Padre Angelo Cuomo nacque a San Giuseppe Vesuviano il 13 agosto 1915 da Nicolangelo e da Rosa Panico. Fu battezzato il 19 agosto successivo. Nell’autunno del 1922 Angelo cominciò a frequentare la scuola elementare, si preparò con sorprendente raccoglimento alla prima comunione e diede inizio ad un vero e proprio cammino ascetico, che proseguì, nel tempo, con passo sempre più spedito. Adolescente, frequentando la parrocchia, aderì all’Azione Cattolica e, attraverso il padre Agostino Carraretto, imparò a conoscere e ad amare l’eccezionale figura del Murialdo, Fondatore della Pia Società Torinese di S. Giuseppe, e la specificità del suo carisma. Il 20 marzo 1930 poté ricevere, dalle mani di sua eccellenza mons. Egisto Melchiori, vescovo della diocesi di Nola, il sacramento della Confermazione. Sentì forte il richiamo alla santità e pensò di iniziare a percorrerne la via. Voleva innanzitutto amare Dio con autentica radicalità evangelica e poi, prodigarsi per il prossimo. Avvertì il bisogno di aprirsi totalmente al Signore nella preghiera e di scrutare quali erano i divini disegni su di lui. Si offrì totalmente a Cristo e iniziò ad assaporare le sue insondabili ricchezze spirituali. Le cose celesti lo attraevano fortemente. Nel silenzio dell’adorazione, davanti alla infinita, divina trascendenza, prese la sua decisione: avrebbe percorso la via della santità nel sacerdozio. Affidò alla Madonna i suoi propositi affinché fossero rafforzati con il suo aiuto e la sua materna protezione. All’età di sedici anni, il 26 agosto del 1931, fece il suo ingresso nel noviziato della «Pia Società Torinese di S. Giuseppe» di Rivoli, in provincia di Torino «per la propria e l’altrui santificazione». Elesse, come suoi modelli e protettori, San Giuseppe e San Leonardo Murialdo. Del padre putativo di Gesù promise di imitare lo spirito di fede, l’obbedienza pronta alla divina volontà; la vita povera, oscura, laboriosa, casta; l’abbandono filiale alla Provvidenza; l’interiorità; la disponibilità al servizio; il quotidiano contatto col mistero divino come unico mezzo per fugare inquietudini e paure. Con un corso di esercizi spirituali si preparò a ricevere il suddiaconato. Era d’esempio a tutti per lo spirito di preghiera. Recitava con particolare fervore l’Ufficio divino, nella consapevolezza che «deve essere la gioia più grande e il più grande onore cantare, a nome di tutta la Chiesa, a nome di tutta la creazione, la gloria dell’Altissimo» Lo si vedeva spesso, nel corso della giornata, in chiesa, sui gradini dell’altare. Voleva essere il «prolungamento di Cristo, che passava molto tempo in orazione». Per lui erano «dolci le ore passate davanti al tabernacolo per adorare, lodare e ringraziare; per domandare e riparare; le ore dell’interiorità, in cui non si sente che il silenzio». Il 25 agosto 1941, prima di ricevere l’ordine maggiore del suddiaconato, scrisse: «Mi offro a Cristo con tutta la mia vita, per essere tra le sue mani uno strumento di apostolato e per iniziare quell’offerta che culminerà nel Sacerdozio in cui Cristo si doni a me perché io lo doni alle anime. Amore. Santità. La mia santità è voluta da Cristo, che mi ha chiamato alla vita religiosa. È voluta dalla Chiesa, che mi affida i suoi tesori. È voluta dal popolo, che nel Sacerdote vuol vedere l’uomo di Dio. Quale santità voglio acquistare?: che nessuno se ne accorga. Una grande vita interiore deve formare la linfa spirituale della mia giornata. Signore, fa’ che la mia santità sia una fiamma che si espanda, un incendio che arda sempre, per poter realizzare il motto di San Paolo: “Per me vivere è Cristo” avendo lo scopo di santificare me stesso e santificare gli altri. Ecco la necessità, allora, di crescere in santità. L’osservanza più precisa della Regola, lo spirito di mortificazione e l’unione con Dio mi daranno la mano per ascendere questo monte che mi brilla lontano». Il desiderio e l’ansia di farsi “santo”, che non lo abbandoneranno per tutta la vita, erano alla base di ogni suo pensiero. Il 28 giugno 1942, diventò sacerdote di Cristo». Sull’immaginetta ricordo scrisse: «Mi dono tutto a tutti, per guadagnare tutti a Cristo». A Lucera, in provincia di Foggia, svolse i primi anni della sua missione tra i giovani. La chiesa e l’oratorio di “S. Caterina” si rivelarono ben presto insufficienti per il numero dei ragazzi