Tra le 547 vittime dei "pontons de Rochefort" e i 64 sacerdoti beatificati come martiri della rivoluzione francese figura anche padre Sebasatiano da Nancy. La trama della sua biografia è un po' più documentata. Francesco François era nato il 17 gennaio 1749 a Nancy da Domenico e Margherita Verneson, e venne battezzato il giorno dopo nella chiesa di S. Nicola. Suo padre era un bravo falegname e gente distinta e nobile furono il suo padrino e madrina. Il che significava uno stato sociale di benestanti borghesi. Non fu difficile al piccolo Francesco imparare a conoscere i frati cappuccini che fin dal 1593 si erano insediati a Nancy nella periferia della città per poi passare nel 1613 in un convento più accogliente, rifatto con la generosità del duca Leopoldo di Lorena e del re Stanislao nel 1746. Infatti la parrocchia S. Nicola, fondata nel 1731, utilizzava la chiesa dei cappuccini per il culto fino al 1770. I frati si raccoglievano nel retro coro e animavano il Terz'Ordine francescano. Il loro convento era importante sede del capitolo provinciale e del lanificio della provincia per la confezione delle tuniche e mantelli per tutti i cappuccini di Lorena, distribuiti in ben 28 conventi sul territorio della regione. La loro vitalità apostolica e il loro dinamismo caritativo a favore dei poveri, degli appestati e dei sofferenti li aveva resi assai popolari e molti richiesti. Ma quando nel 1768 il giovane Francesco François, diciannovenne, entrò nel convento di Sanit-Mihiel, fin dal 1602 destinato alla formazione dei novizi, già si notava una certa crisi di vocazioni. La Commissione dei Regolari, istituita dal re di Francia nel 1766 per correggere abusi e riformare i monasteri e i conventi, intervenendo con un editto del re nel 1768 a fissare a 21 anni l'età di ammissione ai voti solenni, aveva contribuito ad accelerare questa crisi. Il maestro dei novizi p. Michele di Saint-Dié il 24 gennaio 1768 lo rivestì dell'abito cappuccino col nome nuovo di Frate Sebastiano e un anno dopo ricevette la sua solenne professione. L'atto della sua professione, segnato nel registro ufficiale, è il primo del 1769, come l'atto di battesimo aveva inaugurato nel registro della parrocchia S. Nicola l'anno 1749. Dopo il noviziato Sebastiano passò nello studentato cappuccino di Pont-à-Mousson, un convento fondato nel 1607 e rinnovato nel 1764. Al tempo del Beato vi abitavano nove padri, sei chierici e un fratello laico. La città era indicata come luogo di studi avendo un efficiente collegio di gesuiti. Egli stava completando i suoi studi ed era già stato ordinato sacerdote, anche se non si conosce la data precisa della sua ordinazione. Nel 1777, il 5 giugno, venne approvato come confessore nel convento di Sarreguemines, dove bisognava conoscere anche la lingua tedesca che era usata in quella zona di confine. Nel 1778 i documenti lo segnalano presente nel convento di Sarrebourg, diocesi di Metz, come confessore, in una comunità di religiosi molto esemplare nella povertà e osservanza della regola. I documenti sono molto eloquenti negli anni 1782-1784. Si tratta di registri della parrocchia di Saint-Quirin. Il beato vi svolgeva frequente ministero pastorale, battesimi, matrimoni, ecc. supplendo alla mancanza di clero locale. Il 26 agosto 1784 il capitolo provinciale triennale lo destinò al convento di Commercy dove rimase fino al 1787, e probabilmente fino al 1789, eccetto una pausa nel convento di Dieuze, svolgendo sempre apostolato attivo e in auxilium cleri. Padre Sebastiano a partire dal 1789 si trovava nel convento d'Epinal, sulla riva sinistra del braccio occidentale della Moselle, quando scoppiò la rivoluzione francese con tutte le sue conseguenze antireligiose. e antiecclesiastiche. I commissari municipali il 30 aprile 1790 entrarono nel convento per fare l'inventario. Un anno dopo i mobili ed effetti del convento