“Ricordo dei Santi Sette Dormienti di Efeso, che, come si narra, consumato il martirio, riposano in pace, aspettando il giorno della resurrezione”: in modo così assai scarno il nuovo Martyrologium Romanum ricorda questi misteriosi personaggi la cui leggenda è una delle più fiabesche nel campo dell’agiografia cristiana.
Si narra che l’imperatore Decio, grande persecutore dei cristiani, verso il 250, in occasione di un suo viaggio in Oriente, chiamò davanti al tribunale sette giovani cristiani di Efeso, città un tempo famosa per il tempio di Diana, una delle sette meraviglie del mondo, e poi per la devozione alla Madonna. Tra un interrogatorio e l’altro, i sette riuscirono a fuggire ed a nascondersi in una grotta. Furono però scoperti e, per ordine dello stesso imperatore, murati vivi al suo interno. Ai ragazzi allora, non restò che prepararsi a morire in grazia di Dio ed a tal fine si stesero a terra. Caddero però inaspettatamente in un profondissimo sonno. Non appena si svegliarono, si videro attorniati da facce stupite che li osservavano. Il muro della grotta era stato abbattuto da un pastore che voleva ricavarne un ricovero per le sue bestie. I sette, convinti di essersi addormentati il giorno prima, si informarono se fuori ci fosse ancora pericolo, ma dopo qualche battuta si giunse a capo del madornale equivoco: avevano dormito per ben due secoli per risvegliati dunque attorno al 450 sotto l’imperatore Teodosio II, cristiano, ma con poca fede nella risurrezione. La versione cristiana della vicenda dei sette dormienti vi sono principalmente due fonti: la prima è Gregorio di Tours, mentre la seconda versione è contenuta nella Leggenda Aurea, grandiosa opera di Jacopo Da Varazze, du cui si ripota di seguito la versione dei fatti.
“I Sette Dormienti nacquero nella città di Efeso. Quando l’imperatore Decio perseguitava i cristiani andò a Efeso e fece edificare dei templi in mezzo alla città, perché tutti si unissero a lui per sacrificare agli dei. Fece cercare tutti i cristiani e li fece mettere in catene, obbligandoli a scegliere se sacrificare agli dei o morire: tale era il terrore che l'amico rinnegava l’amico, il padre il figlio e il figlio il padre. C’erano in quella città sette cristiani, Massimiano, Malco, Marciano, Dionisio, Giovanni, Serapione e Costantino, che, considerata la situazione, se ne rammaricavano molto. Essendo molto in vista alla corte, non volendo sacrificare agli dei, stavano nascosti in casa, sempre intenti in digiuni e preghiere. Processati in presenza di Decio, e dimostrato che erano realmente cristiani, furono lasciati in libertà, fino al ritorno dell'imperatore, perché avessero il tempo di ravvedersi. Ne approfittarono invece per distribuire tutti i loro averi ai poveri. Decisero di ritirarsi sul monte Celion, dove avrebbero potuto rimanere nascosti. Così rimasero a lungo nascosti, mentre uno di loro serviva gli altri, e ogni volta che andava in città assumeva le vesti e l'aspetto di un mendicante.
Quando Decio tornò in città, mandò a cercare i sette per farli sacrificare. Malco, che serviva loro, ne fu atterrito, tornò dagli altri e riferì le brutali intenzioni dell'imperatore. Dato che tutti avevano paura, Malco dette loro i pani che aveva portato, perché, rifocillatisi, acquistassero più forze per la battaglia. Poi cenarono, sedendo e parlando tra lamenti e lacrime, e, come Dio volle, si addormentarono. La mattina li cercarono, ma senza successo; Decio si doleva di aver perso dei giovani di tale valore. Furono poi accusati di essere nascosti sul monte Celion, di aver distribuito tutti i loro averi ai poveri e di non aver assolutamente cambiato proposito.
Decio allora fece venire i loro genitori, minacciandoli di morte se non avessero detto tutto quello che sapevano. Anche loro fecero le stesse accuse, e si lamentarono che le ricchezze erano state tutte date ai poveri. Decio allora pensò cosa fare di loro, e ispirato da Dio, fece chiudere l'ingresso della caverna con un muro di pietre, perché i sette, rinchiusi là dentro, morIssero di fame e di stenti.
