"Ogni volta che qualcuno lascia la propria casa", disse il padre, "è come potare una vite; i tralci ne soffrono. Noi siamo come i tralci della vite; benché lontani gli uni dagli altri, dobbiamo rimanere uniti fra di noi e con Dio, così saremo forti". L'occasione per questo discorso improvvisato alla famiglia Dalle Pezze fu il diciottesimo compleanno di Teresa e la sua imminente partenza per la Svizzera in cerca di lavoro. I pochi ettari di terra di proprietà della famiglia non bastavano al sostentamento dei sette figli: Attilio, Assunta, Teresa, Silvio, Giuseppe, Sergio e Maria Rosetta. Fane, la piccola città dov'era nata nel 1939, era povera e non poteva offrire posti di lavoro alla maggior parte dei suoi abitanti, così la gente emigrava. Teresa stessa fu costretta a farlo.
Aveva sperato di trovare lavoro vicino ai suoi due fratelli che erano già in Svizzera, ma la fabbrica tessile in cui fu assunta si trovava a Baar, nel Cantone Zoug. Alcuni suoi amici di Fane aveva trovato alloggio in un ostello gestito dalle Suore della Santa Croce.
La vita all'estero era faticosa, ma Teresa era abituata alle difficoltà. Da bambina era stata una pastorella, e dopo aver terminato la scuola elementare, dagli 11 ai 18 anni, aveva lavorato come governante a Parona, vicino a Verona. L'unica differenza era che da Parona poteva tornare a casa ogni settimana, mentre da Baar solo una volta all'anno.
Durante le sue brevi vacanze a Fane, i giovanotti le dimostravano il loro interesse; tuttavia era un'infatuazione a senso unico. "Digli che non sono in casa", soleva dire alla sorella Maria Rosetta. Quest'ultima, dichiaratamente gelosa delle attenzioni rivolte alla sorella dai ragazzi, era felice di eseguire gli ordini, chiedendosi che cosa stesse succedendo a Teresa. Teresa stava segretamente coltivando la sua vocazione alla vita religiosa missionaria.
Aveva sentito i racconti delle avventure dei missionari che tornavano a casa in licenza, ospitati dalle Suore della Santa Croce all'ostello in Svizzera. Ascoltandoli, aveva avvertito la chiamata di Dio.
"Non intendo aspettare oltre! A Dio bisogna donare la propria giovinezza... Tutto o niente... Ma Dio ha davvero bisogno di me? Gli africani hanno bisogno di me? Che presunzione! Che cosa dirà la mamma? Ah, chissà che dolore per mio padre... Potrei sempre dire a Dio che non sono disponibile... Ma Dio non è un giovanotto cui posso rispondere 'Non sono in casa' ".
Nel 1961, Teresa aveva anticipato le sue vacanze e trovato il coraggio di dire ai suoi genitori ciò che più le premeva: unirsi alle Suore Missionarie Comboniane per andare a servire i più bisognosi in Africa. I genitori non avevano sollevato molte proteste; avevano sempre desiderato tutta la felicità possibile per i loro figli, e se il desiderio più grande di Teresa era di diventare missionaria, allora che andasse per la sua strada. Se mangiare formiche era quello che voleva, bene, che le mangiasse, pensò suo padre!
Tre compagne del suo gruppo di noviziato attestano che aveva un carattere solare e che era una donna che badava molto più ai fatti che alle parole. Teresa prese i primi voti il 3 maggio 1964 nella cappella delle suore a Cesiolo: una ragazza di 24 anni pronta a camminare con il suo Dio in Africa.
Non avendo preparazione di alcun tipo, frequentò un corso biennale intensivo per insegnanti d'asili nido. Altri due anni in Portogallo, per imparare la lingua parlata in Mozambico dove fu in seguito mandata, ed eccola finalmente partire per la terra dei suoi sogni: "Sono finalmente arrivata nella terra che ho sognato per anni. Vi abbraccio e vi ricordo tutti", scrisse alla sua famiglia (8/7/1968).
C'era bisogno di un lasciapassare per uscire dal villaggio. Le attività apostoliche erano forzatamente limitate. Le visite e gli aiuti alle cappelle delle missioni che Teresa amava subirono quasi un arresto. Suor Teresa faceva parte del consiglio pastorale della parrocchia, responsabile delle 35 Piccole Comunità Cristiane. Una in particolare era gestita da lei.
