Si chiamava Israel e con un nome così poteva essere soltanto ebreo. Anzi era nato da una famiglia rabbinica dove si pensava a fare di lui un rabbino. Ma il ragazzino intelligente e sveglio, nato a Brodj, in Galizia, un giorno, in casa di un compagno di scuola cattolico, vide il Crocifisso appeso alla parete e domandò: «Chi è quello?». Gli fu risposto: «È Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio morto per noi!».
Israel Zolli – questo il suo nome e cognome – non lo dimenticò più e prese ad assillarlo la domanda più impellente: «Perché gli ebrei lo crocifissero? Era forse un criminale? E se fosse stato il vero Messia?». Iniziò a leggere con vivo interesse il Vangelo datogli da amici cattolici, rimanendone assai toccato dentro.
Quando più tardi, leggendo il libro di Isaia, si incontrò con la figura del “Servo sofferente di Jahvè”, descritto come l’Uomo più innocente, eppure percosso e umiliato, tormentato fino alla morte a causa dei peccati altrui, Israel si interrogò: “Il Crocifisso in cui credono i cristiani non è forse questo Servo di Jahvè?”. Era l’inizio di un lungo cammino, al cui termine il divino Crocifisso avrebbe vinto nella sua anima aperta alla luce.
L’Agnello indispensabile
Il rabbino Israel Zolli (1881-1956), addentrato nello studio dell’Antico Testamento come pochi altri, è tra quegli uomini umili e grandi sui quali il Crocifisso ha esercitato e continua a esercitare anche oggi un fascino singolare, diremmo irresistibile.
In questi giorni, ho letto in un’edizione della Morcelliana del 1936 il bel libro Cristo nella Chiesa di Robert Hugh Benson (1871-1914), già pastore anglicano (era il figlio dell’“arcivescovo” di Canterbury!) poi convertitosi al Cattolicesimo e, per desiderio dello stesso san Pio X, sacerdote cattolico.
In questo luminoso testo padre Benson scrive: «Una religione che non riconosca il dolore come mezzo di redenzione e potere di santificazione va chiaramente contro la vita e l’esperienza. Il Cattolicesimo, in modo supremo e unico, compie quel concetto [...] e comprendo come Dio stesso, mosso dal suo supremo amore, sia divenuto un Agnello per poter morire per la pecorella smarrita; ammette che il Figlio di Dio divenne un Figlio dell’uomo, affinché i figli degli uomini potessero divenire i figli di Dio, e comprende finalmente che il Figlio di Dio muore affinché i figli degli uomini possano vivere della Vita divina» (p. 136).
Questo è il grande unico Avvenimento che ci salva e ci dà la vita, su questa terra e nell’aldilà: Dio che si fa Agnello sacrificale per salvarci dal peccato e dalla morte e ridarci la vita vera, la vita soprannaturale, la vita di Dio, la grazia santificante per cui soltanto siamo davvero vivi e vivremo in eterno.
Tutta la vitalità del Cattolicesimo viene appunto dall’Agnello del Sacrificio sommo ed eterno: Gesù che muore in croce – non perché ha offeso il potere, come ingannano i modernisti, ma in adorazione a Dio e in espiazione per il peccato.
Sempre Benson, al fondo della stessa pagina, annota: «È significativo che il protestantesimo presenti, tra le principali opposizioni al Cattolicesimo, la negazione del Sacrificio dell’altare: e il protestantesimo come sistema, sta ruinando».
Già: il protestantesimo è sempre andato “ruinando” (e seminando rovine) da quando si è sbarazzato della Santa Messa, mentre il Cattolicesimo, fedele alla sua Tradizione, grazie ai decreti “de fide” del Concilio di Trento riguardo alla presenza reale di Gesù nella Santissima Eucaristia e al Sacrificio della Messa riattualizzato sull’altare, progrediva per ogni dove nel mondo. Basti pensare all’immensa fioritura di santità e di civiltà, al dilagare del Cristianesimo nelle terre delle missioni cattoliche dopo Trento.
