Il quadro intenso dipinto da una pagina del Vangelo di Giovanni (8,1-1 1), non riferita però da molti codici antichi dei Vangeli, e proposta in questa domenica quaresimale, ha al centro la figura di un'adultera anonima. Noi, invece, ne evochiamo una dal nome noto, Betsabea, la cui vicenda è narrata in due capitoli indimenticabili, l'11 e il 12 del Secondo Libro di Samuele, un testo tutto da leggersi, articolato in più atti. Il primo atto è dominato dal re Davide, abbacinato dalla bellezza di Betsabea nuda, moglie di un suo ufficiale, Uria, un hittita naturalizzato ebreo. Davide convoca la donna e ha con lei un rapporto adulterino. E lei gli manda poi una comunicazione lapidaria: "Sono incinta!". Questo comporterebbe per la donna la pena di morte, essendo in stato di flagrante adulterio (suo marito è in guerra, all'estero, nell'assedio dell'attuale Amman in Giordania). Si apre, così, il secondo atto che ha per attori Uria e Davide: questi cerca di convincere il marito di Betsabea, in licenza militare, a sostare a casa sua, così da avere con lei rapporti sessuali e così giustificare lo stato di sua moglie. Ma Uria rifiuta e Davide è costretto a eliminarlo. Siamo alla terza scena, rapida e tragica: Uria porta al suo comandante in modo inconsapevole la sua condanna a morte. Davide, infatti, gli ha consegnato l'ordine da recapitare al generale Ioab: in esso si raccomanda di esporre Uria in prima fila così da farlo morire in guerra. Cosa che puntualmente si verifica. Arriva a corte l'atteso dispaccio: "È morto il tuo servo Uria". Per Davide questo risolve tutto: può finalmente sposare l'amata Betsabea, senza essere toccato dal rimorso. Ma nel silenzio complice del popolo che teme il potere, si leva solitaria una voce, quella del profeta Natan. Egli si presenta al re e gli narra una parabola essenziale, tracciata con poche pennellate. È la storia di una violenza perpetrata da un ricco su un povero a cui è strappata l'unica pecorella. Davide reagisce emettendo una sentenza durissima contro questo prepotente. È a questo punto che il profeta gli punta l'indice contro gridandogli: "Sei tu quell'uomo!". Il re si è, quindi, inconsapevolmente autocondannato. Natan, allora, pronunzia un'aspra requisitoria contro il sovrano, denunziando non solo il suo adulterio ma anche l'omicidio di Uria, sia pure perpetrato da altre mani. Davide, ritornato alla sincerità della sua coscienza, confessa la sua colpa: "Ho peccato contro il Signore!". E queste parole sono il punto di partenza del Salmo 51, il Miserere, che la tradizione metterà sulle labbra di Davide. Il Signore perdona, ma non ignora la necessità dell'espiazione che avviene in una forma che a noi crea imbarazzo: il figlio nato dalla relazione con Betsabea, nonostante le implorazioni di Davide, morirà. In realtà è questo un modo per spiegare il dramma familiare della morte di quel neonato, legandolo al tema della giustizia divina.
Autore: Gianfranco Ravasi
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