Con una cadenza quasi biennale, dal 1941 al 2004, la Congregazione dei Missionari del Cuore di Gesù (Missionari Comboniani) ha subito la perdita di ben 23 missionari fra Sacerdoti e Fratelli (non trattiamo qui delle Suore uccise, citando per tutte suor Teresa Paola Dalle Pezze, martire in Mozambico il 3 gennaio 1985). La lunga teoria di martiri è la testimonianza più genuina dell’opera e della dedizione dei Comboniani e Comboniane, secondo lo spirito del loro Fondatore. Nel settembre 1864, mentre pregava sulla tomba di san Pietro a Roma, san Daniele Comboni, fondatore dei Missionari del Cuore di Gesù (Comboniani) e delle Pie Madri della Nigrizia (Comboniane), ebbe una meravigliosa intuizione: “Se il clima micidiale non consentiva ai missionari europei una diretta penetrazione in Africa, era assolutamente necessario preparare gli stessi africani, in località dove l’africano vive e non si muta e l’europeo opera e non soccombe”; da ciò scaturì il programma missionario “Salvare l’Africa con l’Africa”. Ci vollero anni per avviare la realizzazione di quest’ideale e nel frattempo altri missionari cadevano vittime del clima, dell’ostilità dei pagani, dei contrasti politici-rivoluzionari, che da un paio di secoli funestavano e funestano l’Africa e i suoi poveri abitanti; lo stesso Daniele Comboni perse la vita a 50 anni, il 10 ottobre 1881, per i disagi e la dura vita sopportata nel Sudan. Ma tanti altri suoi figli e figlie, lo seguirono e lo seguono nelle terre di Missione e in particolare nel Continente Africano. E in Africa un posto privilegiato nell’opera apostolica e nella promozione umana e sociale, da parte dei Comboniani, l’ebbe l’Uganda, il grande Paese dell’Africa Centrale; i primi tre comboniani arrivarono nel 1910, padre Albino Colombaroli, mons. Francesco Saverio Geyer e fratel Augusto Cagol. Bisogna comunque ricordare che furono i “Padri Bianchi” nel 1879, ad arrivare per primi in Uganda, accolti all’inizio benevolmente dal re Mwanga e poi subirono la feroce persecuzione contro i cristiani, fomentata dai musulmani; le vittime più note furono i 22 paggi cattolici, che furono bruciati vivi nel 1886 sul colle di Namugongo; essi furono proclamati santi nel 1964 da papa Paolo VI; i martiri accertati di quel tempo furono 45 fra cattolici e protestanti, tra i quali i suddetti 22 paggi. Dopo i tre padri missionari, a cui si aggiunsero altri comboniani, nel dicembre 1918 giunsero in Uganda le prime cinque suore comboniane; nel 1990 metà della popolazione ugandese era cristiana, l’opera missionaria dei Comboniani e di altre Congregazioni religiose, ha fatto si che nell’ultimo decennio del XX secolo, ci fossero in Uganda ben 14 vescovi e 830 sacerdoti autoctoni e 300 dell’estero; i religiosi sempre ugandesi erano 2800, di cui 2500 suore e 300 fratelli; inoltre 5000 catechisti e nei seminari maggiori e minori 1850 studenti. Una Chiesa quella ugandese, fondata sulla roccia, che le ha permesso di affrontare e superare le difficoltà e le tragedie, che dopo l’indipendenza del 1962, ha visto l’Uganda in preda a guerre con la vicina Tanzania, l’invasione del suo territorio, l’occupazione l’11 aprile 1979 di Kampala la capitale, con l’aiuto dei partigiani di Obote, avverso al presidente dell’Uganda Amin. In quel funesto 1979, si formò un governo provvisorio in vista di nuove elezioni, ma la situazione era incandescente con vendette e uccisioni, violenze e ruberie ogni giorno; mancava ogni sicurezza, ma anche i generi di prima necessità e per molti, specie i più deboli, fu la fame e la disperazione. La situazione politica in Uganda rimase ingarbugliata, con il suo strascico di guerre, rivoluzioni, controrivoluzioni, guerriglia