m. Costantinopoli, 847
È la figura di un patriarca di Costantinopoli ai tempi della Chiesa indivisa, la figura che il calendario liturgico presenta oggi alla venerazione dei fedeli. Siciliano d'origine (la sua formazione sarebbe avvenuta a Siracusa), Metodio fu monaco sull'isola di Chio prima di essere chiamato a Costantinopoli dal patriarca san Niceforo. Erano quelli gli anni in cui divampava lo scontro sulle icone. Fermo difensore della venerazione delle immagini, quando l'imperatore iconoclasta Leone V l'Armeno depose il patriarca Niceforo, Metodio si recò a Roma per informare papa Pasquale I dell'accaduto. Alla morte di Leone, il Papa inviò Metodio a Costantinopoli con una lettera in cui chiedeva fosse reinsediato come legittimo patriarca. Ma la lotta non era ancora finita: ad attenderlo trovò infatti il carcere, dove rimase per anni. Solo con l'avvento dell'imperatrice Santa Teodora, verrà la svolta definitiva in favore delle icone. E Metodio tornerà sulla sede patriarcale di Costantinopoli. Morirà nell'847. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Costantinopoli, san Metodio, vescovo, che, mentre era monaco, si recò a Roma dal papa Pasquale I per difendere il culto delle sacre immagini e, elevato all’episcopato, celebrò solennemente il trionfo della retta fede.
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San Metodio, patriarca di Costantinopoli, ebbe un ruolo coraggioso nella sconfitta definitiva dell'iconoclastia e dimostrò un'immane forza di sopportazione durante la prigionia. Spesso viene citato con gli appellativi “il Confessore” o “il Grande”. Di origini sicule, ricevette un'ottima educazione presso Siracusa. Si trasferì poi a Costantinopoli per assicurarsi un posto a corte, ma poi influenzato da un monaco decise di entrare nel monastero di Chenolacco. In seguito egli stesso intraprese la fondazione di un monastero sull'isola di Chio, nel Mar Egeo, dal quale fu richiamato nella capitale dal patriarca San Niceforo. Il movimento iconoclasta, che sin dal tempo dell'imperatore Leone l'Isaurico (717-741) sosteneva la discruzione delle immagini sacre e l'abrogazione del culto dei santi, nonostante sconfitto nell'VIII secolo con San Giovanni Damasceno, all'inizio del secolo successivo trovò nuovo appoggio nell'imperatore Leone V l'Armeno, anche a causa delle pressioni e delle influenze provenienti dalla nascente dottrina islamica. Alcuni cristiani temevano che la venerazione delle immagini potesse degenerare in pratiche superstiziose, ma Metodio argomentò a buon ragione che le statue o le icone costituiscono un aiuto alla devozione, un'eredità della tradizione ecclesiastica. Si oppose dunque coraggiosamente a questo nuovo attacco. Dopo la deposizione e la condanna all'esilio del patriarca Niceforo, Metodio fu incaricato da altri vescovo di recarsi a Roma per informare papa San Pasquale I dell'accaduto e qui rimase sino alla morte di Leone. Il papa inviò poi una lettera al nuovo imperatore, Michele il Balbuziente, chiedendogli di reinsediare Metodio, legittimo patriarca di Costantinopoli. Nella città, però, infuriava ancora la controversia ed al suo arrivo venne accusato di aver costretto il papa: venne allora imprigionato per circa sette o nove anni. Fu dunque costretto a vivere in condizioni disumane, rinchiuso forse in una grotta od in una tomba con altri due compagni, accusati di furto. Quando uno dei due morì, fu miseramente lasciato imputridire nella cella. Quando venne infine scarcerato, Metodio era ormai ridotto ad uno scheletro, calvo, pallido per i lunghi anni trascorsi nelle tenebre, abbigliato di sudici cenci. Era però rimasto intatto il suo spirito, tanto che quando l'imperatore Teofilo l'Iconoclasta rinnovò l'interdetto per le sacre icone egli coraggiosamente attaccò la venerazione delle immagini imperiali: “Se un immagine è così indegna ai tuoi occhi, come mai tu che condanni la venerazione delle immagini di Cristo allo stesso tempo non condanni quella tributata alle raffigurazioni di te stesso?”. L'imperatore non esitò allora a farlo fustigare e gettare in carcere con una mandibola rotta: la notte stessa i discepoli tentarono di farlo fuggire. Teofilo morì fortunatamente poco dopo ed il potere passò nelle mani della vedova, l'imperatrice Santa Teodora, che resse il regno in nome del figlio minorenne Michele III, dando una decisiva svolta alla politica di corte schierandosi in favore del culto delle immagini. Cessarono così le persecuzioni e gli ecclesiastici esiliati poterono fare ritorno. Nel giro di trenta giorni le icone tornarono a comparire nelle chiese di Costantinopoli e, deposto il patriarca iconoclasta, Metodio poté nuovamente fare ritorno alla sua legittima sede, dotato di un bendaggio atto a sorreggere la mandibola ancora fratturata. Il suo episcopato durò quattro anni, in cui convocò con Teodora un sinodo che ristabilì ufficialmente il culto delle immagini, riportò a Costantinopoli le reliquie del suo predecessore morto in esilio ed istituì la festa annuale dell'Ortodossia, che ancor oggi è celebrata in Oriente la prima domenica di Quaresima, componendo per l'occasione il “synodicon” da leggersi in tale occasione. Sfortunatamente ereditò da Niceforo la disputa con i monaci studiti, all'inizio tra i suoi più accesi sostenitori, ma in seguito acerrimi nemici dopo la condanna da lui tributata ad alcuni scritti del loro celebre abate San Teodoro Studita. Scrittore assai prolifico, purtroppo non sono però più considerate autentiche gran parte delle opere poetiche e teologiche a lui un tempo attribuite, mentre paiono essere sue alcune opere agiografiche quale la Vita di San Teofano il Cronografo. Metodio morì in Costantinopoli nell'847.
Autore: Fabio Arduino
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