Così fecero gli incaricati, e due cristiani, Teodoro e Rufino, descrissero tutto il loro martirio, e nascosero il testo fra le pietre della prigione. Morto Decio e morti tutti i contemporanei, nel 371, nel trentesimo anno d'impero di Teodosio, si diffuse l'eresia di coloro che negavano la resurrezione dei morti e Teodosio, imperatore cristianissimo, ne fu molto rattristato, poiché vedeva essere messa in pericolo la fede con una tale empietà. Ogni giorno si ritirava a piangere in un luogo appartato, indossando il cilicio. Iddio, vedendo questo, volle consolare quelli che piangevano e confermare la speranza nella resurrezione; apri il tesoro della sua pietà e risvegliò i martiri di cui si è parlato. Mise allora in mente a un efesino di costruire su quel monte alcuni ovili per i suoi pastori. Quando i muratori aprirono la grotta, i santi si svegliarono e si salutarono l’un l’altro, convinti di aver dormito una sola notte, e ricordandosi delle pene del giorno precedente, chiesero a Malco, che si occupava di loro, che cosa aveva deciso Decio in merito della loro sorte.
Ma egli rispose la stessa cosa che aveva risposto la sera prima: - Ci è stato richiesto di sacrificare agli idoli: ecco cosa vuole da noi l' imperatore.
Massimiano rispose: - Ma Dio sa che non sacrificheremo.
Dopo aver confortato i compagni ordinò a Malco di scendere in città a comprare il pane, un po' più che il giorno precedente e tornare a riferire cosa aveva disposto l' imperatore. Marco prese cinque soldi, uscì dalla spelonca, vide le pietre ammassate, se ne stupì, ma pensando ad altro, non vi dette molto peso.
Arrivò, circospetto, alla porta della città, e si meravigliò molto di vedervi esposto il segno della croce; andò allora a un'altra porta e di nuovo vide il segno della croce, e si stupì ancora di più. Andò a vedere tutte le porte, e sempre c'era il segno della croce: la città era cambiata. Si fece il segno di croce e tornò alla prima porta, convinto di star sognando: Si copri la faccia e avvicinatosi ai venditori di pane, sentì che tutti parlavano di Cristo, e, al colmo dello stupore esclamò: - Com'è che ieri nessuno osava neppur nominare Cristo, e oggi tutti proclamano il suo nome? Forse questa non è la città di Efeso, perché è diversa: ma non conosco altre città fatte così.
Ma quando gli fu risposto che si trattava veramente di Efeso, credette di essersi sbagliato, e pensò di tornare ai compagni. Decise comunque di andare dai venditori di pane, ma quando tirò fuori le monete d'argento, i venditori stupiti credettero che il ragazzo avesse trovato un antico tesoro. Malco, vedendo che confabulavano tra di loro, pensò che volessero portarlo dall'imperatore, e allora per la paura li implorò di lasciarlo andare e di tenersi il pane e le monete d'argento.
Allora quelli lo fermarono e gli dissero: - Ma tu da dove vieni? Se hai trovato dei tesori degli antichi imperatori, diccelo, e saremo compari: ti terremo nascosto, altrimenti tutti lo sapranno.
Malco per la paura non sapeva più cosa dire; gli altri, visto che stava zitto, gli misero una fune al collo e lo trascinarono per tutte le strade fino in centro alla città; intanto si diffuse la voce che un giovane aveva scoperto dei tesori.
Tutti si accalcavano attorno a lui, e lui voleva convincerli di non aver trovato nulla; guardava attorno ma nessuno lo riconosceva, e lui pure, guardando la folla, voleva trovare qualche suo parente - che credeva in buona fede fosse vivo e vegeto - e non trovando nessuno stava in mezzo alla gente della città come uno scemo.