Il lavoro di suor Teresa non si limitava solo alla scuola; molti le si avvicinavano per ogni tipo di aiuto: una buona parola, una spalla su cui piangere per l'ennesima disgrazia, una coperta con cui coprirsi la notte, cibo per i propri figli, medicine per i feriti, un posto dove nascondersi dai banditi. Teresa era solita ascoltarli con pazienza, mostrando comprensione per i loro problemi e aiutandoli ogni volta che poteva. Il nuovo modo per essere presenti nella missione richiedeva apertura mentale, capacità di adattamento a situazioni in costante mutamento, pazienza infinita e tanto amore per la gente e i loro capi. Dopo tutto, la Chiesa aveva bisogno anche di essere perdonata per aver camminato per anni al fianco degli oppressori.
Fare programmi non era il suo forte, suor Teresa di natura lavorava meglio in condizioni precarie. Allo stesso tempo era anche conscia delle sue lacune scolastiche. Quando le fu chiesto di diventare preside della scuola di Netia, sentì tutto il peso della sua inadeguatezza e si fece affiancare da consorelle più preparate che potessero aiutarla e alle quali chiedere consiglio.
Quando si rivolgeva ai suoi allievi, dimenticava completamente se stessa; la loro vita era molto più dura della sua. Faceva tutto ciò che era in suo potere per garantire ai bambini una alimentazione equilibrata; chiedeva aiuti ai parrocchiani di Fane, ricordando loro che dovevano essere generosi allo stesso modo in cui Dio lo era stato con loro: "Ognuno dovrebbe fare la sua parte come suggerisce Cristo; io cerco di fare la mia".
Teresa visse a cavallo tra le due guerre; i primi sette anni durante la guerra per l'indipendenza, gli ultimi dieci durante la guerra civile. Non era una donna che rifletteva sulle questioni politiche, ma non sottovalutava i terribili problemi del paese e tentava nel suo piccolo di gettare le basi per un futuro migliore, educando i bambini mozambicani. Per un breve periodo fu preside della Scuola Missionaria di Netia nel 1968, poi ricoprì lo stesso ruolo a Niemba, finché non ritornò a Netia dove rimase fino al 1976. In quello stesso anno le venne affidato dal governo il posto d'insegnante di scienze e attività manuali a Monapo. Nel 1980 la scuola fu trasferita da Monapo a Netia; qui la vecchia missione divenne Centro Educational - Centro Educativo. Teresa era l' "incaricata della salute", responsabile di 400 studenti. Una madre-infermiera.
Tuttavia, negli ultimi tempi era piuttosto stanca, anche in seguito ad un brutto incidente stradale avvenuto due anni prima, nel quale era rimasta gravemente ferita; per questo motivo, nel 1986, aveva chiesto il permesso di prolungare le vacanze in Italia.
Nel frattempo la guerra civile si era diffusa come un virus contagioso nelle zone di Nampula e Netia: incendi dolosi, saccheggi, rapimenti, esecuzioni pubbliche, imboscate sulle autostrade e conflitti a fuoco divennero sempre più frequenti. L'eventualità di una tragica fine era sempre presente nella mente di suor Teresa: "Sono ancora viva nonostante il caos che regna da entrambe le parti. Sulle strade principali succede il finimondo. Noi siamo serene perché Dio è con noi".
Presagi di morte
La morte la sorprese sulla strada il 3 gennaio 1985. Solo un mese prima era stata invitata dalle sue superiore ad anticipare le vacanze a causa della sua salute e dei pericoli del luogo. La sua replica era stata risoluta: "Lasciare questa gente nel momento di maggior bisogno sarebbe come tradirla". La decisione di Teresa di rimanere accanto alla gente le diede il diritto di sostenere la grandezza di una tragedia che visse in prima persona.
All'epoca era alla missione di Carapira per alcuni giorni di riposo; chiese di accompagnare p. Gino Pastore a Nacala per salutare le suore di quella comunità. Andarono fino a Monapo e lì presero il convoglio militare per Nacala, visto che in quei giorni era d'obbligo viaggiare scortati sulle strade giudicate pericolose. La scorta dell'esercito era in ritardo quel giorno fatale, e i due missionari decisero di tornare a casa. Ma alle 18,30 videro il convoglio passare sulla strada asfaltata e si affrettarono per riuscire a prenderlo alla fermata più vicina; poiché era fuori orario, speravano che il convoglio non venisse attaccato.