Unica sorgente di vita
Da chi tanta vitalità? Soltanto da Gesù Crocifisso, dall’Agnello sacrificale offerto per la gloria di Dio e la Salvezza dell’umanità. La Chiesa Cattolica si era incentrata tutta nel Crocifisso, trovato a ogni ora nel Sacrificio dell’altare, dove tutto quanto era avvenuto sul Calvario continua ad accadere: lo stesso Sacerdote, Gesù, che offre; la stessa Vittima, Gesù, che viene offerta; lo stesso Sacrificio, anche se incruento. La vitalità di santità, di vocazioni, di vita cristiana-cattolica fervente scaturiva dunque dalla piccola Ostia del Sacrificio, che è Gesù stesso immolato.
E ora da 50 anni a questa parte, perché tanta decadenza? Si è voluto sostituire alla Religione dell’Offerta e del Sacrificio, dell’adorazione a Dio e dell’espiazione del peccato, una pseudo-religione della festa, dell’allegria, che non si trova da nessuna parte. Si è spesso svuotato il significato vero del Crocifisso che è l’espiazione del peccato e la mediazione di vita divina, al posto nostro, “per noi”, perché noi non ne siamo capaci di espiazione e di Redenzione: l’uomo non può redimere se stesso, ha bisogno dell’Uomo-Dio, Gesù.
Questa dottrina, che il Figlio di Dio incarnato ha soddisfatto per il peccato per noi – “la soddisfazione vicaria”, in termini teologici –, è e resta dottrina della Chiesa. Tale dottrina fu accusata dai “novatori” di essere espressa in termini giuridici e si disse che non si può accettare un Dio che chiede un prezzo di espiazione per la colpa, ma essa spiega la realtà del peccato in tutta la sua malizia, e la Redenzione operata da Cristo con la sua espiazione “al mio posto”, “al tuo posto”. Tutto questo si trova già nei Vangeli, nelle Lettere di san Giovanni e di san Paolo, nella Lettera agli Ebrei, che parlano di espiazione e di propiziazione per noi da parte di Gesù Crocifisso.
Perché negli ultimi anni questo caposaldo della nostra Fede cattolica sembra essersi oscurato? Alla vigilia del Concilio Vaticano II, la Commissione teologica incaricata di redigere gli schemi da presentare alla discussione nell’aula, ne aveva preparato uno dal titolo De satisfactione Christi, che era l’undicesimo capitolo del più ampio schema De deposito Fidei custodendo. In un passo del testo si diceva: «La propiziazione che è Gesù Crocifisso il Giusto, per i peccati di tutto il mondo, ha efficacia soddisfattoria ed è chiamata soddisfazione vicaria». Il testo si concludeva con la condanna degli errori riguardo alla Redenzione: «Questo sacro Concilio, attingendo la dottrina dell’umana redenzione dalla purissima fonte della Rivelazione e del perenne magistero della Chiesa, respinge le opinioni di coloro che stimano falsamente non avere il peccato inferto a Dio un’offesa e che presumono di affermare che il Sacrificio di Cristo in croce non ha altro valore ed efficacia se non di esempio, di merito e di liberazione e non di una vera e propria soddisfazione per la scelleratezza degli uomini».
Questa è la Verità di sempre, ma il capitolo che la conteneva decadde con tutto lo schema agli inizi del Concilio in seguito fatto che purtroppo gli schemi preparatori furono spazzati via dai “novatori”. Ma, nonostante questa “violenza”, nessuna barba di filosofo o di teologo può spazzare via la Verità di Cristo, la Verità di duemila anni di Tradizione cattolica.
Al posto della Redenzione, operata dal Sacrificio del Crocifisso, così si è preferito parlare del “mistero pasquale”, sottolineando la Risurrezione di Gesù, più che il suo Olocausto sulla croce. Così anche la Santa Messa, è detta ora soltanto Eucaristia, nel senso riduttivo di “rendimento di grazie”, di “pasto comunitario del popolo di Dio”, di “festa della comunità”. Ed è proprio per questo – riflettiamoci – che da 50 anni, protestantizzandoci anche noi, come scrisse padre Benson del protestantesimo, “stiamo ruinando”.
Il rimedio? Occorre ritrovare l’Agnello, stringerci all’Agnello – Gesù Crocifisso, svenato e immolato sulla croce, ripresentato nel suo Sacrificio di adorazione a Dio e di espiazione per noi, su ogni altare nella Santa Messa. Solo così si fermerà la “ruina” e sarà primavera, una bellissima primavera di santità, di vocazioni sante, di civiltà di nuovo cristiana.
