Medinaceli, Spagna, 1550 circa – Alcalà, Spagna, 8 aprile 1606
Nato nella Vecchia Castiglia nel 1550, umile frate laico francescano, si distinse per le sue straordinarie penitenze e i suoi doni mistici. Figlio di un esule francese, Giuliano crebbe in una famiglia modesta e religiosa, nutrendo fin da giovane un'attrazione per la vita consacrata. Entrato nell'Ordine Francescano, nonostante le iniziali resistenze, egli perseverò nella sua vocazione con fervore, dedicandosi a digiuni, mortificazioni e preghiere incessanti. La sua fama di santità si diffuse rapidamente, attirando l'attenzione di illustri personaggi come la regina Margherita d'Austria. Dotato di poteri soprannaturali, Fra' Giuliano operò miracoli, guarendo infermi, resuscitando animali e persino conversando con gli uccelli. La sua umiltà e il suo candore lo resero un modello di santità francescana, confermato dalla sua beatificazione nel 1825.
Martirologio Romano: Ad Alcalá de Henares in Spagna, beato Giuliano di Sant’Agostino, religioso dell’Ordine dei Frati Minori Scalzi, che, ritenuto folle per il suo mirabile spirito di penitenza e più volte allontanato dalla vita religiosa, predicò Cristo più con l’esempio della sua virtù che con le parole.
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Giuliano di Sant’Agostino, umile fratello laico francescano, famoso per 1e sue straordinarie penitenze ed i suoi doni mistici, nacque verso il 1550 presso Medinaceli nella Vecchia Castiglia in Spagna, primogenito di Andrea Martinet, conciatore di pelli, esule francese fuggito dalla patria in seguito alle guerre di religione scatenate dai calvinisti.
Sotto la preziosa guida dei genitori Giuliano crebbe modesto, riservato ed ubbidiente. Invece di giocare con i coetanei, egli era più gioioso nel fare il chierichetto in chiesa. Da quando fu mandato a fare apprendistato da un sarto, continuò comunque ad approfittare dei momenti liberi per partecipare alla Messa e ricevere la Comunione, noncurante dei sarcasmi dei colleghi.
Giuliano sentiva comunque crescere sempre maggiormente in sé l’attrattiva per la vita religiosa e, consigliato dal suo confessore, decise nonostante la sua giovane età di diventare francescano scalzo nel convento di Nostra Signora di Salceda, che seguiva le regole dell’antica osservanza. Animato da un innato fervore, si cimentò subito in forti penitenze, tanto che i superiori le considerarono frutto di una mente esaltata. Rimase infine desolato quando fu da essi invitato a tornare nel mondo e si ritirò a Santorcaz, presso Toledo, dove intraprese l’attività di sarto, senza però abbandonare la sua religiosità. Non molto tempo dopo giunse nel paese Padre Francesco de Torres, celebre predicatore, che notò subito la presenza di Giuliano, per l’attenzione che prestava ai suoi sermoni, la devozione con cui serviva la Messa e il fervore con cui faceva la comunione. Gli propose allora di accompagnarlo nelle sue peregrinazioni apostoliche ed il giovanotto, che non attendeva altro, indossò subito un povero abito da pellegrino e si incamminò con lui per le strade della Spagna. Nelle città in cui giungevano, prima preoccupazione di Giuliano era invitare i fedeli alla predica del missionario con il suono di un campanello. Un giorno transitarono anche per Medinaceli ed i suoi compaesani nel vederlo gli diedero del pazzo, ma egli con un modesto sorriso ribatté: “Voi dite la verità. Io sono proprio pazzo, ma per amore di Dio”.
Padre de Torres, sempre a contatto con il suo aiutante, ebbe modo di conoscerne la pietà ed il candore, nonché il suo desiderio di servire Dio nel ritiro e nella penitenza. Ritenne dunque opportuno farlo ammettere al noviziato del convento di Nostra Signora di Salceda, ma i francescani ancora una volta lo ritenettero un esaltato dopo che, con rinnovato ardore, riprese a digiunare e a praticare penitenze non comuni. Con rinnovato coraggio Giuliano sopportò anche questa nuova prova e senza lamentarsi si limitò a replicare: “Ritengo che la mia vocazione sia quella di essere religioso, con o senza l’abito”. Sentendosi divinamente ispirato a non interrompere le sue pratiche ascetiche, si ritirò su un vicino monte, dal quale scendeva per catechizzare i poveri e ricevere con loro pane e minestra alla porta del convento. Un giorno, spogliatosi del proprio abito per rivestire un ignudo, i francescani gliene regalarono allora uno simile a quello dei fratelli oblati e Giuliano li ricompensò di tanta generosità andando per le campagne a fare la questua per loro. I frati finalmente giunsero a vedere in lui un uomo che viveva secondo lo spirito di Dio e gli riaprirono le porte del noviziato. Dopo un’anno di prova, fu ammesso alla solenne professione dei voti religiosi in qualità di fratello laico con il nome di Fra’Giuliano di Sant’Agostino. Riconoscente a Dio della grazia ricevuta, il novello frate profuse maggiori energie nella propria santificazione, proponendosi di ubbidire sempre a tutti, escogitando nuove mortificazioni ed intensificando la sua preghiera.