e anarchia, con uccisioni e soprusi d’ogni genere per oltre 15 anni, durante i quali le missioni e le opere assistenziali sorte per la popolazione a cura dei missionari, subirono un duro colpo; dei missionari invitati a lasciare l’Uganda, nessuno lasciò il suo posto di lavoro apostolico; i comboniani diedero il loro tributo di sangue e parecchi fra sacerdoti e suore vi lasciarono la vita, consapevoli che “il sangue dei martiri, è seme di nuovi cristiani”. In questa scheda si parla di padre Egidio Biscaro ucciso il 29 gennaio 1990 a Pajule (Uganda) a 61 anni, anche lui come molti altri martiri comboniani, colpito in un agguato mortale mentre viaggiava sull’auto della missione. Padre Egdio Biscaro, era nato a Foresto di Cona (Venezia) il 22 settembre 1928, ultimo di sei figli; il padre Antonio era guardia campestre e arrotondava il magro stipendio con la coltivazione in proprio di un piccolo campo, ciò non bastava perché le necessità erano tante e le bocche da sfamare numerose. E tutto fu più pesante, quando nel 1933 morì la mamma Palmira Costa, e i sei figli con Egidio di appena cinque anni, rimasero orfani della sua guida e del suo amore. Man mano che i figli crescevano, andavano anch’essi a lavorare nei campi di altri padroni, sempre più esigenti e poco remunerativi; era una situazione che non aveva sbocchi positivi, nemmeno per il futuro, pertanto il padre prese la decisione di trasferire la famiglia verso la zona del Lodigiano, dove la terra era buona e la gente accogliente. Nel 1937, quattro anni dopo la morte della mamma, la famiglia emigrò come tanti in quei tempi, a Vaiano di Merlino, a metà strada tra Crema e Milano, accolti cordialmente dal parroco del paese don Domenico Locatelli. Il parroco diventò il punto di riferimento dell’intera famiglia, contribuendo al loro inserimento nella nuova comunità, i ragazzi presero a frequentare l’Oratorio, mentre Egidio divenne subito chierichetto. E dopo un certo tempo, una mattina dopo la celebrazione della Messa, Egidio prima di andare a scuola, confidò a don Locatelli di essere stato colpito dalla visita in paese di un missionario con la barba, operante in Africa e da allora aveva in cuore il desiderio di farsi missionario anche lui. Ma quest’intenso desiderio rimase tale per vari motivi, prima di tutto per lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, per cui invece di entrare in Seminario, perse la strada dei campi con il papà e i fratelli. Con la sua timidezza non era in grado di insistere sull’argomento, egli sapeva bene che la sua famiglia era povera e che per studiare occorrevano molti soldi; ad ogni modo Egidio continuò a mantenere uno stile di vita improntato alla pratica religiosa, con la Messa mattutina, l’intensa orazione, la visita serale all’Oratorio. Ma il Signore l’aveva scelto, fu solo questione di tempo; nel 1943 passò dal paese di Vaiano di Merlino un altro missionario, l’animatore vocazionale comboniano padre Gaetano Semini, il quale nel suo parlare ai ragazzi ed ai giovani della parrocchia dell’ideale missionario, accennò che non occorrevano solo sacerdoti per le missioni, ma egualmente necessari, anche i Fratelli laici, in grado con la loro esperienza lavorativa di aiutare i missionari sacerdoti e le suore nell’erigere chiese, officine, ospedali, case, scuole, cioè tutto ciò che serviva per promuovere lo sviluppo armonico della Chiesa africana e dell’Africa stessa. Al termine dell’incontro, Egidio Biscaro si avvicinò a padre Semini e dicendo di essere contadino, chiese di entrare a far parte dei Fratelli; padre Semini convenne che a 15 anni, era difficile iniziare la prima media, per intraprendere gli studi per