Incalcolabile discendenza
Torniamo al rabbino, il gran rabbino di Roma, Israel Zolli, il quale, toccato dentro dalla carità immensa del venerabile Pio XII durante le persecuzioni contro il popolo di Israele, il 13 febbraio 1945 si fece cattolico e ricevette il Battesimo con il nome di Eugenio Pio. Con lo sguardo sul Crocifisso, scrisse: «Gesù Cristo soltanto ci può condurre in alto. Rivolgersi a Gesù significa ascendere. Gesù è la via e la guida più sublime. Gesù mio, ti amo. Sono tutto tuo. Sono beato di essere tuo. Voglio esserlo sempre di più, adesso e nell’ora della morte». E ancora: «Dal Calvario al Cielo, non c’è che un passo. Io ho dinanzi agli occhi il Crocifisso. L’augusto Capo cinto di una corona di spine e le braccia aperte per abbracciare e stringere al suo Cuore dolente gli uomini tutti. Né oro né gemme, ma gocce di sangue e sudore di morte».
Gesù Crocifisso è così potente e affascinante che converte anche gli ebrei di dura cervice, come quel giovane diciassettenne di nome Gioele, che disobbedendo a suo padre, frequentò l’ora di religione cattolica a scuola, tenuta da un dotto e santo sacerdote, e alla fine, sfidando tutti, volle il Battesimo e disse, con le lacrime agli occhi: «Strappatemi gli occhi e io vivrò ancora; tagliatemi le mani e continuerò a vivere, ma se mi strappi Gesù, mi strappi il cuore: io senza Gesù non posso più vivere».
L’aveva già profetizzato Isaia, al capitolo 53, con il cantico del Servo Sofferente: «Tal-Ja delaha», che come spiega appunto Eugenio Zolli, significa il Figlio di Dio, il Servo di Dio, l’Agnello del nostro riscatto che “avrà in premio le moltitudini e dei potenti farà bottino”, l’Agnello al quale è stata promessa una straordinaria divina vitalità, una incalcolabile discendenza, anche oggi.
Autore: Paolo Risso
L’Europa era ancora in preda alle battaglie finali della Seconda Guerra Mondiale, praticamente terminata in Occidente verso l’11 maggio 1945, con la capitolazione delle ultime forze tedesche, quando il 14 febbraio 1945 le Agenzie di stampa, fra le tante notizie belliche del momento, fecero sapere che il 13 febbraio il professore Israel Zolli, Gran Rabbino di Roma, si era convertito al cattolicesimo, ricevendo il Battesimo.
Fu una notizia stupefacente, che riempì di meraviglia l’Europa e l’America, suscitando alternativamente, incredulità, sdegno, commozione, odio; e da allora si scatenò per mesi e mesi, una ricerca delle cause che potessero aver prodotto tale mutamento, in uno dei più autorevoli rabbini del tempo.
Origini, formazione ebraica, incontro con Cristo
Israel Zoller, era nato il 17 settembre 1881 a Brodj in Galizia, regione che dal 1923 faceva parte della Polonia, era figlio di un ebreo polacco e la madre era di famiglia rabbinica da più di quattro secoli e come tale desiderava che uno dei suoi figli diventasse rabbino (ministro del culto ebraico).
Israel crebbe perciò studiando a fondo la Legge di Mosè ed i Profeti, per rendere la sua vita conforme a questi insegnamenti.
Era ancora un ragazzo, quando in casa di un compagno cattolico, vide un crocifisso appeso alla parete e domandò: “Chi è quello?” e come risposta gli fu detto: “È Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio morto per noi!”.
Israel rimase colpito, e da allora cominciò ad interrogarsi “Perché gli Ebrei lo crocifissero? Era forse un criminale?”, iniziando nel contempo a leggere il Vangelo donatogli da amici cristiani, rimanendone fortemente impressionato.
In seguito, leggendo e studiando il Libro di Isaia, venne a conoscere la figura del “Servo sofferente di Jahvé”, descritto da un anonimo chiamato dagli studiosi “Secondo Isaia”, e celebrato in quattro canti, nei capitoli 42-49 e 50-53.