Dopo circa 30 chilometri, tuttavia, lungo la strada si potevano vedere delle case che erano state bruciate, da poco e all'improvviso, mentre si stavano immettendo sulla strada maestra, il convoglio cadde in un'imboscata della Renamo. Il primo camion fu colpito dai bazooka. Suor Teresa e p. Gino scesero dalla loro Land Cruiser blu, il sesto veicolo della fila, e si stesero a terra fra le ruote. Poco dopo, quando i ribelli avvicinarono il convoglio con l'intenzione di bruciare tutti i veicoli, i due strisciarono fuori dal loro nascondiglio e si dispersero fra l'erba alta.
I ribelli, tra schiamazzi e grida, avanzavano sempre più, sparando. Le truppe del governo rispondevano nell'inutile sforzo di controllare l'attacco. Ci fu un cruento scambio di pallottole e di granate tra le forze militari. Camion e macchine vennero trasformati in grandi falò. Tra le assordanti esplosioni dei serbatoi di benzina si udiva il gemito disperato dei feriti e degli arsi vivi che si contorcevano agonizzanti e il lamento dei morenti. Lo straziante inferno durò circa un'ora; il lugubre silenzio che seguì era a tratti spezzato dal crepitio delle lamiere che si piegavano nel crepuscolo della notte imminente.
P. Gino era riuscito a raggiungere un villaggio nei paraggi, sperando di vedere Teresa arrivare assieme ad altri superstiti. Iniziò una lunga ed estenuante attesa. Andò a cercarla con alcuni abitanti del luogo; il suo nome veniva gridato sempre più forte: "Teresa, Teresaa, Teresaaa", seguito solo dall'eco. Alla fine il suo corpo fu ritrovato insieme ad altri venti, disteso fra l'erba, addormentato per sempre. Era stata raggiunta da tre proiettili, uno alla testa, uno al torace, e uno alla coscia. Una morte istantanea, senza dubbio.Come avevano potuto vederla i militari nascosta tra l'erba alta? Il dubbio venne fugato grazie a un militare che si era steso accanto a lei durante al battaglia. "Notai che indossava un golf di lana e pensai a mia moglie incinta e a come poteva sentirsi la notte. 'Mama,' chiesi, 'mi daresti il tuo golf per mia moglie che è incinta?'. 'Certamente, con piacere,' rispose, e si mise in ginocchio per toglierselo. Così facendo fu avvistata e colpita". Era morta compiendo il suo ultimo atto di carità.
Quella sera, nonostante il buio, alcuni uomini misero il suo corpo su una barella e lo trasportarono a Monapo. I funerali si svolsero il giorno dopo e per poche ore le fazioni ribelli misero da parte il loro odio e si riunirono attorno alla donna e che molti di loro avevano conosciuto e amato come una madre.
Questi mozambicani colpiti dal lutto, che erano venuti a renderle omaggio, erano "la sua gente", con cui aveva diviso la vita, dando e ricevendo il meglio. Era la povera gente per cui non solo valeva la pena di soffrire, ma addirittura di morire. "Se avessi mille vite, le darei tutte per la salvezza dell'Africa," aveva detto Comboni. Questa sua figlia gli ha veramente reso onore con il suo immancabile sorriso e la sua inesauribile generosità.
Autore: Ida Tomasi
Il robusto albero della Famiglia Comboniana, vede sempre più sbocciare fra i suoi rami un numero crescente di fiori e frutti di santità e di martirio.
Sulla scia del Fondatore, il vescovo san Daniele Comboni (1831-1881), molti missionari e missionarie, hanno donato la loro vita e spesso con il martirio, per i popoli ai quali si erano votati nell’ideale missionario, in Uganda, Mozambico, Brasile, Sudan, ecc.
E in questa eletta schiera, troviamo la suora comboniana Teresa Paola Dalle Pezze di 46 anni, uccisa in Mozambico nel 1985, dopo 17 anni di vita missionaria.
