“Don Orione in abito da suora” ha provato a definirla chi voleva sottolineare in che misura questa suora è stata capace di assumere e fare propri lo stile e la spiritualità del fondatore. Si tratta, probabilmente, della più bella definizione di questa suora, talmente umile silenziosa e discreta da passare quasi inosservata in un ambiente (le Missionarie della Carità di don Orione, appunto) in cui certamente non mancavano esempi sublimi di donazione ed eroismo. Anche lei è nata a Centallo, cioè nel famoso “quadrilatero della santità di appena cinque chilometri quadrati”, come ama definire il territorio centallese il nostro vescovo, lasciando intendere l’esistenza di un filo rosso di santità, che unisce il capoluogo alla frazione Roata Chiusani, dipanantesi dal 1803 (da quando cioè si chiudono i giorni della mistica ruatese Caterina Benso) al 1944 (anno in cui viene martirizzata Maria Isoardo), passando attraverso il cardinal Pellegrino, Suor Plautilla (entrambi di Roata Chiusani) e don Stefano Gerbaudo. Lucia Cavallo nasce nella povertà propria della maggioranza delle famiglie centallesi di un secolo fa, quelle cioè che faticano a mettere insieme il pranzo con la cena. I Cavallo, con i loro sei figli, la mamma malaticcia e il papà senza reddito fisso, non si distinguono granchè nel clima di povertà diffusa che caratterizza il nostro territorio. Mamma muore, come la stessa Lucia ormai suora scriverà, “di necessità e crepacuore” e tocca a lei, dodicenne appena, prendersi cura della casa e far da mamma ai più piccoli. Almeno fintantoché resta a Roata Chiusani, perché la necessità di avere una bocca in meno da sfamare e nello stesso tempo la possibilità di contare su un mensile fisso, la portano presto a lavorare in casa d’altri, prima in frazione, poi a Cuneo. Le coetanee ricorderanno sempre l’assoluta normalità della loro compagna, che si distingue appena per una maggior devozione ed una particolare sensibilità, due qualità che finiscono per aprirla alla vocazione religiosa. Non ha idea di dove realizzarla e le sue uniche preferenze sono per la missione, possibilmente in terra africana dove l’ha preceduta una sua amica. Don Fiandrino, il suo parroco, la indirizza così verso le “Missionarie” di don Orione e, ironia della sorte o, per meglio dire, provvidenza divina, Lucia non andrà “lontano”, tantomeno in Africa. Si farà però ugualmente santa, per la serie “l’uomo propone e Dio dispone”, perché davvero “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”. Non si sposterà e non viaggerà, come invece avrebbe magari fatto se fosse andata in Africa: se si eccettuano i primi nove giorni trascorsi a Tortona, culla della congregazione, la sua vita si svolgerà tutta a Genova, anzi nella stessa casa, addirittura nell’identica corsia, a contatto con le medesime persone. Più monotona e ordinaria di così! La prima lotta la sostiene, nei primissimi giorni, a contatto con le consorelle tubercolotiche, la malattia che più la terrorizza, “ma vinse la grazia”, come lei stessa scriverà. La iscrivono al corso per infermiere e poi la mandano al “Paverano”, da dove prenderà il biglietto per il Cielo per il suo ultimo viaggio. La notte di Natale 1935 diventa ufficialmente Suor Maria Plautilla e inizia la sua scalata alla santità, nell’ordinarietà di un servizio spesso ingrato, certamente difficile, dal quale, testimonia una consorella, “non ci siamo mai ritirate nemmeno di fronte a situazioni penose che ci facevano rivoltare lo stomaco; se per pochi istanti ci si allontanava, per riaversi da quello stato di nausea, tosto si ritornava a quell'assistenza”. Incarna alla perfezione la “spiritualità dello straccio” che don Orione vuole trasmettere alle sue suore, nella semplicità di chi nulla sa di avere e che tutto attende da Dio. Con altrettanta semplicità si sposta da un letto all’altro delle sue malate psichiche per distribuire medicine, carezze, sorrisi. E questo ogni giorno, per 365 volte all’anno, tutti gli anni: “senza fare cose eccezionali ma vivendo in modo eccezionale la quotidianità del suo servizio” come ha detto Mons. Cavallotto. Forse chiede troppo al suo fisico: nell’ottobre 1945 il suo cuore ha un primo cedimento, che le impone qualche cautela e qualche cura. L’anno successivo un nuovo cedimento, il più grave, come conseguenza dello sforzo e dell’emozione provata nel salvare una delle sue malate psichiche che sta precipitando dal balcone. Questa volta deve mettersi a letto, per non rialzarsi più, sempre serena e sorridente, tanto che si va da lei come si andrebbe da una santa, per dire una preghiera e ricevere un consiglio. «Anche se il cuore sanguina, stare allegra, non far pesare sugli altri la tristezza”, aveva scritto. Ed è fedele anche a questo proposito. Muore il 5 ottobre 1947, a 34 anni; la Chiesa l’ha già proclamata Venerabile e si attende solo più il miracolo per dichiararla beata.
