Era un ragazzo alto e magro, gli occhi profondi grigio-scuri, intelligentissimo e immancabilmente spettinato. A 10 anni, aveva già la certezza di essere chiamato a “servire la gloria di Dio”. A 15, aveva incontrato Dio, “non come una nozione, ma come una persona che gli disse «Tu»”. Aveva già un fascino segreto. Si chiamava John Henry Newman ed era nato a Londra il 21 febbraio 1801, figlio di un banchiere anglicano e di madre discendente dagli ugonotti francesi.
La sua carriera fu rapida e brillantissima: entrato all’“Oriel College” nel 1822, 21 anni di età, fu promosso “fellow”. Due anni dopo, era ordinato prete anglicano e diventava “tutor”, cioè professore assistente. A 27 anni, era nominato “vicar”, cioè parroco di S. Maria di Oxford, conservando le sue funzioni di docente universitario. E insieme pubblicava studi di patrologia e di storia della Chiesa.
Oxford era un centro di pensiero straordinariamente vivo. Vi si davano convegno i cervelli più fini dell’anglicanesimo. John Henry era tra questi, ma non era soddisfatto: cercava la sua strada. Predicava al suo popolo: ascoltatissimo. Insegnava ai giovani di Oxford: affascinava. Eppure, un tormento segreto lo rodeva dentro: questa Chiesa anglicana, iniziata da un re adultero e omicida, come poteva essere la vera Chiesa di Cristo?
Viaggio in Italia
John Henry era un giovane uomo appassionato, dal temperamento schietto fino all’imprudenza. Il denaro non lo interessava. Il prestigio lo lasciava insensibile, ma solo la Verità –
la ricerca della Verità – lo dominava tutto. Fiaccato dall’intenso lavoro intellettuale, nel luglio 1833, compì un lungo viaggio in Italia.
A Roma sentì agitarsi dentro di sé le antiche avversioni degli anglicani contro il Papa, ma sentì pure il fascino della Sede Apostolica, la Roccia che è Pietro, su cui poggia la Chiesa, indefettibile e infallibile. Lì incontrò Nicola Wiseman, giovane rettore del Collegio inglese, prete, professore di ebraico e siriaco, desiderosissimo di far qualcosa per ridare dignità ai fratelli cattolici d’Inghilterra, che da tre secoli ormai erano i reietti della sua terra.
Proseguì, John Henry, il suo viaggio fino in Sicilia, dove cadde ammalato e si trovò, presto, sospeso tra la vita e la morte, senza medici e senza cure. Il suo domestico lo invitò a esprimere le sue ultime volontà. Ma egli rispose: “Non morirò: non ho mai peccato contro la Luce. Ho un lavoro da compiere in Inghilterra”. Infatti, inaspettatamente guarì e riprese la via del ritorno.
Durante il viaggio, pregò Dio in modo struggente: “Guidami, Luce gentile; tra le tenebre, guidami Tu. Nera è la notte, lontana la casa: guidami Tu. Amavo scegliere la mia strada, ma ora guidami Tu. Sempre mi benedisse la tua potenza; ancora oggi mi guiderà per paludi e brughiere, finché svanisca la notte e l’alba sorrida sul mio cammino”. Rientrato a Oxford, si stabilì, attorno a lui, un gruppo di anglicani che trattavano problemi spinosi: la vera natura della Chiesa, il suo rapporto con la Tradizione dei primi secoli, la sua autorità...
Diventarono autorevoli e ascoltati: i gravi “churchmen” (= i capi) della Chiesa anglicana non poterono più affermare che erano solo dei monelli... Così il 5 maggio 1836, votarono un atto solenne di biasimo contro quei giovani ribelli riuniti intorno a Newman. Giunse allora addosso l’insulto più grave: “Papisti”. Non si arresero. John Henry era affascinato dai Padri della Chiesa del tempo in cui i cristiani non erano ancora divisi: che cosa aveva di comune l’anglicanesimo con quei Padri? Il dibattito continuò: la ricerca appassionata, densa di preghiera – la preghiera a Dio-Luce – si fece in lui ancora più ardente. Le tenebre dovevano essere fugate, la Luce doveva risplendere.