Assai presto i superiori confermarono a Fra’Giuliano il ruolo di accompagnatore di Padre Francesco de Torres. La vita esemplare dell’umile fraticello fu sovente più eloquente ed efficace delle prediche del missionario. In seguito Fra’Giuliano fu mandato quale questuante presso il convento di Nostra Signora della Speranza di Ocana, ma poi fece ritorno al convento di Alcalà, ove trascorse il resto della sua vita, dedito alle necessità dei malati e dei poveri.
Nel corso della sua vita religiosa Fra’Giuliano si distinse particolarmente per la rigorosa osservanza della regola e la pratica di ogni virtù, ma innanzitutto per lo spirito di orazione: ovunque si trosse, infatti, era solito pregare, rivolgendosi a Dio con tale ardore da essere talvolta costretto a spogliarsi del suo abito in pieno inverno per potersi refrigerare. Ripetutamente fu visto dai confratelli essere in estasi e sollevato da terra. Amava trascorrere sovente la notte in chiesa prostrato in adorazione. Non è umanamente comprensibile come Fra’Giuliano abbia potuto al tempo stesso coniugare la vita da fraticello alla pratica di cotante dure penitenze. Sull’esempio di San Francesco d’Assisi non si accontentò mai di osservare la più rigida povertà evangelica, ma sul suo esempio prese a praticare nel corso dell’anno le sette quaresime. Solito flagellarsi con catenelle di ferro armate di punte aguzze, per ben ventiquattro anni con il permesso del confessore si cinse i fianchi con una catena di ferro assai pesante. Era però molto avveduto nel non ostentare le proprie austerità onde evitare la stima degli uomini. Perciò, se capitava durante la questua che qualche monello gli tirasse sassi o lo canzonasse, egli in cuor suo ne era felice, considerandosi l’uomo più vile e miserabile della terra, degno addirittura dell’inferno.
Fra’Giuliano respinse più volte le avances del demonio e Dio non tardò a ricompensare il suo servo fedele con doni soprannaturali, tra i quali la profezia e la scienza infusa. I dottori della famosa università di Alcalà, al corrente di ciò, lo consultarono su difficili questioni e sempre furono meravigliati delle sue sapienti risposte. Persino la regina Margherita, consorte di Filippo II di Spagna, desiderò raccomandarsi alle sue preghiere, tanto era grande la fama dei miracoli che Dio operava per sua intercessione. Dio concesse inoltre a Fra’Giuliano anche poteri sugli animali e sugli elementi naturali. Un giorno incontrò per strada alcune giovani coppie che si davano a pazzi balli e li invitò a seguirlo in una chiesa al fine di spiegare loro come impiegare al meglio il tempo libero, ma essi non gli diedero ascolto. Si rivolse allora agli uccelli, che ad un suo cenno si raccolsero in cerchio attorno a lui. A casa di un benefattore, a Torrejón, il frate ridiede la vita ad alcuni uccellini che, contro la sua volontà, erano stati uccisi e messi allo spiedo.
A Retortilla imbattutosi in un pastore, che teneva tra le braccia un agnellino di due mesi ucciso con una sassata, mosso da compassione gli si avvicinò esclamando: “Agnellino, Dio venga in tuo aiuto!”. All’istante la povera bestiola tornò in vita e corse in cerca della madre. Ospite di un benefattore ad Argenda, quando vide che la moglie stava per infornare il pane gli venne in mente di darle la sua tonaca, perché la mettesse nel forno prima del pane perché fosse pulita dalle macchie. Alquanto sbalordita, la donna gli fece notare che, a causa del forte calore, la tonaca sarebbe stata ridotta in cenere, ma Fra’Giuliano la tranquillizzò e la tonaca miracolosamente ne uscì splendente.
Durante la sua ultima questua fu assalito da una febbre molto violenta, ma nonostante ciò volle fare ritorno ritorno a piedi sino al convento di San Diego: due giovani lo accompagnarono, tenendo per le estremità un lungo bastone al quale il malato poté così appoggiarsi lungo la strada. Fra’Giuliano morì 1’8 aprile 1606 ed il suo corpo rimase esposto per diciotto giorni alla venerazione dei fedeli: anziché corrompersi, si conservò flessibile emanando un soave profumo. Fu seppellito in una cappella che la pietà popolare non esitò a denominare subito di “San Giuliano”. Il pontefice Leone XII iscrisse nell’albo dei beati il 6 maggio 1825, per i numerosi miracoli avvenuti per sua intercessione. In seguito alla soppressione degli ordini religiosi in Spagna, avvenuta nel 1835, le reliquie del novello beato furono allora traslate nella chiesa dei Padri Gesuiti, detta “la magistrale di Alcalà”, presso cui ancora oggi sono oggetto di venerazione da parte dei fedeli spagnoli.
Autore: Fabio Arduino
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