Nasce intorno al 279-280, sotto il pontificato di Eutichiano e l’impero di Probo, da una famiglia nobile e cristiana; lascia presto la patria terrena e scegli la patria universale della Chiesa quale precursore di quella milizia ausiliaria che si batte coraggiosamente per difendere i diritti di Dio e la patria dell’anima in una terra dove avrebbe presto data la suprema testimonianza del sangue. Poiché di origini nobili, nella vicina Treviri nel 292, entrò nell’esercito adolescente, quando già il cristianesimo era entrato largamente nell’esercito, in un periodo di tolleranza religiosa. La legione XIII Fulminante reclutata da Marco Aurelio in Armenia, prima nazione a riconoscersi cristiana, era composta quasi da tutti cristiani. Massimiano lo scelse per far parte della guardia imperiale ed accettò lealmente la disciplina militare al servizio dell’imperatore. Viveva tranquillo perché sapeva che la sua spada difendeva oltre alla civiltà di Roma, anche il tesoro della fede. Ma quando ebbe la percezione di una recrudescenza delle persecuzioni contro i cristiani, Lando, nel 294, si schiera decisamente sotto la bandiera di Cristo, sentendo la forza portentosa della verità. La sua figura di cavaliere soldato che impugna il vessillo della croce è la iconografia più fedele del Santo. Venuto in Italia al seguito di Massimiano di ritorno dalle Gallie, dopo un breve periodo, presumibilmente trascorso a Roma, sosta nell’antica Faleri sulla via Flaminia. Qui in una grotta ritrova e battezza i suoi fratelli spirituali, S. Valentino, S. Rotilio, S. Ilario, S. Florenzio e S. Felicissima. Presa la via Amerina, una diramazione della Flaminia che conduceva ad Ameria (Amelia), perviene a Bassanello, già castello etrusco. Per la predicazione incessante della fede di Cristo, delle verità della religione cristiana, e nel confutare gli errori del paganesimo e la religione dello stato, anche come personaggio troppo in vista, finì presto davanti all’Augusto imperatore Diocleziano che dopo un primo periodo di tolleranza e favore verso i cristiani (sua moglie Prisca e sua figlia Valeria lo erano), ne divenne un feroce persecutore a cominciare da quelli arruolati nell’esercito. Comportamento dettato dalla paura dello sfaldamento dell’impero e dietro le pressioni incalzanti di due dei tetrarchi, il cesare Galerio e l’Augusto Massimiano. Da rilevare che, con il suo primato nella tetrarchia da lui ideata (quarto era il cesare era Costanzo Cloro), oltre al governo dell’Impero d’Oriente con capitale Nicomedia, si riservò gli atti più importanti del governo tra cui le persecuzioni, anche quando avvenivano fuori della sua provincia. Davanti al magistrato imperiale, dove per poter essere assolti bastava negare la propria fede, Lanno, nella intatta costanza della sua fede, subì una spaventosa tortura. Condotto al tempio di Marte per indurlo a sacrificare alla divinità, fece crollare il tempio sotto cui si frantumò l’idolo e perirono i sacerdoti pagani. La sentenza della pena capitale con la decapitazione a mezzo dell’arma onorevole della spada, non tardò ad essere emessa e doveva essere eseguita fuori dell’abitato. Mentre il santo veniva condotto al supplizio, un cieco si fece condurre davanti al martire che toccando in nome di Cristo i suoi occhi riacquistò la luce. Presso la cappella del martirio del Santo alcune grotte lungo la strada avevano per toponomastica San Ceconato. Sul luogo del martirio, il Santo appena diciassettenne, si toglie la clamide, si inginocchia, piega il capo e congiunge le mani “in manus tuas, Domine, commendo spiritum meum”. Nell’anno precedente al martirio dell’altro milite San Sebastiano, nel dies natalis del 5 maggio del 296, la terra di Bassanello si bagna e si impreziosisce del sangue. Con il suo sacrificio, l’impronta di Cristo segnerà per sempre le genti che verranno. Alcuni fedeli riescono a trafugare le sue spoglie mortali ed a seppellirle vicino alle mura castellane. Saranno poi traslate nell’antica basilica bizantina dedicata anch’essa a Santa Maria e quindi, per sottrarlo al pericolo delle invasioni saracene, tumulate dentro le mura castellane. Tra le varie interpretazioni della sigla E.P.S. nell’epigrafe su laterizio rinvenuta nel 1628 presso il loculo in cui fu nel frattempo collocato, vi è quella più probabile dell’Ereptus Periculo Saracenorum.
Autore: Antonino Scarelli
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