San Daniele Comboni (1831-1881), fondatore dell’Istituto ‘Missionari del Sacro Cuore di Gesù’ e delle ‘Pie Madri della Nigrizia’ (Comboniani), diceva nel 1879: “In Africa Centrale i Fratelli giovano al nostro apostolato più che i sacerdoti”. E a questa schiera di uomini, che hanno accompagnato l’annuncio del Vangelo, con il lavoro e l’impegno per la promozione umana e sociale, apparteneva il Fratello missionario comboniano, Alfredo Fiorini medico in Mozambico. Egli nacque il 5 settembre 1954 a Terracina (Latina), primo dei quattro figli di Elio Fiorini e Tilde Braconi; il padre faceva il tipografo e per vari anni era stato Presidente dell’Azione Cattolica della sua parrocchia. Ebbe una fanciullezza serena, legato da forte affetto alla sorella Patrizia minore di due anni, volle attenderla per fare la Prima Comunione e Cresima insieme, nella Parrocchia di S. Giovanni Battista. Dotato di viva intelligenza, di una vena poetica singolare, percorse brillantemente tutto il corso di studi fino alla laurea, distinguendosi per la sua innata umiltà, per la capacità di risolvere ogni tipo di problema senza un apparente sforzo, per la sicurezza che infondeva nei compagni. Per mancanza di posti disponibili all’Università Cattolica, si iscrisse alla Facoltà di Medicina dell’Università di Siena, dove si laureò il 23 luglio 1980 con 110 e lode. Gli anni della sua gioventù trascorsero tra le delusioni e gli entusiasmi tipici dell’età, da adolescente cominciò a sentire un’inquietudine sul suo futuro, domandava spesso alla madre come si avvertiva la vocazione religiosa; maturò man mano una coscienza missionaria con le esperienze nell’Azione Cattolica e fra gli Scout di Terracina, che gli diedero il senso dell’avventura, del contatto con la natura, della vita comunitaria, della spinta all’apostolato. Alfredo Fiorini ebbe spesso l’opportunità in interviste, scritti, lettere e dichiarazioni, di esternare il suo interno stimolo ad avere una vita indirizzata verso il sollievo delle popolazioni del misero Terzo Mondo; a chi gli domandò se si era mai innamorato di una ragazza, rispose con un sorriso: “Comboni diceva: ‘Il mio primo amore fu per l’infelice Nigrizia’. Per me non è stato il primo, ma spero sinceramente che sia l’ultimo, il definitivo”. Partecipò nel luglio del 1972 ad un campo di lavoro organizzato da ‘Mani Tese’ a Firenze, insieme ad alcuni amici di Terracina, per due settimane una trentina di giovani e ragazze girarono per la città, raccogliendo stracci, carta e ferro, per alimentare un progetto di case da costruire in Bangladesh. Negli ultimi anni dell’Università cominciò ad interessarsi delle malattie infettive, dette anche un esame e confidò a chi gli chiedeva il perché di quell’interesse: “Finirà che finisco in Africa per mettere a frutto queste mie conoscenze”. Dopo la laurea, il 9 ottobre 1980 superò l’esame di Stato per l’abilitazione ad esercitare la professione di medico chirurgo; il 7 aprile 1981 cominciò il servizio militare presso l’Accademia Navale di Livorno, ad agosto venne trasferito a Taranto come Aspirante Guardiamarina di complemento, e a Taranto fece un periodo di tirocinio presso l’Ospedale della SS. Annunziata, in Pronto Soccorso e terapia d’urgenza e ancora svolse funzioni di Ufficiale medico presso il Centro Trasfusionale della Marina. Durante alcuni giorni di licenza, partecipò a degli incontri organizzati dai gruppi missionari (GIM), facenti capo alle comunità comboniane di Lecce e Bari; si congedò l’8 ottobre 1982. Ancora Alfredo raccontò di avere con semplicità parlato ai genitori: “Ho fatto la mia parte con voi laureandomi; con il servizio militare ho fatto la mia parte con la Patria, adesso seguo quella che mi pare la strada per cui Dio mi chiama”; così Alfredo Fiorini si mise alla ricerca di qualche Istituto missionario per una esperienza ‘forte’ nel campo delle missioni. Conobbe padre Giuseppe Russo missionario comboniano, il quale consigliandolo e valutando la sua vocazione, alla fine lo indirizzò alla sua Congregazione; nell’ottobre 1982 a 28 anni, Alfredo entrò nel Postulandato