Quando lo seppero il vescovo san Martino e il proconsole Antipatro, che era appena giunto in città, dettero disposizione di portare loro, con cautela, quell'uomo e le sue monete d' argento. Mentre era condotto alla chiesa dalle guardie pensava che lo stessero portando dall'imperatore. Il vescovo e il proconsole, meravigliati delle monete d'argento, gli chiesero dove aveva trovato quel tesoro sconosciuto, ma lui rispose che quei soldi venivano dal sacchetto del suoi genitori. Alla domanda da che città venisse, rispose: - Sono di questa città; è ben Efeso, no? - Fai venire i tuoi genitori, - disse allora il proconsole, - che possano giustificarti. Quando però disse i loro nomi, nessuno li conosceva, e pensarono che stesse architettando qualcosa per poi poter scappare. Il procuratore gli disse: - Come vuoi che facciamo a credere che questi soldi siano dei tuoi genitori, se la scritta che c' è sopra dice che hanno più di trecentosettantasette anni?
Risalgono ai primi anni di Decio imperatore e sono del tutto diversi dalle monete d’argento dei nostri giorni. Vorrai mica che i tuoi genitori siano così vecchi? Tu, ragazzo vuoi forse prenderti gioco dei sapienti di Efeso? Ti affiderò alla Giustizia, fino a che non confesserai cosa hai trovato.
Malco allora si gettò ai loro piedi e disse: - Signori, per carità di Dio, ditemi ciò che vi chiedo, e io vi aprirò il mio cuore. L' imperatore Decio, che è stato in questa città, dove è ora? - Non c'è ai giorni nostri, - rispose il vescovo, - un imperatore di nome Decio; ce ne fu uno molto tempo fa.
- Mio signore, questo mi stupisce, e nessuno mi crede. Seguitemi, però, e vi farò vedere i miei compagni, che sono nel monte Celion, e a loro crederete. So di certo che siamo scappati dal cospetto di Decio, e io proprio ieri sera l 'ho visto entrare in questa città sempre che questa città sia proprio Efeso.
Il vescovo pensieroso disse al proconsole: - Dio vuol mostrarci una qualche prodigiosa visione attraverso questo ragazzo. Dunque lo seguirono, e con loro venne una gran folla di gente dalla città. Entrò per primo Malco dai suoi compagni, poi il vescovo, che vide fra le pietre la lettera con due sigilli d'argento. Chiamata la folla attorno la lesse, e tutti quelli che l 'ascoltavano erano pieni di meraviglia. Vedendo i santi di Dio seduti nella grotta freschi come rose, si gettarono a terra a glorificare il Signore. Il vescovo e il proconsole mandarono a dire a Teodosio di venire presto a vedere il grande prodigio compiuto da Dio in quei giorni. Subito alzandosi dal sacco su cui giaceva a terra piangendo, venne da Costantinopoli a Efeso rendendo grazie a Dio; tutti quelli che gli si facevano intorno andarono con lui alla grotta. Appena i santi videro l'imperatore, i loro volti risplendettero, e l'imperatore si gettò ai loro piedi rendendo gloria a Dio; rialzatosi li abbracciò, e pianse su ciascuno di loro dicendo : - Vi guardo ed è come se vedessi il Signore che resuscita Lazzaro.
Allora san Massimiano disse: - Credici, è per causa tua che il Signore ci ha resuscitati proprio alla vigilia della festa della Resurrezione, e credi che la resurrezione dei morti è una verità. In verità noi siamo risorti e viviamo, e come un bambino sta nell'utero della madre senza sentire urti, cosi anche noi fummo vivi, giacendo addormentati, senza sentire alcuno stimolo.
Pronunciate queste parole sotto gli occhi di tutti reclinarono nuovamente il capo a terra, addormentandosi e rendendo lo spirito, come Dio volle. L 'imperatore si rialzò e cadde su di essi piangendo e baciandoli. Avendo l’imperatore deciso di farli riporre in sepolcri d'oro, la notte stessa apparvero all'imperatore dicendo che, come sino a poc'anzi erano giaciuti in terra e dalla terra erano risorti, così li lasciasse, sino a che il Signore non concedesse una seconda resurrezione. L’imperatore allora dispose che quella località fosse adornata di pietre dorate, e che tutti i vescovi che professavano la fede nella resurrezione fossero prosciolti”.