Teresa era nata il 15 ottobre 1939 a Fane di Negrar (Verona) e la sua famiglia composta dal padre Battista, dalla madre Giuseppina e da altri sei fratelli e sorelle, stentava economicamente ad andare avanti, i piccoli appezzamenti di terra che si coltivava, non bastavano a dare un reddito sufficiente, per cui il padre nel periodo estivo si recava a Trento o a Bolzano a lavorare come muratore, stando lontano da casa per mesi.
Teresa da ragazzina, dopo la scuola aiutava la famiglia conducendo al pascolo alcune pecore e caprette e uno stuolo di tacchini e qui con le altre pastorelle del paese, trascorreva i momenti lieti dei giochi tipici dell’età; al ritorno dal pascolo svolgeva i compiti di scuola e poi le pulizie di casa, che faceva con puntigliosa precisione perché amava la pulizia.
Terminate le elementari, Teresa lasciò la sua comunità di Fane per andare a servizio presso una signora di Parona (Verona), praticamente stava lontana tutta la settimana, si fece benvolere per la sua umiltà, buona educazione e diligenza nel lavoro.
Rimase a Parona fino ai 18 anni, quando seguendo l’esempio di due suoi fratelli e delle compagne della frazione, emigrò come loro in Svizzera in cerca di un lavoro stabile e remunerativo.
Era allora la sorte dei giovani di Fane di Negrar, costretti per la povertà del luogo ad essere emigranti, con tutte le conseguenze morali, sentimentali e sociali connesse.
Trovò lavoro in una fabbrica di stoffe situata a Baar nel Cantone Zoug e con l’aiuto delle compaesane già sul luogo, trovò alloggio presso il convitto delle Suore Insegnanti della S. Croce, che dava la necessaria sicurezza.
Per tre anni consecutivi, ritornò al suo piccolo paese e all’amata famiglia, solo nel periodo delle ferie, consegnando ai genitori i risparmi del suo lavoro.
Ormai giovane di 21 anni, non era più la stessa, più raccolta e assidua nel frequentare la chiesa, leggeva libri di formazione spirituale, molto cordiale nel trattare con gli altri.
A Baar non mancava mai di partecipare alle celebrazioni eucaristiche nella Cappella del Convitto, dove spesso venivano ospitati missionari e missionarie di ritorno dalle terre di missione, i quali raccontavano le loro esperienze, trasmettendo nel cuore di Teresa entusiasmo e desiderio di seguire la stessa strada.
Nel 1961 anticipò le ferie a maggio e ai meravigliati genitori comunicò la sua volontà di farsi missionaria; non era una novità per le cattoliche famiglie di Fane, perché una cinquantina di giovani, uomini e donne, avevano ricevuto la vocazione religiosa.
Il padre come già alla partenza per la Svizzera, accettò con l’antica saggezza dei semplici, la scelta della figlia, se questo per lei era la sua pace interiore; e il 19 settembre 1961 Teresa e la madre si ritrovarono ancora una volta a preparare la sua valigia come già fatto per Parona e la Svizzera.
Il 20 settembre entrò nel Noviziato al Cesiolo, presso le “Pie Madri della Nigrizia” (Comboniane), fondate nel 1872 da s. Daniele Comboni; durante il Noviziato Teresa si convinse sempre più che l’ideale missionario del Comboni era fatto per lei; assimilava i racconti delle esperienze missionarie delle prime suore e dei primi missionari e sognava di ricalcarne le orme in terra d’Africa, anche se in quasi cento anni molte suore avevano perso la loro vita ancora giovani.
Ma questa spiritualità radicale, fatta di donazione senza compromessi e di amore incondizionato, affascinò Teresa, come migliaia di altre giovani prima e dopo di lei, presa dal desiderio di essere in prima linea a fianco dei più poveri e indifesi.
A 24 anni compiuti il 3 maggio 1964, Teresa Dalle Pezze nella Cappella del Noviziato, fece i voti di povertà, castità e obbedienza, alla presenza dei commossi genitori e fratelli.
Non fu mandata subito in Africa, ma le Superiore vollero che diventasse maestra di scuola materna per avere una maggiore preparazione per i bambini africani.