In particolare nel capitolo 53 il ‘Servo del Signore’ è descritto come l’Uomo più innocente, eppure percosso e umiliato, tormentato fino alla morte, a causa dei peccati degli altri: “…Eppure, egli si è fatto carico delle nostre infermità e si è addossato i nostri dolori. Noi lo abbiamo ritenuto un castigato, un percosso da Dio e umiliato. Ma egli è stato trafitto a causa dei nostri peccati, schiacciato a causa delle nostre colpe. Il castigo che ci rende la pace si è abbattuto su di lui, per le sue piaghe noi siamo stati guariti…”.
Israel Zoller si interrogò: “Il Crocifisso in cui credono i cristiani, non è forse questo ‘Servo di Jahvé?” e l’inquietudine che lo pervase lo accompagnò nel suo lungo cammino in cerca della verità.
Frequentò prima l’Università di Vienna, poi quella di Firenze, dove conseguì la laurea in filosofia; studiando nel contempo anche nel Collegio Rabbinico.
Rabbino a Trieste
A 30 anni nel 1911, fu nominato vice-rabbino di Trieste; il suo ministero ebraico, non gli impedì di proseguire nelle sue meditazioni e riflessioni sul Libro di Isaia prima citato, tutte le ipotesi cadevano man mano e una sola rimaneva valida.
Il rabbino Zolli raccontò. “Era un pomeriggio d’estate del terribile 1917, quando la penna mi cadde dalla mano… e dal fondo proruppe un grido di angoscia. Era l’anima che gridava: “Cristo, salvami!”, aveva compreso, il ‘Servo di Jahvé’ è solo Gesù Crocifisso e poi risorto.
Nel 1920 Israel Zoller fu nominato Rabbino Capo di Trieste; qui sposò Emma Majonica dalla quale ebbe una figlia, Myriam, e sia l’una che l’altra, parteciperanno poi al suo travaglio in cerca della Verità.
Nel 1933, prese la cittadinanza italiana, cambiando il cognome Zoller in Zolli; gli fu data la Cattedra di Lingua e Letteratura ebraica all’Università di Padova, ma ormai anche in Italia, come già in Germania, Polonia, Austria, si era scatenato l’antisemitismo e a causa delle famigerate leggi razziali fu costretto a lasciare l’insegnamento.
Gran Rabbino a Roma – Le sofferenze della Comunità con i tedeschi
Ma il Signore lo conduceva per mano, pur in tempi tanto difficili, soprattutto per gli ebrei europei, e nel 1940 anno dell’entrata in guerra dell’Italia, Israel Zolli diventò Gran Rabbino a Roma, cioè della più antica comunità ebraica occidentale.
Gli ebrei erano più o meno apertamente perseguitati e la vita della comunità era difficile e sofferta, il Rabbino cominciò con il mettere tutti in guardia per quello che stava per accadere, ma non sempre fu creduto; finché l’8 settembre 1943 la situazione scaturita dall’armistizio di Badoglio con gli Alleati, precipitò con l’occupazione di Roma da parte dei tedeschi di Hitler.
Iniziò per Israel Zolli la fase più cruciale della sua vita, che sfocerà nella conversione e nel riconoscimento di Cristo, Figlio di Dio; mentre il Gran Rabbino di Roma era cercato a morte, gli ebrei della comunità furono destinati alla deportazione, verso i famigerati campi di sterminio, allestiti in Germania e Polonia.
Il 27 settembre 1943, il colonnello delle SS Herbert Kappler, capo dei servizi di polizia a Roma occupata, pretese dalla Comunità ebraica, entro 24 ore la consegna di 50 kg d’oro, minacciandoli in caso di inadempienza, della deportazione verso la Germania.
Gli ebrei romani racimolarono tutto quello che potevano, ma a fine giornata mancavano ancora 15 kg d’oro; allora il Rabbino Zolli si recò da papa Pio XII per chiedere il suo aiuto; il pontefice, tanto accusato in seguito di non aver condannato la persecuzione degli ebrei, diede disposizione che gli fosse dato quanto richiesto.
Ma la richiesta tedesca era solo un modo di depredarli, perché comunque gli ordini dei vertici nazisti erano perentori, infatti pur avendo ricevuto i 50 kg d’oro, la notte fra il 15 e il 16 ottobre 1943, duemila ebrei romani furono rastrellati e deportati, la casa del rabbino fu saccheggiata.