La vicenda di questi intrepidi testimoni della fede è divenuta tanto popolare da trovare spazio anche nell’islamico Mito della Caverna contenuto nel Corano alla Sura XVIII. Ma questo non è che uno dei vari casi di santi cristiani che godono di una certa forma di venerazione anche da parte mussulmana, come anche San Giorgio e Santa Caterina d’Alessandria. A Chenini, paese facilmente raggiungibile da Tataouine, sorge ancora oggi uno splendido edificio a loro dedicato. Edificato verso il 1100 dai Berberi, il paese pare un formicaio su montagne cosparse di grotte e caverne. Oggi disabitato, si può però ancora visitare la Moschea dei Sette Dormienti, costruita intorno al 1250 vicino ad un cimitero con alcune gigantesche tombe, in cui secondo la leggenda riposano le spoglie mortali dei Sette Dormienti. L’Islam li interpreta quali personaggi mitici che, convertitisi al cristianesimo, morirono solo apparentemente per poi risvegliarsi dopo la predicazione di Maometto e convertirsi alla vera fede, cioè a loro giudizio l’Islam. Appagarono così la loro sete di verità e poterono morire in pace.
Indipendendemente da quale tradizione sul loro conto si preferisca prendere in considerazone, resta dunque fermo come comune denominatore il loro porsi alla ricerca della Verità e la pazienza di vegliare per aspettare il momento di darle testimonianza.
Autore: Fabio Arduino
Questa storia è veramente fiabesca. Tutto inizia nell’anno 250 a Efeso, nell’attuale Turchia. Sette giovani, Costantino, Dionisio, Giovanni, Massimiano, Malco, Marciano e Serapione, vengono convocati dal crudele imperatore romano Decio, persecutore dei cristiani. L’imperatore li lascia liberi e si reca in un’altra città, però minaccia i sette giovani che al suo ritorno li avrebbe scovati dappertutto e che, se non avessero rinnegato il loro Gesù, li avrebbe giustiziati. I Sette decidono di regalare i loro averi ai poveri, tenendosi solo alcune monete, e di rifugiarsi sul Monte Celion, in una grotta. Ogni tanto Manlio si reca in città travestito da mendicante per comprare cibo. Un giorno il giovane apprende la notizia che l’imperatore è ritornato. Corre più forte che può senza acquistare nulla e torna dai suoi compagni che, malgrado la paura, alla sera si addormentano. Decio, intanto, è riuscito a farsi rivelare il loro nascondiglio e, durante la notte, ordina ai suoi soldati di murare l’ingresso della grotta. Il destino dei Sette cristiani è di morire di fame e di sete.
Invece, il giorno dopo i Sette si svegliano e mandano Manlio in città per avere notizie di Decio e per procurarsi il pane. Manlio esce dalla caverna e vede tante pietre sparse qua e là che il giorno prima non c’erano. Procede, poi, verso Efeso e nota delle case nuove e ad ogni porta incisa una croce. Rimane sbalordito ma la fame lo porta subito a cercare un panettiere. Chiede sette pagnotte e consegna una moneta. Il commerciante guarda stupito la moneta e, con tono accusatorio, chiede al giovane se avesse trovato un tesoro, ma il giovane balbetta che la moneta è sua. Non creduto viene portato davanti al console romano e al vescovo che, dubbiosi, ascoltano il suo racconto. Quella moneta ha impresso il nome di Decio, l’imperatore romano vissuto duecento anni prima. Che cosa è successo? Manlio accompagna il console e il vescovo, seguiti dalla folla, alla grotta dove li attendono gli altri compagni. Qui il vescovo, in mezzo alle pietre, trova un foglio ingiallito dal tempo dove viene descritto il martirio dei Sette giovani che hanno dormito per due secoli e si sono risvegliati verso il 450, quando un pastore ha demolito il muro perché intenzionato ad usare la grotta come rifugio per i suoi animali. Intanto il Cristianesimo è diventata religione dell’impero. Si grida subito al miracolo, e i Sette Santi Dormienti, protettori di chi soffre d’insonnia, questa volta, si addormentano per sempre.
Autore: Mariella Lentini
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