Ora egli aveva attorno a sé la gioventù migliore della Chiesa anglicana. Ai piedi del suo pulpito si accalcavano sempre più numerosi i fratelli in ascolto. Avrebbe potuto, se non fosse stato così retto, fondare la “sua” Chiesa, ma egli intuiva che la Chiesa può solo essere una, come uno è Cristo. Perseguitato dalla Verità, si sentì su un letto di agonia. Si ritirò a Littlemore, sconfessato dai vescovi anglicani, perché – lo si vedeva – era sempre più vicino al Cattolicesimo. Il 24 settembre 1843, salì per l’ultima volta il pulpito della sua parrocchia: rivolse i rimproveri più dolorosi e severi alla Chiesa anglicana, chiese ai suoi amici di pregare per lui affinché potesse sempre compiere la volontà di Dio. Disceso dal pulpito, si tolse di dosso i paramenti e li gettò sulla balaustra ad indicare che tra lui e l’anglicanesimo non c’era più nulla.
Non era ancora cattolico, ma certamente non era più anglicano.
“Sono entrato nel porto”
Nel silenzio, meditò ancora a lungo e trovò risposta alla domanda che si poneva: la Chiesa Cattolica di oggi è proprio quella degli antichi Padri dei primi secoli, Ignazio, Ireneo, Ambrogio e Agostino? Come mai nella Chiesa Cattolica ci sono realtà che sembrano non esserci nella teologia dei Padri? La luce venne a grandi ondate: la Chiesa Cattolica è quella uscita dal Cuore di Cristo, la medesima dei martiri e dei Padri antichi, ma è come un albero che, crescendo, si è sviluppato, restando tuttavia il medesimo da Cristo fino ad oggi. Lo scrisse nel suo Saggio sullo sviluppo del dogma (1845), poi chiese di essere ammesso alla Chiesa Cattolica.
L’8 ottobre 1845, nella pace di Littlemore, John Henry Newman, nelle mani del Padre Domenico Barberi della Madre di Dio, religioso passionista, pronunciò l’abiura dell’anglicanesimo e diventò cattolico, apostolico, romano. Scrisse: “Fu per me come l’entrare in un porto, dopo una crociera burrascosa. La mia felicità è senza interruzione”. Gladstone, primo ministro britannico, commentò: “Mai la Chiesa Romana, dopo la riforma protestante, ha riportato una vittoria più grande!”.
La conversione di Newman fu un avvenimento. Parecchi suoi intimi lo imitarono immediatamente. Alcuni, anzi, lo avevano preceduto di qualche giorno. Altri lo seguiranno come Faber che diventerà un grande maestro di vita cristiana. In meno di un anno, si susseguirono oltre trecento conversioni, tutte di intellettuali, professori, teologi. La Chiesa anglicana si sentì scossa. Di fronte alla tempesta scatenata da Newman, cercò un uomo capace di rispondergli e di confutare il “deplorevole” Saggio sullo sviluppo del dogma: Henry Manning, pastore zelante, che dopo la morte della moglie, viveva come un eremita, ascetico e influente. Ma Manning, partito per confutare, rimase confutato: il 6 aprile 1851, anche lui entrava nella Chiesa Cattolica. Presto sarebbe diventato prete e Vescovo.
Intanto John Henry era stato inviato a Roma, da Mons. Wiseman, ora Vescovo dei cattolici inglesi. Al Collegio di Propaganda Fide, completò i suoi studi teologici e ricevette, il 26 maggio 1847, l’ordinazione sacerdotale. Poi, incoraggiato da Papa Pio IX – che proprio in quei giorni pensava a ristabilire il Cattolicesimo nella sua pienezza in Inghilterra, tornò nella sua patria a fondarvi l’“Oratorio di San Filippo Neri”. Ormai cinquantenne, viveva la stagione più bella della sua vita: sicuro di aver raggiunto la Verità, di essere in comunione con il Papa di Roma, cioè con Gesù Cristo fondò le case dell’“Oratorio” a Maryvale, a Birmingham, a Londra, a Edgbaston... Nel 1850, Mons. Wiseman era nominato arcivescovo di Westminster e Cardinale.