La sorte dei milioni di Ebrei vittime dell’Olocausto è nota a tutti, ma in questa scheda dobbiamo solo parlare del Rabbino Capo di Roma Israel Zolli, che fortunosamente scampò al rastrellamento, continuando a vivere precariamente nella dispersa comunità.
La riconoscenza a papa Pio XII – Il cammino della sua conversione
All’arrivo delle Forze Alleate a Roma, il 4 giugno 1944, Israel Zolli riprese il posto di Gran Rabbino e nel successivo luglio celebrò una solenne cerimonia nella Sinagoga, che fu radiotrasmessa., per esprimere pubblicamente la riconoscenza della Comunità ebraica a Pio XII, per l’aiuto dato loro durante la vergognosa persecuzione nazista.
Inoltre il 25 luglio 1944 si recò in udienza in Vaticano, per ringraziare ufficialmente il papa per quanto egli, personalmente o attraverso i cattolici, aveva fatto in favore degli ebrei, ospitandoli o nascondendoli in conventi e monasteri, per sottrarli all’odio razzista delle SS naziste; diminuendo così il numero già immenso di vittime.
Ma ormai era arrivato il tempo del gran passo; il 15 agosto 1944 festa dell’Assunzione della Vergine, si recò da padre Paolo Dezza gesuita dell’Università Gregoriana e gli disse. “Domando l’acqua del Battesimo e null’altro” e in una successiva intervista spiegò: “Quando ho visto la mia anima che traboccava di Cristianesimo, pur conservando infinita carità per le sofferenze del mio popolo, mi sono convinto che sarebbe stato disonesto proseguire per una via che non era più la mia”.
Nel mese di settembre 1944, celebrò per l’ultima volta la festa dell’Espiazione nella Sinagoga romana, poi si dimise dalla carica di Gran Rabbino; la Comunità ebraica non sapeva il motivo di quel ritirarsi e gli fu così proposto l’incarico di direttore del Collegio Rabbinico, ma egli rifiutò.
Come già detto all’inizio, il 13 febbraio 1945 ricevé il Battesimo nella Cappella annessa alla sacrestia della Chiesa di S. Maria degli Angeli a Roma, per le mani di mons. Traglia, Vicegerente di Roma, prendendo il nome di Eugenio Pio, come riconoscenza a papa Pio XII (Eugenio Pacelli); la moglie Emma aggiunse al suo il nome di Maria in onore della Madonna, mentre la figlia Myriam per prepararsi meglio, volle attendere ancora un anno, prima di ricevere il Battesimo.
La domenica successiva, i coniugi convertiti, Eugenio Pio Zolli ed Emma Maria Majonica, ricevettero la Cresima e la Prima Comunione.
Le critiche subite, le sue affermazioni in difesa della scelta fatta
La notizia si diffuse nel mondo e l’ex Gran Rabbino non ebbe più pace; il settimanale ebraico uscì stampato listato a lutto; si rifugiò per qualche tempo alla “Gregoriana”; fu contattato da ebrei americani, che volevano offrirgli un’ingente somma di denaro purché ritornasse all’ebraismo, che Eugenio Zolli rifiutò decisamente.
Anche i protestanti gli si rivolgevano, affinché mostrasse con la sua profonda conoscenza delle Sacre Scritture, che il primato del Papa non aveva fondamento nei Vangeli; ma egli rispose difendendo il primato petrino con grande competenza.
Agli ebrei che lo accusavano di essere un serpente covato nell’antica comunità israelitica, egli rispose: “Il mio Dio si è rivelato al mondo, dopo Mosè e i Profeti, in Gesù Cristo. Io sento per Gesù un amore ardente, fiammeggiante e per amore di Gesù Cristo ho rinunciato a tutto… Nulla chiesi e nulla ebbi da voi. Vi amo tuttora nel nome del Signore”.
Quindici giorni dopo, il 4 marzo 1945 si recò in udienza da papa Pacelli per esternargli la sua devozione, come nuovo figlio della Chiesa Cattolica. Anziano, sofferente e povero, era comunque felice e prese a vivere una fervente vita cristiana, nella incrollabile certezza della verità del Cattolicesimo.
