Simeri (Catanzaro), XI sec. – Rossano (Cosenza), 19 agosto 1130
Nasce verso il secolo XI a Semeri (oggi Simeri) in provincia di Catanzaro. Si accosta ai Padri eremiti nel deserto, per poi spostarsi sulle montagne della Sila dove pratica rigide penitenze. La notizia della sua figura di eremita si diffonde in tutta la regione, da cui in breve tempo iniziano ad affluire pellegrini desiderosi di mettersi sotto la sua direzione spirituale. In una visione la Vergine chiede a Bartolomeo di accogliere quanti volevano servire Dio in penitenza. Il santo decide allora di edificare un monastero e una chiesa fra Rossano e Corigliano, in provincia di Cosenza, che prenderanno il nome di Santa Maria Nuova Odigitria. L'importanza raggiunta nel tempo dal monastero calabrese suscita l'invidia di altre istituzioni monastiche, tanto che alcuni religiosi accusano Bartolomeo di aver arricchito i propri parenti con i beni del monastero. Condannato al rogo, prima dell'esecuzione celebra la Messa, durante la quale appare una colonna di fuoco. Colpiti da tale prodigio i presenti si prostrano ai piedi dell'abate chiedendogli perdono. Bartolomeo muore il 19 agosto del 1130. (Avvenire)
Martirologio Romano: In Calabria, san Bartolomeo di Simeri, sacerdote e abate, che, dopo aver praticato vita eremitica, fondò il monastero dei Greci.
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Nacque verso la metà del secolo XI a Semeri (oggi Simeri) in provincia di Catanzaro e fu battezzato con il nome di Basilio. I genitori Giorgio ed Elena lo consacrarono a Dio e gli diedero un’educazione improntata alla fede, alla pietà e alla scienza. Ancora giovane, Basilio volle lasciare la famiglia perché attratto dalla vita dei Padri eremiti nel deserto e avvertendo il desiderio di una maggiore perfezione nella vita, si recò quindi presso l’eremita Cirillo che viveva vicino al torrente Melitello. Da lui ricevé la tonsura e l’abito monastico, cambiando il nome di Basilio in Bartolomeo (in seguito sarà conosciuto anche con il nome di ‘Trigono’ dall’omonimo monte, oggi Triangolo). Dopo un certo tempo, desideroso di una maggiore solitudine, abbandonò Cirillo e salì sui monti dell’aspra Sila, fermandosi sul monte Trigono, vicino all’attuale lago Ampollino (lago artificiale, creato dallo sbarramento del fiume Ampollino), dove visse alcuni anni solo alla presenza di Dio, praticando rigide penitenze, veglie di preghiera e in santa letizia. Ma la sua solitudine fu scoperta da alcuni cacciatori avventuratosi in quella zona di montagna, i quali ritornati ai loro paesi raccontarono agli altri il fortuito incontro. Si venne così a conoscenza della sua santità in tutta la regione, per cui cominciò un affluire di pellegrini e persone desiderose di mettersi sotto la sua direzione spirituale. In una visione, la Vergine Maria gli indicò di accogliere quanti volevano servire Dio in perfezione e giacché essi erano diventati numerosi, Bartolomeo fu costretto ad edificare un monastero e una chiesa. Il fenomeno dell’eremitaggio tipico dei tempi fino al Medioevo, attirava tanti giovani e uomini ed ebbe un decrescere con l’avvento dei grandi Ordini monastici, che in varie forme adattarono il desiderio della vita di penitenza e grande raccoglimento, in una vita comunitaria, spesso però rimanendo all’interno della comunità ampio spazio per la solitudine e ascesi personale. Per attuare il progetto, Bartolomeo dovette lasciare quei luoghi impervi e si recò sulle alture fra Rossano e Corigliano, in provincia di Cosenza, in una località molto bella detta ‘Ronconiate’, dove già esisteva un Oratorio fondato da un monaco di nome Nifone, che alcuni identificano con s. Nilo da Sibari. Qui con l’aiuto generoso del conte Ruggero I († 1101) fratello di Roberto il Guiscardo, che da lui ebbe la potestà su metà della Calabria, della sua consorte Adelaide e del nobile Fulco di Balberg detto ‘Cristodulo’, verso il 1090 edificò il bel tempio a