sacerdote e sentito il parere favorevole del parroco, gli suggerì di fare domanda di ammissione come Fratello laico. Una buona donna del paese, gli volle confezionare il corredo indispensabile per la sua partenza, visto la povertà della famiglia e la mancanza della madre e nel 1943 in piena Guerra Mondiale, Egidio accompagnato dal papà, partì per Thiene (Vicenza) dove esisteva la Casa di preparazione dei Fratelli Comboniani. Qui il giovane restò quattro anni, imparando mestieri utili per le missioni, abbinati allo studio tecnico; pur non essendo una cima, al termine del corso primeggiò in meccanica; il 14 giugno 1947 a 19 anni, Egidio fece domanda di entrare nel Noviziato dei Comboniani, con lo scopo di diventare un giorno missionario per fare un po’ di bene agli Africani, secondo i desideri del fondatore san Daniele Comboni, il quale nelle Regole aveva scritto: “L’Istituto riceve nel suo seno laici di provata pietà ed attitudine, principalmente allo scopo di farne dei Fratelli Coadiutori, catechisti, istruttori e maestri di arti e mestieri necessari ed utili all’Africa”. Il 16 luglio 1947 Egidio entrò nel Noviziato comboniano di Venegono Superiore (Varese); dove si applicò nello studio della storia e metodologia missionaria e delle regole e consuetudini della Congregazione Comboniana, per diventare un perfetto religioso. Il 7 ottobre dello stesso anno, festa della Madonna del Rosario, Egidio indossò l’abito dei missionari, veste talare e fascia nera, che avrebbe usato nelle cerimonie, perché normalmente i Fratelli indossano gli abiti da lavoro. Dopo la vestizione, fratel Egidio partì per l’Inghilterra a Sunningdale, per completare i due anni di noviziato, imparando la lingua inglese; le sue ottime doti umane, tecniche, di applicazione, unite ad un carattere veramente felice, quieto, paziente, avevano determinato la scelta dei superiori. Il 15 agosto 1949, Egidio emise i voti religiosi che lo consacrarono missionario dell’Africa; il padre maestro alla vigilia di quella data, scrisse sulla cartella personale del neo Fratello, conservata in archivio: “Se la cattiveria del mondo non muterà il suo cuore, un domani avremo un santo”. Aveva 22 anni e con l’entusiasmo della gioventù, scalpitava nell’attesa di partire per le Missioni, ma i Superiori lo trattennero in Inghilterra per altri sei mesi, facendolo frequentare un corso di meccanica d’auto; perché in Uganda, dov’era destinato, c’era bisogno impellente di meccanici, grazie anche all’introduzione dell’automobile nella società ugandese. Dopo essere passato per il suo paese natio, a salutare l’anziano padre e i fratelli, come pure l’intera comunità parrocchiale di Vaiano di Merlino, fratel Egidio Biscaro, a fine febbraio 1950 partì per l’Uganda, precisamente per Gulu, una missione fondata il 19 febbraio 1911, nel cuore della tribù degli Aciòli; la regione aveva visto l’opera di vari missionari comboniani, primo fra tutti padre Pasquale Crazzolara; i quali avevano dovuto lottare contro gli stregoni contrari, subire l’incendio delle capanne dei cristiani, l’uccisione di due catechisti, l’ostilità dei protestanti presenti in zona. Ma già 25 anni dopo, la Chiesa Cattolica della regione, grazie allo sviluppo e moltiplicazione delle missioni, era cresciuta fino a 50.000 fedeli, distribuiti in 10 grandi missioni con 16.000 catecumeni e 640 catechisti. E in questo contesto sociale s’inserì fratel Egidio Biscaro, il quale prese subito a lavorare nella grande officina di Gulu, dove affluivano per le riparazioni, non solo le auto delle missioni della zona, ma anche quelle della gente locale. Ma non faceva solo il meccanico, ma anche tutte quelle mansioni ove occorreva