Autore: Gianpiero Pettiti
Alcuni la definirono la “don Orione in abito da suora”, tanto lo spirito del fondatore del “Piccolo Cottolengo”, aveva trovato in lei una interpretazione al femminile, fedele ed eloquente.
Lucia Cavallo nacque il 18 novembre 1913 nella frazione rurale Roata Chiusani del Comune di Centallo (provincia di Cuneo); i suoi genitori erano poveri contadini e i sei figli crescevano con molti sacrifici.
Da fanciulla riordinava la casa, portava le poche bestie al pascolo, accudiva i fratellini, inoltre frequentava la parrocchia e amava particolarmente pregare, era iscritta all’Azione Cattolica locale.
Alla morte della mamma, Lucia aveva dodici anni e dovette badare da sola ai piccoli fratelli e alla casa; gli anni della prima giovinezza trascorsero così nell’impegno familiare, anche se nel suo intimo aveva il desiderio di consacrarsi totalmente al Signore, ma le evidenti difficoltà familiari non lo consentivano.
Solo a 20 anni, il 3 novembre 1933 Lucia fu accettata nella Casa Madre delle “Piccole Suore Missionarie della Carità” a Tortona, fondate da san Luigi Orione (1872-1940).
Come postulante venne inviata a Genova - Marassi, fra le ammalate del Piccolo Cottolengo, frequentando il corso per infermiera e distinguendosi per capacità e zelo.
Dopo circa due anni rientrò a Tortona, dove ricevette l’abito da suora con il nome di Maria Plautilla, la notte di Natale del 1935; trascorso il prescritto anno di Noviziato, fu desinata all’Istituto Paverano, nucleo centrale del grosso centro assistenziale di Genova, denominato come tante altre Case di carità “Piccolo Cottolengo” e il 7 dicembre 1937, emise i voti nelle mani di don Luigi Orione il Fondatore.
Trascorse praticamente tutta la vita nell’Istituto Paverano, dove erano ospitate oltre 500 malate fisiche e psichiche ed un gruppo di orfanelle. L’infermeria di quel “Piccolo Cottolengo” la vide sempre presente, unendo alla competenza curativa e alla sollecitudine, una preziosa carità.
Come una farfalla svolazza sui fiori così suor Maria Plautilla si recava dalle malate, riceveva parenti e visitatori aiutava le consorelle, sempre attenta e con il sorriso sulle labbra, avendo parole di fede e di incoraggiamento per tutti.
Di indole generosa, prolungava liberamente l’orario del suo servizio, trascorrendo spesso le notti a vegliare le pazienti più gravi; intraprese anche una catechesi per i minorati, raccogliendo buoni risultati.
Ma il suo fisico, sotto stress per l’intenso lavoro e già provato per i disagi della Seconda Guerra Mondiale, con le ansie e le paure per i bombardamenti, nell’autunno del 1945 ebbe un collasso cardiaco, rientrando in comunità dopo un lungo e pesante giorno di lavoro.
Aveva 32 anni e le fu diagnosticata una poliartrite reumatica, nonostante le cure ricevute le condizioni generali restarono traballanti, soprattutto il cuore fu compromesso, e inesorabilmente continuò ad indebolirsi senza segnali allarmanti.
Era ritornata fra le ammalate a continuare il suo lavoro, ma sul finire del 1946 dovette intervenire per salvare una malata di mente che voleva gettarsi da una finestra, per il trambusto e la concitazione suor Maria Plautilla Cavallo ebbe un nuovo e più grave collasso cardiaco, che la costrinse a letto definitivamente.
Trascorse così gli ultimi 14 mesi della sua vita, in un’alternarsi di crisi e di riprese ma indebolendosi sempre più; i trapianti di cuore erano ancora da venire; il 14 agosto 1947 ricevé l’unzione degli infermi e il 15 agosto emise la professione perpetua nella sua Congregazione.
Morì il 5 ottobre 1947 nella Casa di Genova, lasciando non solo il rimpianto per la sua ancor giovane vita di 34 anni spezzata, ma la consapevolezza di una vita eroica impregnata della “spiritualità delle straccio”, trasmessa da don Orione come via di santificazione.
Il processo per la sua beatificazione si aprì il 2 ottobre 1986 e prosegue speditamente presso la competente Congregazione Vaticana.
Autore: Antonio Borrelli
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