tre navate e il celebre monastero del ‘Patirion’ e cedendo alle pressioni dei suoi discepoli, accettò di essere ordinato sacerdote dal vescovo Policronio di Belcastro. Fu un infaticabile studioso delle Sacre Scritture e dei Padri della Chiesa e trasfuse questo amore ai suoi monaci, istituì nel ‘Patirion’ il celebre ‘scriptorium’ da dove uscirono centinaia di codici, oggi costituenti la ricchezza di tante biblioteche europee, la sola Vaticana ne possiede circa sessanta; salvando così molte opere classiche greche e latine. Resse il governo del celebre monastero con santità e sapienza, compose anche un codice di norme ascetiche, ma dovette mettersi in contrasto con il vescovo di Rossano, Nicola Maleino, che voleva sottomettere alla sua autorità il monastero, Bartolomeo si recò a Roma da papa Pasquale II (1099-1118) a protestare, il papa nel 1105 confermò l’esenzione del ‘Patirion’ dalla giurisdizione episcopale, sottoponendolo alla diretta competenza della Sede Apostolica. Per completare l’arredo della chiesa con immagini, vasi sacri, paramenti, Bartolomeo forte della stima di cui godeva, si recò a Costantinopoli dall’imperatore d’Oriente Alessio I Comneno (1048-1118) e dall’imperatrice Irene, dove fu accolto con onori ed ebbe doni superiori alle sue richieste, fra l’altro una copia della veneratissima e preziosa icona di S. Maria Odigitria, che il santo abate collocò nella chiesa del ‘Patirion’. Durante la sua permanenza a Costantinopoli, fu pregato di ristabilire la disciplina nel monastero di S. Basilio il Grande, sul celebre Monte Athos, Bartolomeo adempì all’incarico con generale soddisfazione al punto che ancora oggi quel monastero viene chiamato “del Calabrese”. La potenza e floridezza raggiunta dal monastero in Calabria, suscitò l’invidia di altre istituzioni monastiche e così verso il 1125 due monaci benedettini dell’abbazia di S. Angelo di Mileto, calunniarono il santo egumeno (abate) presso il conte Ruggero II (1095-1154) accusandolo di aver arricchito i propri parenti con i beni che lo stesso conte aveva donato al monastero. Bartolomeo fu chiamato a Messina per discolparsi, vi si recò con umiltà e invitato a difendersi non aprì bocca, per cui considerato colpevole fu condannato al rogo. Chiese ed ottenne prima dell’esecuzione di poter celebrare la Messa; davanti al re ed alla corte egli iniziò la celebrazione, ma alla Consacrazione apparve una colonna di fuoco che dai suoi piedi si elevava fino al cielo, colpiti dal prodigio Ruggero II e i presenti si inginocchiarono e chiesero perdono all’abate dell’errore commesso. Il conte non lo lasciò ripartire, volle edificare a Messina un grande tempio con annesso un monastero, in onore del Ss. Salvatore, pregando Bartolomeo di organizzarne la vita e santificarlo con la sua presenza. Ma verso il 1128 egli chiese ed ottenne di tornare al ‘Patirion’, promettendo di inviare in sua vece il discepolo Luca con dodici monaci. Questo grande monastero del Ss. Salvatore con la chiesa, fu terminato nel 1132 e divenne ben presto uno dei più celebri e fiorenti dell’Italia Meridionale, ad esso furono sottoposti una cinquantina di monasteri della Sicilia e della Calabria. L’abate e fondatore Bartolomeo di Simeri, morì santamente come era vissuto, il 19 agosto 1130 nel suo monastero del ‘Patirion’ di Rossano. Bisogna dire che il culto per s. Bartolomeo di Simeri è “ab immemorabili”, ma di lui così grande in santità, dottrina e opere, come è avvenuto per altri insigni santi italo-greci, si è perduta la memoria, la sua festa che cade il 19 agosto viene celebrata solo nell’abbazia di rito greco di Grottaferrata. L’antica chiesa di S. Maria del Patire o Patirion, posta a 609 mt. di altezza fra boschi e con vedute panoramiche sulla piana di Sibari, è tuttora funzionante mentre il monastero senza più monaci è adibito a strutture d’accoglienza e ristoro.
Autore: Antonio Borrelli
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