Assisteva ogni mattina alla celebrazione della Santa Messa con la Comunione Eucaristica, seguita da prolungata preghiera, diceva: “Si sta bene in cappella con il Signore, che non vorrei mai uscirne”.
Continuava lo studio della Sacra Scrittura ed in ogni rigo vedeva Gesù Cristo; spesso ripeteva: “Voi che siete nati nella religione cattolica, non vi rendete conto della fortuna che avete avuto di ricevere fin dall’infanzia la fede e la grazia di Cristo; ma chi come me, è arrivato alla fede dopo un lungo travaglio di anni, apprezza la grandezza del dono della fede e sente tutta la gioia di essere cristiano”.
Apostolo del Cristianesimo – Difensore del papa
Si sistemò in un appartamento distante dalla Sinagoga e cadute le leggi razziali, poté accedere di nuovo alla docenza universitaria; intraprendendo un efficace lavoro apostolico, anche verso i suoi antichi correligionari ebrei, per attirare verso Cristo i più ben disposti.
Non mancò lavoro letterario in cui egli non esponesse le virtù pacifiche e caritatevoli di papa Pio XII (Pastore Angelico), in effetti Eugenio Pio Zolli, divenne il più strenuo difensore e assertore dell’opera del papa a favore del suo popolo perseguitato.
Non mancarono nel mondo le ipotesi che il suo convertirsi fosse conseguenza della riconoscenza nutrita verso Pio XII, e lui sempre a confermare che il percorso fatto verso la Chiesa Cattolica, era maturato nei decenni precedenti, con lo studio delle Scritture e con la meditazione dei semitismi avvertibili nei Libri del Nuovo Testamento, e poi con la ricerca prorompente di Gesù, Figlio di Dio.
Nonostante ciò, volle comunque ribadire: “Io non ho esitato a dare una risposta negativa alla domanda se mi fossi convertito per gratitudine a Pio XII, per i suoi innumerevoli atti di carità.
Ciò nonostante, sento il dovere di rendergli omaggio e di affermare che la carità del Vangelo fu la luce che mostrò la via al mio cuore vecchio e stanco. È quella carità che tanto spesso brilla nella storia della Chiesa e che rifulge nell’opera del Pontefice regnante”.
Nel 1945 pubblicò presso l’AVE di Roma il libro “Antisemitismo”, nel 1946 sempre per l’AVE, pubblicò il suo capolavoro “Christus” che come diceva lui, era stato scritto più con le lacrime che con inchiostro; “Gesù Cristo soltanto ci può condurre in alto. Rivolgersi a Gesù significa ascendere. Gesù è la via e la guida più sublime. Gesù mio, ti amo. Sono beato di essere tuo. Voglio esserlo sempre di più, adesso e nell’ora della morte”.
Fra i cattolici, fu conferenziere stimato e ricercato, non solo a Roma, come ai corsi tenuti all’Oratorio Filippino della Vallicella; ad Assisi partecipò nell’agosto 1946, al Corso Cristologico promosso dalla “Pro Civitate Christiana”, svolgendo il tema: “La Carità di Cristo nel cuore di Pio XII”; nel 1953 andò all’Università “Notre Dame” di Indiana negli Stati Uniti, dove tenne una serie di conferenze e qui pubblicò “Before the dawn” (Prima dell’aurora) dove ribadiva che la conversione consiste nel rispondere alla chiamata di Dio e che quando arriva si può fare solo una cosa, obbedire!
Continuò a scrivere su diverse riviste e ancora pubblicò altri libri, fra cui “Da Eva a Maria” (1953), in cui esprimeva il suo grande amore per la Madonna, alla quale affidava sé stesso e il suo popolo; fu strenuo difensore negli ambienti protestanti del primato di Pietro.
Il grande studioso delle Sacre Scritture, che un giorno aveva detto sulla profezia di Isaia: “O il Servo di Jahvé è Colui che la Chiesa Cattolica ha riconosciuto e onorato fin da principio e riconosce tuttora come Figlio di Dio, o tutto è un caos e cadono tutte le Scritture”, si spense serenamente a Roma il 2 marzo 1956 a 75 anni, nello stesso giorno dell’80° compleanno del suo grande amico papa Pio XII.
Autore: Antonio Borrelli
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