È un piccolo borgo sulle colline della Lunigiana, Popetto (Tresana - Massa) con le case raccolte attorno alla piccola chiesa. Qui, il 27 settembre 1870, figlio di umile gente di campagna, nacque Giocondo Lorgna. Cominciò la vita, ascoltando la mamma che gli narrava di Gesù. Imparò presto a pregare la Madonna con il Rosario. Pellegrinava ai suoi santuari dei dintorni. Aiutava volentieri i poveri di passaggio.
Intelligente, vivace, curioso, ancora piccolo già desiderava spendere la vita per un grande ideale. Un giorno, un sacerdote gli domandò: “Chi ami di più, il papà o la mamma?”. Rispose Giocondo: “Prima di tutto amo Gesù che fu messo in croce per me, poi i miei genitori”.
A Popetto non c’erano scuole. Il ragazzo decenne si trasferì a casa dello zio don Luigi Lorgna, parroco di Torrile (Parma). Dopo i primi studi elementari, entrò nel seminario di Parma: “Sarò prete, disse, come lo zio”. Il rettore del seminario era don Andrea Ferrari il quale diventò subito il modello di vita per Giocondo. Studioso, affascinato da Cristo, obbediente alla regola, il rettore disse di lui: “È un angelo, un vero maestro di vita per i compagni”.
Durante le vacanze, tornava a Torrile, in casa dello zio parroco. Si dedicava a far catechismo ai più piccoli, cercava altri ragazzi da portare in seminario, assisteva i malati, riusciva persino a convertire i più lontani da Dio. Nel 1887, a 17 anni, guidò il pellegrinaggio della sua parrocchia al Santuario della Madonna del Rosario di Fontanellato (Parma). In preghiera a lungo davanti all’immagine della Vergine, si sentì interpellato da Lei. Si domandò: “Che voleva dirmi Maria?”.
In seminario ascoltò la predicazione del Padre Doria, domenicano. Studiando filosofia, si accostò a S. Tommaso d’Aquino. Gesù, dolcemente, lo guidava al dono più perfetto di sé nella vita religiosa nell’Ordine Domenicano: la vita spesa per lo studio e la contemplazione della Verità, per l’annuncio della Verità ai fratelli.
Giocondo pregò, si consigliò con don Ferrari, con il vice-rettore don Guido Conforti, con lo zio. Infine decise: “Sarò domenicano”. Il rettore, al momento di staccarsi da quel ragazzo, gli disse piangendo: “Così tu lasci tuo padre?”. Rispose: “Devo obbedire a Dio!” (Due santi li aveva già incontrati: don Ferrari, futuro arcivescovo di Milano, ora beatificato dalla Chiesa; don Guido Conforti, fondatore dei Missionari Saveriani, poi Vescovo di Parma, oggi “venerabile”).
A Bologna, presso la tomba di San Domenico, l’8 novembre 1889, Giocondo vestì il bianco abito, poi partì per il noviziato a Ortonovo. Seguirono i primi voti, gli studi teologici a Bologna. Fra Giocondo era davvero felice. Aveva detto un giorno: “Gesù è l’amore: per Lui c’è chi lascia il mondo e si chiude in convento, c’è chi parte missionario... Gesù merita tutto questo, tutto il nostro amore”. Lui, a Gesù aveva dato tutto.
Il 22 dicembre 1893 era ordinato sacerdote.
Conseguiti i titoli accademici, venne destinato all’insegnamento allo Studio Domenicano di Bologna. Non chiedeva altro: una vita nascosta di preghiera e di studio... Ma già i suoi confratelli, anche quelli più anziani, lo avevano notato, giovane religioso tutto dedizione, e lo cercavano per la confessione e la direzione spirituale.