dei missionari comboniani di Firenze. Intanto anche il fratello Fabio, dopo il liceo, scelse di entrare in seminario per diventare sacerdote. Stare con aspiranti missionari di una decina d’anni più giovani di lui, non lo turbò, anche gli orari gli ricordavano l’Accademia Navale e affrontò lo studio della teologia per due anni, alternando il suo tempo anche insegnando il catechismo nelle parrocchie della città e a far pratica nell’Ospedale di Careggi, dove si fece apprezzare dal primario Nell’ottobre del 1984 entrò nel Noviziato di Venegono (Varese); furono altri due anni di formazione e di approfondimento della sua scelta e finalmente il 17 maggio 1986, Alfredo si consacrò a Dio con i voti di povertà, castità ed obbedienza, nella parrocchia di S. Agnese di Somma Lombardo; ormai faceva parte della Congregazione Comboniana. Dopo la parentesi estiva, trascorsa ad assistere a Verona i missionari anziani ed ammalati, partì per l’Inghilterra, il programma prevedeva un anno di studio della lingua inglese e poi il trasferimento in Uganda a completare presso i Comboniani il ciclo di studi teologici previsti, prima dell’ordinazione sacerdotale. A Londra comunque frequentò presso l’Istituto Missionario, anche un corso di cristologia, la teologia in genere l’attraeva e gli riusciva gradito lo studio; è di quel periodo una lettera scritta al suo Padre Provinciale, dove fra l’altro diceva: “…Sono contento di essere cristiano, comboniano e sul cammino dell’ordinazione sacerdotale. Vivo con stupore e passione il mistero di grazia che il Signore fa passare attraverso la mia vita”. Ad agosto 1987 partì per l’Uganda, dove continuò gli studi presso il Seminario Nazionale di Gaba; il 17 aprile 1988 ricevé gli Ordini Minori; ma nel nuovo anno scolastico, Alfredo Fiorini e i suoi compagni, per la critica situazione politica dell’Uganda, vennero trasferiti a Nairobi in Kenia, presso il TCR (Centro Teologico per Religiosi). Nei giorni liberi prese a prestare la sua opera di medico in una missione della periferia, Kariobangi, una baraccopoli di Nairobi, il dispensario era gestito da suore comboniane; in questo miserevole luogo affollato da 200.000 persone, affamate e bisognose di tutto, senza acqua né fogne, alloggiate in baracche di latta e cartone, Alfredo sembrò trovare la sua vera strada e già in qualche lettera non fece più cenno del suo cammino sacerdotale. Infatti il 3 febbraio 1989 scrisse ai suoi superiori, che dopo attenta riflessione aveva deciso di rimanere fra i comboniani come Fratello missionario; rinunciò così al sacerdozio per dedicarsi come medico ad una attività che gli permetteva di immergersi nei bisogni continui dell’afflitta popolazione, senza privilegi per lui, rimaneva sacerdote col cuore, ma diventava un ministro di consolazione. Nell’estate 1989 partì per l’Inghilterra, per partecipare ad un corso di medicina tropicale; il 1° luglio 1989 fece tappa a Terracina, dove il fratello Fabio veniva ordinato sacerdote e qui poté con qualche imbarazzo, spiegare ai suoi familiari e amici, il cambiamento finale della sua scelta comboniana, da Sacerdote a Fratello. A fine 1989 gli giunse la lettera del Superiore Generale, padre Pirli, che gli comunicava, che dopo aver conseguito il diploma in teologia, doveva partire per il Mozambico, dove a seguito delle guerre civili che lo funestavano, le strutture sanitarie erano state distrutte. Il 9 marzo 1990 concluse a Nairobi gli studi teologici con il baccalaureato con una tesi sull’Aids; ora aveva tutte le qualità per dedicarsi a tempo pieno come medico missionario, facendo per ora la sua consacrazione religiosa come Fratello comboniano. Egli aveva pure le qualità e la preparazione per diventare sacerdote; per questo era stato incoraggiato a terminare i suoi studi teologici. Come carattere, Alfredo era una persona profondamente motivata in quello che decideva e faceva, dotato di un’ottima capacità intellettiva, ma anche di una forte emotività, che si manifestava a volte in una sua passionalità irruente ed animosa, non poteva tollerare le persone dominatrici e