che li frequentavano, per cui pensò di realizzare un’Opera Nuova. Attraverso numerose iniziative riuscì ad avere in dono il terreno e con straordinari espedienti raccolse i fondi necessari per costruire un Oratorio, una chiesa ed un teatro che dedicò tutti a San Giuseppe. Nonostante le mille occupazioni, riusciva sempre a trovare il tempo per intrattenersi davanti al Tabernacolo, da solo o con i ragazzi. Meditava sull’istituzione dell’Eucaristia e, spesso piangeva calde lagrime di commozione considerando l’ingratitudine degli uomini verso Gesù che, «per compassione verso questa umanità, aveva voluto restare con noi, vivere con noi, vicino a noi». Voleva a tutti i costi «farsi santo» e, ricordando che il Padre Fondatore chiedeva a Dio l’aiuto per raggiungere la santità, nella preghiera espresse questo suo desiderio al Signore e alla Vergine Maria, Regina dei Santi e Madre dei sacerdoti. Dopo aver rivestito l’incarico di Direttore dell’Opera, fu nominato Superiore provinciale dei Padri Giuseppini. Volle subito conoscere le comunità comprese nella sua giurisdizione, tutti i confratelli, gli oratori e le Opere, per avere contezza dei relativi problemi e delle singole necessità. E, in questo “servizio”, mise in luce straordinarie doti di saggezza, di pazienza e di carità. Ad ogni Religioso rivolgeva supplichevoli parole perché nutrisse il suo spirito con assidua preghiera. Servendosi delle lettere circolari, scriveva: «Se tu non alimenti il tuo zelo nutrendolo di vita interiore e di orazione mentale, la vita può serbarti amare sorprese. Il dovere, la dedizione, l’attuazione di qualunque ideale, lo spirito di sacrificio e di rinunzia, il tuo lavoro che non conosce sosta e riposo, costano dolore. Ora, chi ti darà la forza per superare con gioia ogni difficoltà, chi ti farà raggiungere le tue aspirazioni, se non la tua preghiera e il tuo saper sostare davanti al Signore?». Suggeriva di «vivere insieme ai ragazzi, interessarsi alle loro cose, animarle dando loro importanza, formarsi dei collaboratori», «farli “stancare” per bruciare le loro energie ed evitare così le tentazioni contro la virtù della purezza». Il suo provincialato durò nove anni. Poi fu superiore e parroco dell’ Opera “S. Michele” a Foggia. Il 5 ottobre 1972, dopo quindici anni, Padre Angelo fece ritorno a Lucera dove, fino al 31 maggio 1980 si dedicò all’insegnamento mettendo in luce doti carismatiche di grande educatore della gioventù. Per i suoi meriti eccezionali ebbe Il Consiglio Comunale di Lucera gli conferì la cittadinanza onoraria. Padre Angelo Cuomo , definito dal vescovo della Diocesi mons. Raffaele Castielli «un dono incomparabile di Dio», passò gli ultimi anni della sua vita tra l’altare e il confessionale. Nelle ore libere visitava gli infermi, assisteva i moribondi, confortava le anime, faceva compagnia a chi era solo, dispensava saggi suggerimenti e ispirati consigli. Aveva per tutti una parola buona, un sorriso. Il 31 dicembre del 1989 volle essere presente tra i giovani che avevano deciso di aspettare all’Opera la fine dell’anno. Di notte fu colto da un infarto. Riuscì a chiamare l’anziano confratello padre Nazareno Lughi per chiedergli l’estrema unzione. Non voleva disturbare nessuno. I suoi occhi, fissavano quelli della “Madonna della tenerezza”, la cui effigie troneggiava nella sua camera. Tentò di baciare il Crocifisso che aveva sul comodino, ma il suo braccio ricadde sulla coperta. Venne chiamata un’autoambulanza. Ma mentre questa si dirigeva verso l’ospedale, la bell’anima di Padre Angelo, con un’improvvisa deviazione, si avviò verso la Patria beata. Erano le ore 4,30 di martedì, 2 gennaio 1990. Padre Angelo, impiegando tutti i mezzi che aveva a disposizione per crescere e migliorarsi, esercitò in maniera straordinaria, come risulta da numerose testimonianze, speciali virtù acquisite. A queste si aggiunsero le virtù teologali (fede, speranza e carità), “infuse” dalla benevolenza di Dio e da lui accolte con particolare corrispondenza; le quattro virtù morali: (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza) e le virtù connesse ai voti emessi in quanto Religioso (povertà, castità e obbedienza). I suoi resti mortali, circondati ininterrottamente da tanta fama di santità, riposano nella chiesa di Cristo Re, a Lucera.
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