Davvero era tempo di lavorare per il trionfo della Chiesa Cattolica.
La Croce risplende di luce
Tutto all’inizio fu bello e facile. Poi venne un periodo di grandi prove. Pose mano a grandi opere: la fondazione dell’Università a Dublino, la traduzione inglese della Bibbia, la direzione di una rivista, la fondazione di un Oratorio a Oxford per i giovani cattolici che frequentavano l’Università, sembravano fallire tutte tra le sue mani. Padre Newman si trovò solo, incompreso, considerato quasi pericoloso... Ma nulla lo scoraggiò. Fedelissimo alla Chiesa Cattolica, compì la difesa della Verità con i suoi poderosi volumi che guadagnarono al Cattolicesimo la simpatia degli anglicani e l’ammirazione degli avversari. Lui, da parte sua, non si sentiva rivale di nessuno, rispondeva con il perdono, la preghiera, il servizio ai giovani.
Nell’Oratorio di Birmingham, dove viveva, si occupava dell’educazione intellettuale, morale, integrale dei ragazzi, con uno stile di bontà e di amorevolezza, sulla scia di San Filippo Neri e come sarebbe piaciuto a un umile grandissimo contemporaneo, Don Bosco (che per la conversione degli anglicani aveva pure pregato, sofferto e operato presso Pio IX...). Ma sembrava essere un dimenticato: brillavano ora quei convertiti – Faber, Manning, Ward – cui egli aveva aperto la strada. Nel 1864, però, capitò che il dott. Kingsley, in un opuscolo, tacciò i cattolici di ipocrisia, aggiungendo che i preti cattolici sono dei bugiardi...
Padre Newman insorse con la forza del suo genio, spiegando tutti i motivi della sua conversione al Cattolicesimo. Nacque il suo capolavoro: l’Apologia pro vita sua, in cui scriveva: “Nella Chiesa Cattolica, riconobbi immediatamente una realtà nuovissima per me. Sentii che non ero io a costruirmi una Chiesa con lo sforzo del mio pensiero. Il mio spirito allora si quietò in se stesso. La contemplavo – la Chiesa – come un fatto obiettivo, di incontrovertibile evidenza”. Fu un grande trionfo che fece risuonare per tutta l’Inghilterra il nome di John Henry Newman: non era più possibile accusarlo di doppiezza e di slealtà.
Nel 1879, Papa Leone XIII lo creò Cardinale. Quando gli fu portata la notizia inattesa, pianse di gioia e disse: “Le nubi sono cadute per sempre”. Era la gioia di chi, dopo tante lotte per la Verità, vedeva che la Verità si era fatta strada ed illuminava il cammino di molti. Visse ancora undici anni nel suo romitaggio di Birmingham, in due stanze colme di libri, pregando, irradiando luce, guidando le anime alla Verità, la sua unica passione fin dall’infanzia. I suoi libri, le sue conferenze, la sua opera di educatore, rivelarono dovunque il suo genio interamente posseduto da Cristo.
L’undici agosto 1890, il Cardinal John Henry Newman, diradata ogni tenebra, andava incontro al suo Dio, “la Luce gentile” che aveva guidato sempre i suoi passi. Sulla sua tomba volle scritto solo il suo nome e la rapida sintesi della sua esistenza: “Ex umbris et imaginibus in Veritatem”, “Dalle ombre e dalle figure alla Verità”.
Autore: Paolo Risso
Note:
Per approfondire: Cristina Siccardi “Nello specchio del Cardinale Newman. Un santo contro la religione del mondo” Fede & Cultura
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