gli atteggiamenti autoritari. In attesa del visto per il Mozambico, accettò il 1° giugno del 1990 l’invito del missionario comboniano padre Tocalli, di dare una mano all’ospedale di Kalongo nel nord dell’Uganda; l’esperienza sia pur limitata nel tempo in un ospedale africano, poteva risultargli utilissima per quello che l’aspettava nel Mozambico. Rimase a Kalongo tre mesi, qui trovò una situazione di ricostruzione, protetta dai soldati governativi, che faceva seguito alla chiusura forzata dell’ospedale, avvenuta il 7 febbraio 1987, trovatosi al centro degli scontri fra guerriglieri e governativi. Durante quel periodo di intenso lavoro medico e chirurgico, esteso anche ai dispensari distaccati dall’ospedale e nei villaggi circostanti, Alfredo Fiorini fu intervistato da una televisione locale italiana e fra i tanti argomenti trattati si parlò del volontariato: “Anch’io in un primo momento ho pensato al volontariato, poi mi sono posto il problema del contratto limitato, a tempo, per cui sarei rimasto in Africa un periodo breve della mia vita. Allora ho voluto fare una scelta che coinvolgesse tutti gli anni della mia esistenza”. Alla domanda, cosa vuol dire per te essere missionario in un ambiente come questo, rispose: “Non è facile rispondere! Perché io avverto quel grave dramma per noi, rappresentato dall’eventualità che la nostra testimonianza non venga accolta, non venga accettata o sia addirittura rifiutata. C’è un rischio di frustrazione e di fallimento nella vita del missionario. D’altra parte quello che c’è dentro vuole manifestarsi. Io spero che questa mia presenza diventi una testimonianza…”. Per prepararsi meglio per la Missione in Mozambico, occorreva saper parlare portoghese e ancora una volta fratel Alfredo Fiorini, riprese la via dello studio, in autunno partì per Lisbona per un corso accelerato e dopo una tappa a Terracina per salutare familiari ed amici, il 3 febbraio 1991 giunse finalmente in Mozambico, ad Anch’ilo, per apprendere i primi rudimenti della lingua makua. Il 22 febbraio raggiunse Nampula il capoluogo di provincia, presentandosi al vescovo e al direttore provinciale della sanità, entrando a far parte del Servizio Sanitario Nazionale. La situazione del Mozambico non era dissimile da altri Paesi africani di quel periodo, era in atto da undici anni una guerra civile fra il governo, del partito Frelimo, fautore di una ideologia marxista-leninista e la Renamo, movimento contrario al governo, che dal 1980 aveva iniziato una guerriglia. Fra l’esercito e i guerriglieri, spinti entrambi da interessi economici stranieri, la gente del Mozambico non faceva altro che fuggire da un posto all’altro per mettersi in salvo, perdendo ogni volta case, raccolti e vite in grande numero; le cifre della guerra civile erano enormi, un milione di morti, decine di migliaia di mutilati e orfani, un milione e mezzo i profughi, cinque milioni di sfollati; in compenso i mitra Kalashinkov in giro erano quasi dieci milioni, molto di più delle zappe. Il 19 aprile 1991 Alfredo rinnovò la professione religiosa, mentre le Missioni erano soggette quasi ogni giorno ad assalti, incendi, saccheggi, uccisioni, vendette da ambo le parti; vari missionari feriti o uccisi, le strade di collegamento fra i vari centri urbani, erano costellate di cadaveri ai bordi e insicure da percorrere per gli agguati e sparatorie improvvise sui veicoli in transito, colpendo chi capitava. Ad agosto 1991 fratel Alfredo Fiorini venne destinato all’ospedale rurale di Namapa, semidistrutto da un paio d’anni, per cui prima di fare il medico, dovette fare il muratore per diversi mesi. Fiducioso che i colloqui in corso a Roma, fra le due parti contendenti Frelimo e Renamo, potessero portare ad una pacificazione, Alfredo Fiorini, con l’aiuto di personale africano, iniziò a lavorare, con l’ausilio di macchinario in disuso inviato dall’estero e con fondi che stentavano ad arrivare, perché in parte intascati dagli amministratori e infermieri dell’ospedale, senza stipendio. Durante gli allarmi per l’arrivo dei guerriglieri, veri o presunti che