Anche le sante sorelle, Licinia, Leonzia, Ampelia e Flavia, costituirono il degno corollario di santità, che circondò la figura e l’opera del grande santo protovescovo di Vercelli, s. Eusebio († 1° agosto 371); il quale con il suo celebre cenobio, formò e produsse tante figure sante, soprattutto di vescovi, che onorarono con il loro illuminato episcopato, quasi tutte le diocesi dell’Italia Settentrionale, a partire dalla stessa antica diocesi di Vercelli. Ma sant’Eusebio fondò anche un monastero femminile a Vercelli, affidandolo alla sorella sant’Eusebia, che ne divenne la prima superiora. E in questo monastero, sin dai primi tempi, fiorirono esemplari e sante figure di monache, fra le quali le suddette quattro vergini di cui parliamo. Il monastero sorse presso la chiesa cattedrale, il cui vescovo era s. Eusebio, notissimo per la sua austerità e dottrina spirituale, che ne dettò insieme alla sorella, le norme di vita ascetica. Le monache dovevano praticare digiuni, vivere in rigida povertà, raccogliersi più volte al giorno e anche nella notte, a cantare in coro le lodi del Signore, osservare scrupolosamente la clausura, occupare le ore libere nel lavoro per il soddisfacimento delle necessità del monastero e provvedere anche al servizio della cattedrale con la cura delle suppellettili e dei paramenti. All’interno della basilica cattedrale, correva sulle navate laterali e nel vestibolo un matroneo, da dove le monache assistevano ai sacri riti, associandosi alle preghiere del popolo. Oltre il nome della prima superiora s. Eusebia, si conoscono solo otto o nove nomi di monache, conservati nelle antiche iscrizioni che ornavano i loro sepolcri; è il caso delle monache Zenobia, Costanza e delle quattro di cui parliamo; anzi Licinia, Leonzia, Ampelia e Flavia, ebbero culto nell’antica liturgia eusebiana e furono invocate con i santi di quella Chiesa nelle litanie. Un’iscrizione metrica e acrostica ornava il sepolcro delle quattro vergini e ne esaltava le virtù con espressioni colme di ammirazione, in epoca recente il marmo andò smarrito, ma fortunatamente i trenta versi del carme erano stati in precedenza trascritti e sono attualmente l’unica fonte che fornisce notizie su di loro. Da questa iscrizione si apprende nell’ultimo verso, che la nipote delle sante vergini che erano quattro sorelle, di nome Taurina, monaca anch’essa e forse superiora, volle collocare sul sepolcro che le custodiva tutte insieme, il carme che fu composto probabilmente dal vescovo s. Flaviano, già alunno del cenobio eusebiano e poeta celebrante i meriti dei personaggi più degni, fioriti nella Chiesa vercellese. Caratteristica singolare del carme, è che non sono nominate le quattro sorelle ma l’autore alla fine dell’elogio, avverte i lettori che i suoi versi sono acrostici (componimento poetico in cui le iniziali dei singoli versi, lette nell’ordine, formano una o più parole, come ad esempio, il nome della persona a cui esso è dedicato); quindi i nome delle sorelle si apprendono leggendo di seguito le prime lettere dei 30 versi. Per quando riguarda l’epoca in cui vissero, calcolando l’età della loro nipote Taurina, vissuta una generazione dopo di esse ed essendo la nipote contemporanea di s. Flaviano († 542), si può calcolare che Licinia, Leonzia, Ampelia e Flavia, siano vissute nella seconda metà del secolo precedente, cioè del V; quindi un centinaio d’anni dopo la fondazione del monastero; inoltre i loro nomi classicamente romani, indicano che vissero in periodo anteriore alle invasioni barbariche. I versi del suddetto carme elogiano la pietà e la fede dei genitori, che avevano donato e dedicato al celeste Re, tante figlie nel monastero eusebiano; particolare estro poetico, l’autore lo dedica alla madre delle quattro sorelle, Maria, che diede alla luce le elette pecorelle e riposa nella pace eterna illuminata dalla luce dei quattro astri splendenti, così come quando accompagnò nel tempio le sue vergini figlie, che cantando si apprestavano a consacrarsi a Dio. Il carme continua encomiando le virtù delle quattro sorelle, che nel monastero apparvero ornate di fiori e come le vergini della parabola evangelica, pregando attesero la venuta dello Sposo divino, avvolte nel loro abito monacale. Sotto il velo imposto sul loro capo dal vescovo celebrante, trascorsero l’innocente vita ricca di opere buone. Ed ora i loro corpi, liberi da ogni sofferenza, giacciono in un unico sepolcro, tanto fu l’amore che le tenne unite in vita, che un sol tumulo le custodisce e conserva alla venerazione dei fedeli. Lo storico M. A. Cusano, pone le quattro sante al 3 agosto nel Calendario Eusebiano da lui pubblicato. Le loro reliquie sono nella cattedrale di Vercelli e una parte anche nella Chiesa della Casa Madre della Congregazione delle Suore Figlie di S. Eusebio, fondata a Vercelli il 29 marzo 1899 da mons. Dario Bognetti e da suor Eusebia Arrigoni, la cui spiritualità si rifà al millenario monastero eusebiano.
Autore: Antonio Borrelli
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