarono la reazione dello ‘shogun’ Hideyoshi, che emanò l’ordine di imprigionare i francescani e alcuni neofiti giapponesi.
I primi arresti ci furono il 9 dicembre del 1596 e i 26 arrestati, fra cui tre gesuiti giapponesi, subirono il martirio il 5 febbraio 1597, i protomartiri del Giappone furono crocifissi e trafitti nella zona di Nagasaki, che prese poi il nome di “santa collina” e proclamati santi da papa Pio IX nel 1862.
Subentrato un periodo di tregua e nonostante la persecuzione subita, la comunità cattolica aumentò, anche per l’arrivo di altri missionari, non solo gesuiti e francescani ma anche domenicani e agostiniani.
Ma nel 1614 la numerosa comunità cattolica subì una furiosa persecuzione decretata dallo shogun Ieyasu (Taifusama), che si prolungò per alcuni decenni distruggendo quasi completamente la comunità in Giappone, causando moltissimi martiri, ma anche molte apostasie fra gli atterriti fedeli giapponesi.
I motivi che portarono a questa lunga e sanguinosa persecuzione, furono vari, a partire dalla gelosia dei bonzi buddisti che minacciavano la vendetta dei loro dei; poi il timore di Ieyasu e dei suoi successori Hidetada e Iemitsu, per l’accresciuto influsso di Spagna e Portogallo, patria della maggioranza dei missionari, che erano ritenuti loro spie, per gli intrighi dei violenti calvinisti olandesi e infine per l’imprudenza di molti missionari spagnoli.
Dal 1617 al 1632 la persecuzione toccò il picco più alto di vittime; i supplizi secondo lo stile orientale, furono vari e raffinati, non risparmiando nemmeno i bambini; i martiri appartenevano ad ogni condizione sociale, dai missionari e catechisti, ai nobili di famiglia reale; da ricche matrone a giovani vergini; da vecchi a bambini; dai padri di famiglia ai sacerdoti giapponesi.
La maggior parte furono legati ad un palo e bruciati a fuoco lento, cosicché la “santa collina” di Nagasaki fu illuminata sinistramente dalla teoria di torce umane per parecchie sere e notti; altri decapitati o tagliati membro per membro.
Non stiamo qui ad elencare le altre decine di tormenti mortali cui furono sottoposti, per non fare una galleria degli orrori, anche se purtroppo testimoniano come la malvagità umana, quando si sfrena nell’inventare forme crudeli da infliggere ai suoi simili, supera ogni paragone con la ferocia delle bestie, che perlomeno agiscono per istinto e per procurarsi il cibo.
Oltre i primi 26 santi martiri del 1597 già citati, la Chiesa raccogliendo testimonianze poté riconoscere la validità del martirio per almeno 205 vittime, fra le migliaia che persero la vita anonimamente e papa Pio IX il 7 luglio 1867 poté proclamarli beati.
Dei 205 beati, 33 erano dell’Ordine della Compagnia di Gesù (Gesuiti); 23 Agostiniani e Terziari agostiniani giapponesi; 45 Domenicani e Terziari O.P.; 28 Francescani e Terziari; tutti gli altri erano fedeli giapponesi o intere famiglie, molti dei quali Confratelli del Rosario.
Non c’è una celebrazione unica per tutti, ma gli Ordini religiosi a gruppi o singolarmente, hanno fissato il loro giorno di celebrazione.
Appartenente al gruppo dei 33 Gesuiti, vi è l’italiano Camillo Costanzo, il quale nacque a Bovalino (Reggio Calabria) nel 1572.
Ventenne lasciò l’estremo lembo meridionale della Calabria e si recò a studiare Lettere e Diritto a Napoli; nel 1592 entrò nella Compagnia di Gesù, che a Napoli ha sempre avuto fin dai primi tempi e tuttora ha, un fiorente Centro.
Come molti Gesuiti in quell’epoca, anche padre Costanzo partì per le Missioni in Estremo Oriente; nel marzo 1602 partì per l’India da dove doveva raggiungere la Cina, ma giunto nel 1604 a Macao, possedimento portoghese, trovò sbarrato l’accesso in Cina dagli stessi portoghesi, quindi si indirizzò verso il Giappone, dove il 17 agosto 1605 sbarcò a Nagasaki.
Sostò circa un anno per imparare la lingua e gli usi e costumi giapponesi, poi iniziò il suo ministero missionario prima nel regno di Burgen e poi per sei anni nella città di Sacai e dintorni; ottenendo solide conversioni, infatti quando nel 1614 infuriò la persecuzione, degli ottocento battezzati da lui, solo tre o quattro apostatarono.
Comunque l’ordine di espulsione dei missionari lo costrinse a ritornare a Macao dove rimase per sei anni; in questo lungo tempo studiò profondamente i testi canonici di Sakia-Muni (Budda) rilevando gli errori correnti allora in Cina, Siam e Giappone; per confutarli scrisse ben quindici libri e tre opuscoli divulgativi.
Resistendo agli inviti dei padri Gesuiti, che volevano trattenerlo in Cina, nel 1621 a 49 anni, s’imbarcò per il Giappone travestito da soldato, ma si era in piena persecuzione e il suo travestimento non servì, il capitano per salvare la nave e i passeggeri voleva consegnarlo al governatore.
Intervenirono due cristiani che l’avevano conosciuto a Sacai e l’aiutarono a sbarcare in un porto solitario; il suo nuovo campo di apostolato fu il regno di Figen, l’isola di Firando e le tante isolette dell’arcipelago.
Per tre mesi lavorò abbondantemente anche nell’isola di Ichitzuchi, raccogliendo molte conversioni, poi decise di raggiungere l’isola di Noscima; era appena iniziata la traversata, quando una donna cristiana di Ichitzuchi, desiderosa di convertire il marito, gli indicò dove avrebbe potuto trovare il missionario.
Ma il marito si recò a riferire tutto al governatore, il quale inviò tre barche armate alla ricerca di padre Camillo Costanzo, rintracciandolo nell’isola di Ocu, era il 24 aprile 1622; fu arrestato e trasferito prima nell’isola di Ichinoscima, finché dopo qualche tempo giunse la sentenza dell’imperatore che lo condannava al rogo; fu quindi spostato a Tabira, sulla costa di fronte alla città di Firando.
Legato al palo e acceso il fuoco, padre Costanzo subì il martirio il 15 settembre del 1622; egli pur tra le fiamme e il denso fumo, non cessò un istante di predicare ad alta voce alla moltitudine di cristiani e pagani che assistevano al supplizio; incoraggiando i convertiti e invitando a convertirsi ai pagani.
Autore: Antonio Borrelli
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