Paolo, nel brano della Lettera ai Romani (13,8-10) che si legge in questa domenica, non ha esitazione nel riassumere tutta la legge divina in una parola, agàpe, “amore”. «Chi ama il suo simile ha adempiuto la legge... Pieno compimento della legge è l’amore». A rappresentare l’adesione a questo precetto fondamentale scegliamo un personaggio dell’Antico Testamento bello, generoso e sfortunato, Gionata (in ebraico “Il Signore ha dato”), figlio del primo re di Israele, Saul. Siamo nella seconda metà dell’XI sec. a.C. e la sua vicenda punteggia i capitoli 13-31 del primo Libro di Samuele. Egli entra in scena già adulto come comandante in capo dell’esercito ebraico durante una faticosa e delicata campagna contro i Filistei, un popolo bellicoso, molto avanzato tecnologicamente, che era migrato dall’area egea greca verso la costa meridionale della Palestina, stanziandovisi attorno al XII sec. a.C. Essi avevano il monopolio del ferro lavorato e così erano in possesso di un armamento leggero e sofisticato rispetto a quello in dotazione all’esercito di Israele. In quel periodo era scoppiata anche la gelosia del re Saul nei confronti del giovane Davide, il quale aveva dovuto imboccare la via della guerriglia. Gionata, che si era distinto per i suoi atti di eroismo (aveva, per esempio, scalato un picco roccioso quasi inaccessibile eliminandovi il corpo di guardia filisteo), si era legato di profonda amicizia proprio con Davide, provocando così la reazione cieca di suo padre Saul che, travolto da una forma di follia, già prima aveva persino tentato di sbarazzarsi di suo figlio. Con una sorprendente generosità Gionata aveva deciso di esperire ogni strada per cercare di far recedere suo padre dall’odio per l’amico (e rivale) Davide, rischiando così di cadere totalmente in disgrazia. La sua mediazione naturalmente fallì e quando Davide si ritirò nel deserto come guerrigliero, Gionata strinse con lui un patto di amicizia eterna ma anche di fedeltà a lui come all’eletto di Dio per succedere a Saul sul trono di Israele: «Gionata disse a Davide: Va’ in pace, ora che noi due abbiamo giurato nel nome del Signore: il Signore sia con me e con te, con la mia discendenza e con la tua discendenza per sempre» (1Samuele 20,42). Frattanto, però, le cose stavano precipitando. Saul, abbandonato anche dal profeta Samuele che l’aveva condannato, stretto nella morsa dell’avanzata filistea, si avviava verso l’epilogo del suo regno e della stessa vita. Tutto avvenne in una battaglia cruenta che si svolse sul monte Gelboe, oggi Gebel Fuqqu’ah, a 516 metri d’altitudine, nel settore sudorientale della pianura di Esdrelon, in Galilea. Là Saul morì suicida, pur di non cadere per mano dei Filistei che avevano già colpito a morte suo figlio Gionata. Si chiudeva, così, la vita di questo principe generoso che aveva fatto dell’amicizia il suo vessillo. L’amico Davide, appresa la notizia, intonerà una commossa lamentazione in onore suo e di suo padre. In essa, tra le lacrime, Davide cantava: «Gionata, per la tua morte sento dolore, / l’angoscia mi stringe per te, fratello mio Gionata! / Tu mi eri molto caro; / la tua amicizia era per me preziosa / più che amore di donna» (2Samuele 1,25-26).
Autore: Gianfranco Ravasi
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