una mano; diceva di lui padre Giuseppe Santi: “Mostra un carattere paziente e docile. Se ha un difetto è quello di fidarsi troppo della gente, per cui alle volte viene ingannato. Ha l’anima del fanciullo nel quale non c’è malizia”. Trascorse a Gulu tre anni, poi passò a Laybi presso un’altra officina, dove si preoccupava anche di insegnare ai giovani ugandesi il mestiere, secondo lo spirito del Comboni. I superiori volevano che s’interessasse anche della scuola, oltre che dell’officina, ma per questo gli occorreva un diploma che poteva conseguire a Londra e perciò dal 1958 al 1959, fu in Inghilterra presso il ‘Paddington Tecnical College’; dopo essersi diplomato, tornò come istruttore a Laybi. Qui oltre che interessarsi dell’insegnamento tecnico e della conduzione dell’officina meccanica, la domenica accompagnava il missionario sacerdote in qualche missione, dove spiegava il catechismo ai ragazzi e i passi della Sacra Scrittura; era tale il garbo e la passione che metteva in quel ministero, che spesso si sentiva chiedere il perché non si era fatto sacerdote. Tra il 1963 e 1964 ritornò per le vacanze in Italia, e per prima cosa si recò a pregare sulla tomba del padre, deceduto poco dopo la sua partenza per l’Uganda, nello stesso 1950. Dopo questa parentesi in Italia durata tre mesi, fratel Egidio ritornò a Laybi, che sembrava diventata ormai la sua missione, sempre accolto dall’affetto della gente e dove il lavoro non mancava. Trascorsero così gli anni e fratel Egidio, fu testimone dei vari progressi sociali e degli sconvolgimenti politici ed economici dell’Uganda, che dal 1962 diventò da colonia britannica una nazione indipendente. Anche la Chiesa aveva fatto passi da gigante e in Uganda si moltiplicavano diocesi, seminari, missioni e clero indigeno; mentre a Roma si svolgeva il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), con la sua ventata di innovazioni in ogni campo; fra tante riforme c’era la rivalutazione del Diaconato, allargato anche ai laici e a persone sposate. Per fratel Egidio fu l’aprirsi di una possibilità, che per quasi 20 anni aveva custodito in cuore, e senza indugi il 1° gennaio 1970, scrisse al Padre Generale dei Comboniani, affinché potesse realizzare, almeno come diacono, la completezza del suo ministero di Fratello, non solo nel campo sociale e formativo, ma anche nel campo spirituale, con la testimonianza di un totale dono a Dio, portando con il lavoro anche la Sua Parola. Dopo qualche mese la Congregazione decise che il Fratello missionario, oltre che diventare diacono, poteva anche aspirare al sacerdozio; fratel Egidio saltò dalla gioia, perché il Signore finalmente si ricordava di lui. Nel 1971 a 43 anni, fu ammesso al Pontificio Collegio Beda di Roma per gli studi teologici; furono tre anni di duro sforzo, egli era un uomo abituato alle scienze tecniche e sperimentali, ma era tale l’entusiasmo che l’animava, che superò tutte le difficoltà, finché il 6 aprile 1974 fu ordinato sacerdote a Milano. Padre Egidio Biscaro ritornò di nuovo in Uganda, ed esercitò il suo ministero sacerdotale ad Alito e ad Aber, sempre con il suo sorriso bonario e tanta mitezza e umiltà. Intanto l’Uganda precipitava negli sconvolgimenti politici, con guerra, guerriglia e miseria conseguente per il popolo, che fecero seguito al governo del dittatore musulmano Amin Dada, alle sue crudeltà, alla guerra dichiarata alla vicina Tanzania, che poi una volta vinto le battaglie decisive invase l’Uganda, provocando la fuga dei soldati di Amin, che si diedero alla guerriglia e al brigantaggio. A ciò si aggiunse il colera e altre malattie; molte missioni furono devastate e alcuni missionari uccisi o