Dopo, dal 1966 al 1968, fu assegnata al Seminario comboniano di Visau in Portogallo, frequentato da una settantina di allievi missionari; l’ambiente era povero per cui suor Teresa dovette aiutare in guardaroba, in lavanderia, in cucina e nel contempo imparare la lingua portoghese in previsione di una sua destinazione nella colonia del Mozambico, dove appunto si parlava tale lingua.
E così fu, l’8 luglio 1968 arrivò in Mozambico e scrisse una lettera ai genitori per rassicurarli, aveva rinunciato a tornare in Italia per evitare loro altre lacrime di commiato.
La situazione politica nel Paese africano non era tranquilla, dal 1951 il termine ‘colonia’ aveva dato il posto al termine di ‘provincia’, ma tutti i due termini indicavano un’unica realtà, la supremazia del bianco portoghese, che gestiva le possibilità economiche e della tecnica con grosse Compagnie commerciali di tè, cotone, cocco; c’era disprezzo per i nativi, per la loro lingua e costumi primitivi e inoltre essi erano sfruttati come mano d’opera con paghe irrisorie.
Era naturale, come in tutto il Continente Nero, che sorgessero movimenti indipendentisti, che in Mozambico prese il nome di “Frelimo” e si alimentasse una guerriglia organizzata nelle foreste e nelle periferie delle città.
Qualche vescovo e alcuni missionari anche comboniani, che alzarono la loro voce sul sistema colonialistico portoghese, furono espulsi, ma i tempi erano maturi e il 25 giugno 1975 il Mozambico divenne indipendente.
Seguì un’apparente calma per i missionari, ma il “Frelimo” era un regime rivoluzionario di ispirazione marxista-leninista (finanziato durante la guerriglia dalla Russia) e una volta al potere mise in atto una intolleranza verso la religione, sfociata in vera e propria persecuzione.
In campo civile ci fu la costituzione di “villaggi comuni” nei quali la gente era costretta a trasferirsi per lavorare nelle fattorie statali, vennero istituite le punizioni pubbliche con le frustate e con le fucilazioni dei dissidenti, sequestri di persone, deportazioni in massa dal proprio villaggio.
Nazionalizzando tutto, anche le scuole, le fabbriche, i campi, le chiese e le missioni divennero proprietà dello Stato e i missionari, le suore, i catechisti, ostacolati nel loro compito e insegnamento, dovevano chiedere uno speciale permesso per uscire dalla Missione.
Si cercò nel 1979, di espellere tutti i sacerdoti e suore, ma una sopravvenuta epidemia di colera, che richiedeva con urgenza la presenza benefica delle suore infermiere, fece annullare il progettato piano.
Anche suor Teresa Dalle Pezze fu testimone coinvolta in questo processo di trasformazione della società mozambicana; il suo compito era l’insegnamento, prima a Netia poi a Memba e a Monapo e di nuovo a Netia; nonostante le difficoltà evidenti, cercò sempre di seguire con scrupolo le ragazzine sue alunne.
I missionari e le suore ormai diciamo ad “arresto domiciliare” non potevano più muoversi ed evangelizzare il popolo, per cui visto la carenza di insegnanti statali, si proposero al Governo come semplici insegnanti per servire il Paese, così avrebbero potuto avere un po’ di contatto con il popolo.
Anche suor Teresa, smesso l’abito religioso, secondo le nuove regole per gli statali, accettò d’insegnare Scienze e lavori manuali nelle classi quinta e sesta di Monapo dove rimase dal 1976 al 1980.
Ben presto il nazionalismo, al pari del colonialismo, dimostrò tutti i suoi limiti, e i cittadini sradicati dalle loro terre e abitudini, avviliti per una incalzante povertà e mancanza di produttività, colpiti anche da disgrazie naturali come cicloni, inondazioni, siccità, con il seguito di epidemie, produssero di nuovo il fenomeno della guerriglia contro il Governo.
La repressione fu dura da parte delle forze governative e la popolazione ancora una volta si trovò in mezzo ai contendenti; massacri si compivano da ambo le parti con attentati, e imboscate a treni, strade, ponti; la debole economia nazionale crollò e file di affamati si ponevano davanti ai negozi vuoti delle città.