fossero, personale ed ammalati scappavano nella boscaglia portandosi via le lenzuola, quelle poche rimaste. Ma soprattutto il dottor Alfredo, responsabile degli interventi di urgenza, si vide sempre più spesso nella impossibilità di farlo, per quell’insieme di negligenze del personale che non esitò a definire ‘sabotaggio’; la corrente elettrica non veniva erogata, per cui operazioni e parti cesarei venivano fatti alla luce di torce, con l’ansia che si esaurissero le batterie; i medicinali promessi non arrivavano e quelli che c’erano scomparivano; sala operatoria allagata dalla pioggia, laboratorio analisi chiuso, niente siero, niente acqua, ecc. Si trovò così nella necessità di trasferirsi da solo, all’ospedale di Alua distante una ventina di km da Namapa, il direttore provinciale sia pur infastidito della protesta, lo lasciò ad Alua. Qui riprese più alacremente l’attività, conquistandosi presto la stima di sanitari ed ammalati, che provenivano anche da lontano per farsi curare da lui, nonostante il pericolo delle mine e degli agguati sulle strade. Grazie alla sua inossidabile fede in Dio, Alfredo riuscì sempre a trovare spunti di ottimismo, nonostante la precarietà della situazione del Paese; esprimeva la gratitudine per le preghiere e per gli aiuti, anche piccoli, che i benefattori mandavano, parlava della gioia immensa che provava per ogni segno di incoraggiamento che riceveva. Verso il 10 agosto 1992, si concesse due settimane di riposo per riprendersi dallo stressante e continuo lavoro, trascorse presso la residenza del vescovo di Nacala, dove c’erano altri sacerdoti e suore comboniane. Il 24 agosto 1992 riprese la strada in auto per ritornare ad Alua, ma dirigendosi prima a Carapira dove intendeva sostare fino al 28, verso le 10 però giunto in località Nuiravale, già teatro di precedenti agguati, l’auto fu centrata da alcune raffiche di mitra e Alfredo che era solo, fu colpito da un proiettile alla testa che l’uccise. Poco dopo una colonna della Compagnia Industriale Monapo, scortata da soldati, raggiunse il luogo dell’agguato, l’auto era ancora circondata dagli assalitori che la frugavano, i quali alla vista dei soldati che sparavano, fuggirono nella boscaglia; il suo corpo fu trasportato verso Monapo. Un delitto assurdo ed inutile, capitato proprio a lui che per prudenza non si spostava spesso come gli altri missionari, questa era la seconda volta che viaggiava in un anno e mezzo che stava ad Alua. Nella composizione della salma, si poté constatare che oltre il proiettile mortale alla testa, Alfredo Fiorini era stato colpito anche al torace, al polso e in una gamba. Il 25 agosto a Carapira si svolsero i funerali officiati dal vescovo di Nacala, mons. Germano Grachane comboniano, che l’aveva ospitato fino al giorno prima; Afredo Fiorini fu assassinato sullo stesso tratto di strada dove il 3 gennaio del 1985, fu uccisa in un agguato simile, la suora comboniana Teresa Dalle Pezze. Il 31 agosto 1992 la salma di fratel Alfredo Fiorini, medico missionario comboniano, giunse nella sua Terracina, dove una grandissima folla partecipò al funerale svolto nel piazzale antistante la chiesa di S. Domenico Savio, dove per volontà del vescovo di Terracina officiante, fu sepolto. A conclusione non si può non ricordare, la sua vena poetica, scrisse parecchie poesie, che non è possibile riportare qui, citiamo solo un brano di una, detta “Lo stoppino”, del 1989.
“… Ma se d’amore cerco le ragioni, quelle giuste per viverne e morire, l’amore vero, non ‘le mie prigioni’, l’amore che ama, che ti fa fiorire, allora trovo Gesù Nazareno, che ci fu crocifisso sulle spine, spirito che brucia legna verde e fieno e fa desiderar la stessa fine. E me ne faccio pronto una ragione da offrire a questo lucido acciarino che ho qui davanti, a mia disposizione. Ma a volte, muto e col fiato piccino tremo per questa stramba vocazione ad essere soltanto un accendino. O più semplicemente uno stoppino. E forse, da fratello, neanche quello”. (Alfredo Fiorini)
Autore: Antonio Borrelli
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