Tutti gli anni, durante l’estate, padre Giocondo tornava a Fontanellato per ascoltare le confessioni dei numerosissimi pellegrini. Così un giorno del 1901, i superiori lo vollero confessore stabile al santuario. Il giovane sacerdote diventò la guida alla perfezione evangelica per le monache domenicane di Fontanellato e per innumerevoli fratelli, laici e sacerdoti, di passaggio. Nel medesimo tempo, si dedicava alla predicazione: con parola semplice e convincente, comprensibile da tutti, dagli umili suoi prediletti, convertiva le anime a Cristo. E lui, pur così giovane, con il suo grande amore a Maria, ottenne dal Papa Pio X l’elevazione a basilica del santuario di Fontanellato.
L’uomo mandato
Nel gennaio 1905, fu nominato parroco dei SS. Giovanni e Paolo a Venezia: seimila anime, tanti problemi, spesso spinosi. Giocondo non capiva: aveva lasciato il seminario per dedicarsi solo alla preghiera e alla vita regolare in convento ed ora gli era chiesto di farsi pastore. Disse le sue difficoltà, protestò, pianse... Si consigliò con il card. Ferrari, il quale gli disse: “Va’, figliolo, la tua pescagione sarà prodigiosa!”.
Padre Lorgna accettò. Entrò in parrocchia il 2 febbraio, festa della Purificazione di Maria, e pose il suo ministero sotto la sua protezione. Si ricordò subito che un grandissimo amore alle anime da salvare aveva sempre mosso il suo “padre”, san Domenico. Lo stesso amore volle avere lui, alimentandolo continuamente al Tabernacolo, presso Gesù-Pane di vita.
Con la lucidità del domenicano che “non vaneggia”, lesse nei decreti del Concilio di Trento che “dovere del parroco è 1o) conoscere le proprie pecorelle; 2o) pascerle con la predicazione; 3o) istruire i fanciulli; 4o) assistere i moribondi; 5o) soccorrere i poveri”. Cominciò subito e non ebbe più tregua: uomo della cella, scese tra le strade per servire e portare Cristo. Volle conoscere i suoi parrocchiani uno ad uno. Entrava spesso nelle case. Si fermava ad ascoltare piccoli, adulti e anziani.
Fatto consapevole delle difficoltà, ebbe a dire: “Sono povero tra disperati”. Ma una ricchezza infinita da dare l’aveva: Gesù. Iniziò a curare molto la predicazione alla Messa festiva, il catechismo ai Vespri. Rivolse subito le sue cure più premurose ai bambini e ai giovani.
Per i piccoli volle “l’opera degli asili”: “Ogni bimbo è Gesù” – diceva – ed era preoccupato di portarli tutti all’incontro con Lui nella fede, nella Confessione e nell’Eucaristia, ad una vita veramente cristiana. A guida degli asili volle due giovani donne dall’anima ardente: Maria Bassi, Gilda Boscolo e altre che le seguirono: Adele Vangeri, Emilia Malusa... Il Padre nutriva un grande sogno.
Diede vita al “Patronato della divina Provvidenza” per i ragazzi e i giovani, con oratorio e giochi, cappella e spazio per la preghiera e la direzione spirituale, attività culturali per studenti e lavoratori, luogo per la catechesi. Il parroco sapeva i tremendi problemi creati dall’ignoranza religiosa, dalla propaganda velenosa dei laicisti e dei socialisti senza-Dio, l’abbandono in cui viveva tanta gioventù. La risposta per lui era una sola: “Gesù: salvezza all’umanità”; “Gesù, Re e Capitano della vita”.
C’erano tanti poveri, specialmente negli anni della prima guerra mondiale. Padre Giocondo aveva sempre la mano aperta a “mendicare” per loro: al convento dei suoi Frati, ai ricchi della città, alle autorità. Poi organizzò la “Caritas” parrocchiale per moltiplicare iniziative per i più bisognosi.
Sentendosi piccolo davanti a tanti problemi si rivolse ai “maestri” del suo tempo, per consiglio e sostegno: i Pontefici Pio X e Benedetto XV, gli apostoli della carità, don Calabria, don Orione e Bartolo Longo, il patriarca di Venezia card. La Fontaine, Padre Pio da Pietrelcina, mons. Angelo Roncalli (il futuro Papa Giovanni XXIII). Molti di costoro la Chiesa li ha già posti sugli altari, gli altri vi arriveranno fra non molto tempo. Ma più di tutti, Gesù vivo nel tabernacolo, poteva illuminarlo e mobilitarlo. Giocondo andava da Lui – e da sua Madre, la Madonna – con la fiducia di un bambino.
