Con padre Paolo Ponzi, quasi coetanei, vissero ambedue l’ideale missionario seguendo il carisma e le finalità dei Comboniani, fondati nel 1867 da San Daniele Comboni (1831-1881) vescovo missionario in Africa, originario di Limone sul Lago di Garda e insieme offrirono la loro vita per salvare quella di un ragazzo africano.
Don Mario Pozza Nacque il 21 dicembre 1935 a Lusiana (Vicenza), la sua famiglia composta dal padre Cristoforo Pozza, dalla mamma Caterina Ronzani e da ben 10 figli, era religiosa e forte nella fede come le belle famiglie di un tempo; fra i giovani figli ben quattro si sarebbero consacrati a Dio, Mario fu il primo a rispondere alla vocazione, che sin dal primo momento era indirizzata verso la vita missionaria. Così terminate le scuole elementari, con il consenso dei genitori e con l’approvazione scritta del suo parroco, l’adolescente Mario entrò nel Seminario Comboniano Missionario di Padova, dove insieme a quasi un centinaio di allievi, prese a studiare e a prepararsi per il lungo cammino che l’avrebbe condotto in Africa. Dopo le tre medie fu trasferito all’Istituto Comboni di Brescia per il biennio del ginnasio, frequentato con lodevole impegno. Il 29 settembre 1952 il diciassettenne Mario Pozza fece il suo ingresso nel Noviziato dei Missionari Comboniani, “Figli del Cuore di Gesù”, di Firenze, per intraprendere il cammino finale per raggiungere la meta del suo ideale; il noviziato in effetti è il periodo della conoscenza e scelta definitiva di un giovane, nei confronti dell’Istituto religioso prescelto e viceversa, con lo scopo di vedere se possono convivere tutta la vita. Il giudizio che diede di lui il Maestro dei novizi al termine del noviziato, fu lusinghiero e terminava così: “Come intelligenza mi pare il migliore, anche in tutto il resto mi pare il migliore”. Emise i voti il 9 settembre 1954 poi partì per Verona dove c’era la sede del liceo e del quarto anno di filosofia; anche dopo questi quattro anni il giudizio del preside fu positivo: “È buono, intelligente, giudizioso, di lui ci si può fidare. Come carattere è piuttosto duretto, ma più con se stesso che con gli altri” (25 maggio 1958). Da Verona fu mandato a Roma all’Università Urbaniana, dove si laureò in teologia con specializzazione in pedagogia e a Roma fu ordinato sacerdote il 18 marzo 1961. Raggiunta ormai la sospirata meta dopo tanti anni di studio e spostamenti in varie città d’Italia, don Mario Pozza si attendeva di essere mandato in Africa come aveva sempre sognato, invece in tutta fretta fu destinato in Inghilterra, come insegnante, prefetto degli studi ed economo presso lo Scolasticato di Sunningdale; pur in preda alla delusione, seppe non protestare e sorridendo si recò alla nuova sede. Nonostante i vari tentativi di farsi destinare in Africa, i Superiori lo tennero a Sunningdale per cinque anni fino al 1967; qui fra l’altro si trovò ad essere professore di filosofia anche del fratello minore Aldo, anch’egli avviato verso il sacerdozio. Finalmente nel dicembre 1967 gli arrivò la lettera da Roma che lo destinava all’Uganda; partì dall’aeroporto di Fiumicino salutato dalle lacrime di commozione della mamma e di don Aldo, il fratello diventato sacerdote comboniano nel 1966. Il padre era rimasto a casa per accudire le bestie della stalla, ma aveva pianto, lui tipo così duro, perché diceva “Non ti vedrò più”. Giunse in Uganda a fine dicembre 1967 e raggiunse la Missione di Masindi come coadiutore, rimase in questa località a fare esperienza per due anni, fino al 31 dicembre 1969. Dal 1° gennaio 1970, il Superiore dei Comboniani d’Uganda, gli affidò la fondazione di una nuova missione a Kigumba, ritenendolo adatto nonostante che egli facesse presente che era in Africa da soli due anni. Non era una cosa facile, nella zona si parlavano ben quattro lingue, che doveva imparare per farsi capire; comunque con la testardaggine sua e la concretezza dei contadini veneti, prese a conoscere la gente, visitava i villaggi, parlava con tutti, specie con gli anziani, consolava i malati, raccoglieva i ragazzi intorno a sé, coinvolgeva gli abitanti nella costruzione degli edifici sociali e religiosi, facendoli così partecipi e responsabili. Ci fu una parentesi nell’agosto 1971, quando padre Agostoni, Generale dei Comboniani, lo pregò di ritornare a Roma a fare il direttore di teologia agli studenti, seguendoli e formandoli; gli sembrò che tutto crollasse, per cui dopo lunga riflessione, pur accettando per obbedienza, scrisse al Generale con parole adatte, facendo presente tutti i suoi limiti personali e come comboniano, per quel compito così gravoso, inoltre tutta la sua sofferenza d’interrompere un lavoro apostolico appena iniziato. Gli fu concesso di rimanere in Uganda, nemmeno un anno dopo la sua giovane vita si spegneva in un atto di eroica generosità.