Per suor Teresa aumentarono le difficoltà, ma pur tra le proibizioni in corso, ella si adoperò per dare il massimo aiuto possibile ai circa 620 alunni e alunne che frequentavano la scuola e le razioni di cibo da distribuire loro, erano purtroppo scarse; in suo aiuto arrivavano fondi raccolti dal Centro Missionario di Verona e di Fane, dall’Ospedale di Negrar giungevano campioni di medicinali.
Scriveva suor Teresa “nonostante la fame, la siccità, le malattie e la morte, mi viene da gridare: ”.
L’attività di evangelizzazione proseguì comunque, anche se quasi clandestina; personalmente ebbe un incidente stradale abbastanza grave, che le fece provare la sofferenza fisica, che suor Teresa offrì al Signore con fede; nel 1970 e 1982 le morirono i genitori, al padre aveva scritto una lettera di ringraziamento per tutta la comprensione dimostratale per la sua vocazione missionaria, lettera che arrivò qualche giorno dopo la morte; aveva visitato la madre nel 1981, già ammalata grave ma aveva dovuto ripartire, perché le scadeva il permesso di rientro in Mozambico.
La situazione di conflitto tra Governo e guerriglia, era sempre più tragica, componenti della stessa famiglia venivano arruolati con la forza nelle due fazioni armate e tutto era insicuro, soprattutto lo spostarsi da una zona all’altra, per questo occorreva una scorta di soldati.
Anche suor Teresa fu nella necessità di recarsi da Carapira, dove si trovava durante le vacanze natalizie scolastiche, per riprendersi un poco in salute, a Monapo per chiedere gli opportuni permessi per far ritorno in Italia alla fine dell’anno scolastico, per un periodo di aggiornamento voluto dalla Superiora, in effetti si trattava di farla riposare in po’ per la continua angoscia in cui si viveva.
Il 3 gennaio 1985 insieme al missionario padre Gino Pastore, si mise in cammino per Monaco, dove poi si aggregarono al convoglio militare che proseguiva oltre verso Nacala, dove si doveva recare anche padre Gino e che suor Teresa accettò di proseguire con lui, per salutare le suore comboniane di quella comunità.
Lungo la strada a qualche km da Monapo, il convoglio militare fu attaccato dai guerriglieri a colpi di bazooka, colpendo in pieno il primo camion; tutti scesero dai veicoli nascondendosi ai bordi della strada fra l’alta erba.
I guerriglieri avanzavano sparando su militari e civili, incendiando le auto; i soldati rispondevano come potevano. Padre Gino correndo fra l’erba con gli altri, raggiunse un vicino villaggio e con stupore vide che suor Teresa non l’aveva raggiunto con gli altri scampati all’imboscata; tornò indietro con alcuni volontari del villaggio, chiamandola e cercandola fra l’erba, finché la trovò a terra come se dormisse, colpita da tre pallottole, alla testa, al petto e all’anca, certamente era morta sul colpo.
Un giovane soldato che era accanto a lei quando fu colpita, raccontò che durante un intervallo della sparatoria, stando vicini nell’erba egli aveva notato che suor Teresa indossava una maglia di lana sopra il vestito e le disse: “Mama, mi regaleresti il tuo maglione? Mia moglie aspetta un figlio e di notte fa freddo, in casa non abbiamo niente”.
Suor Teresa non se lo fece ripetere e in un impeto caritatevole, tralasciò la prudenza e si mise in ginocchio per sfilarlo, bastò per diventare il bersaglio di uno o più guerriglieri e il primo colpo fatale la raggiunse alla testa.
La salma trasportata a Monapo e poi a Carapira, fu oggetto di un gran funerale con una massiccia partecipazione di popolo di ambo le parti; quel giorno la guerra si fermò affinché quella donna di pace potesse scendere nella tomba in pace.
Fu tumulata nel cimitero di Carapira e sul luogo dell’eccidio delle oltre venti vittime, i cristiani del Mozambico hanno eretto una grande croce a loro ricordo e della suora italiana che non aveva frontiere.
Anche papa Giovanni Paolo II nell’udienza generale di mercoledì 9 gennaio 1985, la ricordò commosso ai fedeli.
Il vescovo di Nampula disse di lei: “Suor Teresa ha fatto della sua morte violenta la sua ultima offerta per il popolo e per la Chiesa in Mozambico”.
Autore: Antonio Borrelli
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