Alla scuola di Gesù e dei santi del suo tempo, le sue opere si fecero grandiose. Restaurò la cappella del Rosario, la chiesa dei SS. Giovanni e Paolo e la eresse in basilica, organizzò le strutture per evangelizzare. Al suo Provinciale che lo ammirava, rispose: “Se mi sta a cuore il tempio materiale, quanto più le anime!”. Proprio per le anime, era sempre disponibile alle confessioni, certo che la riforma della Chiesa non nasce dalle chiacchiere, ma dalla conversione del cuore. Giorno e notte era pronto all’assistenza dei moribondi: i suoi prediletti erano i “senza-Dio”, massoni e socialisti incalliti e mai uno di loro morì senza sacramenti. Per ottenere conversioni anche strepitose, coinvolgeva i malati: “Dio non può rifiutarsi alla vostra sofferenza offerta per le anime”.
Il Fondatore, il Padre
Umili ragazze lo seguirono con Maria Bassi e Gilda Boscolo nell’opera degli asili: il 30 ottobre 1922 le prime dieci di loro vestirono l’abito domenicano. Erano nate le Suore Domenicane della Beata Imelda, congregazione che dall’amore a Gesù Eucaristico, ancora oggi, a 70 anni dalla fondazione, diffondono l’affezione per Lui tra la gioventù, in Italia, in America, nelle Filippine, in Albania...
Parroco, fondatore... Ma i superiori domenicani l’avevano sempre voluto in prima fila con loro per promuovere la vita dell’Ordine. Ed ecco padre Giocondo, presente ai “capitoli”, presso i Maestri generali Giacinto Cormier (oggi “venerabile”), padre Theissling, padre Paredes, con le sue iniziative per suscitare vocazioni (ne portò di stupende), per incoraggiare la vita religiosa regolare e l’insegnamento del pensiero di S. Tommaso negli Studi già aperti e per aprirne di nuovi.
Nel 1926, dovendo partecipare al capitolo generale di Ocaña in Spagna, pellegrinò a Lourdes e ai luoghi di S. Domenico, incontrò il padre Arintero, grande maestro di teologia mistica dell’Ordine, poi si recò a cercare ispirazione per le sue opere apostoliche a Parigi sui luoghi di Padre Lacordaire e di Federico Ozanam, ad Annecy presso le tombe di S. Francesco e di S. Giovanna de Chantal, ad Ars per imparare a fare bene il parroco dal S. Curato, a Torino-Valdocco per imparare molte cose per l’educazione dei giovani dai Salesiani, sulle orme di Don Bosco e di Domenico Savio.
Ora padre Giocondo aveva 57 anni. Giovane ancora, già aveva dato tutto. All’inizio del 1928 lo stomaco gli doleva assai: cancro inoperabile. Quando lo seppe, strinse il Crocifisso, lo baciò... poi scrisse l’atto di accettazione della morte e lo fece porre nel Tabernacolo sotto la pisside. Ed attese sereno la sua ultima ora. L’8 luglio 1928, domenica, al tramonto, all’ospedale di Venezia, il Padre si voltò verso la statuetta della Madonna che teneva vicina e chiamò: “Mamma, Mamma, assistetemi”. Poi i suoi occhi puri videro Iddio.
Il bambino buono di Popetto, il domenicano ardente, il parroco vero missionario, il fondatore dal cuore di madre, oggi attende la gloria degli altari.
Autore: Paolo Risso
Padre Giocondo Pio Lorgna, nacque a Popetto di Tresana (Massa Carrara) il 27 settembre 1870, i suoi genitori Giovanni Lorgna e Maria Fiasella erano piccoli agricoltori di specchiate virtù cristiane e di grande fede.