La tragedia di Kigumba La giovane missione di Kigumba, ancora in fase di costruzione, era situata quasi al centro dell’Uganda; aveva una semplice casa per i missionari e una chiesetta fatta di paglia e fango. Il lavoro missionario prometteva bene, perché la vasta zona pianeggiante e fertilissima, era densamente abitata e i nativi affluivano alla missione in buon numero; padre Mario Pozza, il Superiore della piccola missione, diventata parrocchia nell’Epifania del 1972, aveva illustrato in quel giorno ai fedeli, il programma di loro missionari, alla luce dei nuovi concetti ribaditi dal Concilio Vaticano II. “Lavoreremo insieme!”, cioè il missionario europeo non doveva essere più il protagonista del tempo passato, bensì l’umile collaboratore del sacerdote indigeno, il fratello, l’amico del popolo, dei catechisti, alle dipendenze del vescovo africano. E dei programmi e dell’attività futura da attuare nel vasto territorio, costellato di cappelle e punti catechistici, si parlava a tavola quel giorno 3 giugno 1972, fra padre Mario Pozza e padre Paolo Ponzi, mentre consumavano il pranzo portato in tavola dalla cuoca del Kenia, Jusina. Quasi al termine del pranzo la cuoca portò un vassoio di frutta, banane e manghi, padre Pozza non vedendo il coltello per sbucciare il mango, chiese al ragazzo che aiutava in cucina di andarlo a prendere. Dopo qualche minuto un acuto grido li fece sobbalzare, ed entrambi corsero nel cortile, dove altri ragazzi giocavano e proprio questi avevano dato l’allarme gridando; era successo che il ragazzo aiuto-cuciniere aveva già buttato gli avanzi del pranzo nel cosiddetto “pozzo dei rifiuti”, profondo buco di sei-sette metri, scavato qualche tempo prima dai missionari per cercare acqua, poi abbandonato perché non ve n’era. Invece di riempirlo di nuovo si pensò di utilizzarlo come scarico dei rifiuti di cucina e una scaletta di bambù era appoggiata all’interno così da permettere di scendere e salire, se fosse caduto qualche oggetto da recuperare. Il ragazzo alla richiesta del coltello, ricordò che forse l’aveva gettato nel pozzo insieme agli avanzi e di corsa scese per cercarlo; rimestando con le mani i rifiuti in fondo al pozzo, fece esalare gas velenosi che lo fecero svenire e rimanere sul fondo in imminente pericolo di vita. I due missionari si affacciarono sul pozzo e lo videro disteso immerso come in un sonno profondo; allora padre Mario Pozza incurante del pericolo, subito si calò nel pozzo, prese il ragazzo e faticosamente prese a risalire la scaletta. In prossimità dell’imboccatura, padre Paolo Ponzi si protese verso il basso, afferrando il ragazzo e tiratolo fuori, lo adagiò sull’erba e quasi subito questi diede segni di vita. Contemporaneamente però un tonfo attirò l’attenzione di padre Ponzi, che affacciatosi sul pozzo vide sul fondo padre Mario che giaceva svenuto dopo aver lasciato la scaletta, colpito dai miasmi. Intuì subito il grave pericolo, ma non c’era tempo da perdere, scese anche lui, raggiunse il confratello e cercò di sollevarlo ma finì per accasciarsi sopra, colpito e stordito anche lui dai gas velenosi. Tutta la comunità insieme al vescovo di Hoima si riunì intorno al pozzo della morte, nel quale era stato proibito di scendere dal Capo villaggio, visto il pericolo per tutti e l’inutilità dell’intervento. Da Kampala accorsero i missionari don Marchetti e fratel Rizzo, avvertiti per telefono dal vescovo. Verso sera arrivarono da Kampala i Vigili del Fuoco, che muniti di maschera poterono estrarre i corpi dei due eroici missionari, ricomposti poi dalle suore comboniane nella saletta della Missione. Il ragazzo si salvò e visse nell’ambito della missione. Il funerale fu celebrato il giorno dopo con la partecipazione del vescovo, dei missionari venuti da ogni parte, dalle suore, da una folla piangente di fedeli, alla presenza di don Aldo Pozza, fratello di don Mario, missionario da poco più di un anno. Furono sepolti nel cimitero di Gulu, in attesa che la chiesa della missione di Kigumba fosse ultimata. Nel 1982 furono traslati nella nuova chiesa, dove tuttora riposano fra la loro gente e su una parete laterale, il comboniano fratel Vittorio Fanti, che aveva decorato la chiesa, affrescò la scena del martirio d’amore di questi due apostoli di Kigumba. In Italia il Presidente della Repubblica, conferì nel 1975 e nel 1977 la medaglia d’oro al valor Civile ai due eroici missionari.
Autore: Antonio Borrelli
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