feriti; anche padre Egidio in quegli anni fu fatto bersaglio di agguati a colpi di mitra, una volta quando guidava la moto e un’altra mentre guidava l’auto, in ambedue i casi, si salvò buttandosi nell’erba alta, riportandone leggere ferite e un gran spavento, tanto che in seguito sopravvennero un paio d’infarti. Ad Aber e ad Aboke fu più volte assalito dai ladri, rischiò molte volte la vita, ma riuscì sempre a cavarsela; quando i Superiori dissero ai missionari, che se non se la sentivano più di rimanere, potevano ritornare in Italia, padre Egidio come tutti gli altri comboniani, non si mosse, volendo rimanere al fianco dei tanti fedeli che rischiavano la vita ogni giorno; anzi si buttò anima e corpo a soccorrere i più bisognosi, non badando a quale fazione appartenessero, così facendo aiutava tutti ma si inimicava tutti; non mancarono per questo critiche e incomprensioni degli altri confratelli, che lo fecero soffrire molto. Nel 1989 ritornò per un breve periodo in Italia, per un corso di aggiornamento a Roma e per salutare i parenti, concludendo con un pellegrinaggio in Terra Santa; poi ritornò fra quelli che sentiva ormai come “il suo popolo”. Si giunse così al 1990, la situazione in Uganda, alquanto migliorata in campo politico ed economico, era ancora tragica per quanto riguardava la sicurezza, i guerriglieri non combattevano più contro il governo, ma rifugiatosi nei boschi, si erano trasformati in bande di delinquenti che assalivano la popolazione dei villaggi, depredando tutto con atti di estrema violenza. Il 29 gennaio 1990, padre Egidio Biscaro si trovava nella missione di Pajule (diocesi di Gulu), quando decise di accompagnare con l’auto, una donna che doveva essere ricoverata con urgenza all’ospedale di Kitgum; si offrì di accompagnarlo padre Aldo Pieragostini, consapevoli entrambi dei pericoli che incombevano su chi usciva dalla missione; l’unica speranza era che se incappavano nei banditi, questi li fermassero senza sparare, perché loro secondo le disposizioni dei superiori, erano disponibili a dare subito quello che volevano. Ma così non fu, a circa 10 km da Pajule, in località Porogali, i banditi appostati nell’erba alta spararono alcune raffiche di mitra contro l’auto; la donna ammalata, colpita ai polmoni morì quasi subito, padre Egidio ebbe spappolata la gamba destra, inoltre fu ferito alle spalle, ad un orecchio e alla fronte; padre Aldo fu colpito ad una gamba, ad un braccio e al volto, dove una pallottola tranciando un’arteria e strappato un labbro, si fermò nella mandibola. Dopo qualche istante si avvicinarono i banditi che guardando nella macchina, parlarono fra loro e senza prestare nessun aiuto, se ne andarono in fretta. Dopo un’ora e mezza arrivarono i soldati da Pajule per i soccorsi, ma padre Egidio dopo la lunga agonia, era morto da pochi minuti dissanguato, accanto al confratello ferito e immobilizzato; le tre vittime furono trasportate all’ospedale di Kitgum, dove padre Aldo in stato di shock, fu operato con copiose trasfusioni di sangue e un poco alla volta col tempo si riprese. La salma di padre Egidio Biscaro, fu esposta nella chiesa di Kitgum e il giorno 30, nonostante il continuo pericolo, furono celebrati i funerali con la partecipazione di una gran folla. Il “piccolo” (di statura) padre Egidio, 21° missionario comboniano martire, riposa nel cimitero di Kitgum, vicino alla statua della Madonna, che aveva ripetutamente invocato prima di morire; è rimasto in Uganda come un dono di Dio agli Africani, per i quali aveva speso tutta la sua vita di tecnico meccanico, fratello missionario, sacerdote.
Autore: Antonio Borrelli
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