A 11 anni si trasferì presso lo zio don Luigi Lorgna, parroco di Torrile (Parma), dove frequentò le attuali scuole medie; a 13 anni entrò nel seminario di Parma dove incontrò belle figure di educatori e uomini di Chiesa santi ed illustri, come il rettore don Andrea Ferrari poi cardinale arcivescovo di Milano e il vicerettore don Guido Conforti poi vescovo di Parma e fondatore dei missionari Saveriani, oggi ambedue Beati.
A 19 anni scelse di entrare fra i Domenicani vestendone l’abito nel convento di Bologna e venendo ordinato sacerdote nel 1893 a 23 anni.
Dopo aver completato gli studi filosofici e teologici, fu destinato all’insegnamento della Sacra Scrittura, della Propedeutica e della Storia Sacra, presso lo “Studio Domenicano” di Bologna.
Dopo una parentesi di qualche anno nel Santuario della Madonna di Fontanellato, fu nominato parroco della popolosa e difficile parrocchia dei SS. Giovanni e Paolo di Venezia, dove rimase fino alla morte, avvenuta a 58 anni di età.
La sua spiritualità era fortemente incentrata nell’amore al SS. Sacramento, perché “in questo amore è riposta ogni perfezione”, ciò fu il programma della sua vita sin da novizio e la formazione teologica soprattutto tomistica, ricevuta a Bologna e l’ambiente spirituale della città, vivificato dalla devozione alla beata Imelda Lambertini (1320-1333), contribuirono a far aumentare sempre più il suo amore per l’Eucaristia.
A Venezia costituì la Confraternita della Beata Imelda, per favorire la Comunione frequente dei fanciulli, inoltre l’istituzione degli “Adoratori del SS. Sacramento”; consacrò la parrocchia a Gesù Sacramentato.
Nonostante fosse di indole contemplativa, seppe dimostrare grandi capacità organizzative; per la formazione dei giovani fu cofondatore del Patronato Divina Provvidenza; per i piccoli fondò l’Asilo degli Angeli Custodi e quello del Rosario con annesso l’orfanotrofio per gli orfani di guerra; la Charitas di S. Antonino per i poveri e la Charitas del beato Giacomo Salomoni (1231-1314) durante la Prima Guerra Mondiale.
Promosse nella sua parrocchia anche la Pia Unione Missionaria per l’aiuto alle missioni; introdusse i primi gruppi di uomini e giovani d’Azione Cattolica.
Per facilitare l’afflusso in parrocchia dei bambini per il catechismo, formò un gruppo di 15 persone (Opera Santa Dorotea) per il prelievo a domicilio nei caratteristici rioni di Venezia e accompagnamento nelle sedi di lezione. Promosse il Rosario vivente tra i piccoli e il Rosario perpetuo.
I suoi fedeli corrisposero fattivamente alle sue iniziative, collaborando alla loro realizzazione, specie i giovani radunati in gruppi, si dedicavano all’educazione dei bambini negli asili da lui fondati.
Il suo grande fervore per l’Eucaristia, lo portò a fondare la Congregazione delle Suore Domenicane della Beata Imelda (bambina che visse e morì di desiderio dell’Eucaristia nel XIV secolo a Bologna), con lo scopo di annunciare dovunque, con la vita, con le parole e con le opere, il mistero eucaristico.
Padre Giocondo Pio Lorgna, morì a Venezia l’8 luglio 1928 e le sue spoglie riposano nella Cappella del Rosario della Basilica veneziana dei SS. Giovanni e Paolo, dove fu parroco attivo e indimenticabile per tanti anni.
Le sue suore sono oggi presenti in Brasile, Camerun, Filippine, Albania, Bolivia, con scopo primario l’educazione e istruzione dei bambini e della gioventù.
Il 10 ottobre 1955 si chiuse il processo informativo diocesano, che prosegue presso la competente Congregazione per le Cause dei Santi per poter giungere alla sua beatificazione.
Autore: Antonio Borrelli
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