Con il nome di Mamante, conosciamo tre martiri tutti orientali, fra i quali il più celebre è il grande santo conosciuto anche con il nome di Mama, martire di Cesarea di Cappadocia, la cui festa è il 17 agosto e il cui culto si estese ampiamente in Oriente e in Occidente, con reliquie sparse in tutta Europa. Un secondo Mamante è accomunato nel martirio ai ss. Tecla e Basilisco, martiri in un villaggio palestinese e la cui festa è riportata dal Calendario Palestino-georgiano al 21 giugno. Il terzo Mamante, fa parte di un numeroso gruppo di martiri di Melitene in Armenia, catalogati come s. Gerone e compagni martiri, e la cui celebrazione, secondo il Sinassario Costantinopolitano è il 7 novembre, riportata anche dal Martirologio Romano. Procopio di Gaza, raccontò che quando a Costantinopoli, al tempo di Giustiniano imperatore, si fecero gli scavi per gettare le fondamenta della Basilica di S. Irene, vennero alla luce le reliquie di non meno di quaranta martiri, con un’iscrizione che li qualificava come soldati romani della XXII Legione, di stanza a Melitene. Nella prima metà del VII secolo, fu creata la prima leggenda letteraria sui martiri di Melitene, che qui se ne racconta la trama: Al tempo degli imperatori Diocleziano (243-313) e Massimiano (250-310), dopo una dura sconfitta subita dai romani ad opera dei Persiani avvenuta nel 296, si cercò di reclutare nuovi soldati per ricompattare l’esercito. Un funzionario imperiale Agricolao, fu inviato in Cappadocia per arruolare con forza tutti cristiani che non volevano rinunciare alla loro fede, ma risaputa la notizia, tutti gli uomini validi fuggirono dalla città; Agricolao saputo della presenza di un vignaiolo di nome Gerone, inviò degli uomini per arruolarlo, ma egli, dotato di forza eccezionale, si difese bene prendendo a scudisciate i soldati che fuggirono. Anche un secondo tentativo dei soldati di stanarlo da dentro una grotta, dove si era rifugiato con altri 32 compagni, risultò vano. Alla fine un suo fratello lo convinse a desistere e così Gerone ed i suoi amici si arruolarono nell’esercito imperiale ed inviati a Melitene in Armenia. Qui Gerone ebbe in sogno un vecchio misterioso, che lo incoraggiò a restare saldo nella fede, perché l’attendeva la prova del martirio; avvertì di ciò i suoi compagni cristiani e tutti proposero di non partecipare al solenne sacrificio agli dei, in programma il giorno seguente e a cui dovevano essere tutte presenti le reclute. Nel racconto ambientato al tempo dell’editto imperiale del 303 contro i cristiani, segue l’interrogatorio e l’opera di persuasione a desistere del preside Lisia, con promesse, minacce, supplizi e fustigazioni, uno di loro Vittore non resisté e rinunciò fuggendo insieme ad un altro; a Gerone fu amputata la mano che aveva colpito i soldati romani. Alla fine tutti i 31 arrestati rimasti furono decapitati, questi i loro nomi: Gerone, Mamante, Nicandro, Esichio, Baraco, Massimiano, Callinico, Atanasio, Teodoro, Ducezio, Eugenio, Teofilo, Valerio, Teodoto, Callimaco, Santico, Ilario, Giganzio, Longino, Temelio, Eutichio, Diodato, Castricio, Teogene, Nicone, Teodolo, Bostrichio, Doroteo, Claudiano, Epifanio, Aniceto. Studiosi agiografi hanno fatto notare che questa leggenda ricalca in più punti la ‘Passio’ dei XL Martiri di Sebaste.
Autore: Antonio Borrelli
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