venivano venduti, mentre p. Sebastiano, che aveva rifiutato di giurare la Costituzione, con una pensione di 770 lire, dopo l'espulsione dei frati dal convento, si era incamminato verso il convento di Châtel-sur-Moselle, indicato dal Consiglio municipale come casa comune dei cappuccini. Da qui verranno in seguito espulsi per non aver voluto partecipare a una processione guidata da un parroco che aveva giurato la Costituzione civile del clero. Messi sul lastrico, i frati furono accolti e aiutati dalla popolazione. Il 9 novembre 1793 egli fu inviato nella casa delle terziarie a Nancy, che serviva come prigione per i preti refrattari. Era la risposta del Comitato di sorveglianza, al quale il padre si era presentato spontaneamente chiedendo di conformarsi alla legge che prevedeva la prigione ai refrattari. Il 26 gennaio 1794 l'amministratore del distretto di Nancy venne a verificare la situazione di tutti i detenuti, la causa del loro arresto, l'età e l'eventuale infermità. Di p. Sebastiano annotò che era refrattario e senza nessuna infermità, pronto, quindi a entrare nella lista dei preti ribelli da spedire a Rochefort. Partirono infatti il primo aprile successivo 48 preti e religiosi e dopo un penoso tragitto durato quattro settimane, spogliati di ogni cosa che ancora potevano avere, giunsero a Rochefort il 28 aprile. Pochi giorni dopo erano imbarcati sul naviglio negriero dei Deux-Associés, già carico di ben 373 preti e religiosi prigionieri, vengono trasportati fra le isole d'Aix e d'Oleron dove il veliero viene attraccato. A p. Sebastiano si presenta una visione desolante: quelle centinaia di prigionieri pallidi in viso, barbe lunghe e incolte, abiti sudici, annunciano una prigionia da moribondi. Infatti una vecchia goletta serviva a raccogliere i malati e infettati terminali come in un ospedale, ma senza medicine e medici, in attesa che la morte facesse il suo corso. E allora con un canotto si prelevavano e trasportavano i dieci-dodici cadaveri quotidiani per essere sepolti nella sabbia di quella costa marina. "Era il nostro naviglio ingolfato di preti e religiosi - lasciò scritto un sopravvissuto - come un altare per l'olocausto innalzato dalla Provvidenza tra le onde del mare per la consumazione perfetta del sacrificio". I corpi delle vittime, completamente spogliati come nei campi di concentramento itleriani, venivano trasferiti sulle rive sabbiose e alcuni dei prigionieri ancora in discreta salute li dovevano seppellire nella sabbia senza poter recitare apertamente nessuna preghiera o innalzare al cielo qualche canto della Chiesa. "Dio permetteva questa quotidiana scena di strazio - scrisse ancora uno dei superstiti - per aumentare il prezzo delle nostre sofferenze, donandoci una più perfetta rassomiglianza con il suo divin Figlio nella sua passione. Nulla ci consolava nelle nostre afflizioni, nulla ci fortificava nelle nostre prove se non il pensiero di Gesù che regna nei cieli ed è attento dall'alto del suo trono ai nostri combattimenti, egli che prima di noi e per noi era stato legato, flagellato, schiaffeggiato, sputacchiato, coronato di spine, rivestito da pazzo, abbeverato di fiele e di aceto, inchiodato su una croce, insultato e maledetto dai suoi nemici. Questa considerazione spirituale del nostro Redentore faceva come stillare una dolcezza ineffabile nei nostri cuori. Ci sentivamo felici di essere stati scelti fra tanti per fare questa via dolorosa e seguire il nostro Maestro divino. Soffrivamo non solo con pace, ma con gusto, e morivamo con gioia. Pensavamo che Gesù Cristo aveva voluto, nei diversi secoli, che ciascun dogma della fede fosse conservato e anzi consolidato nella sua Chiesa per mezzo del sangue di un numero di martiri più o meno grande, secondo l'importanza della verità combattuta; e noi pensavamo che era un grande onore per noi essere perseguitati e sacrificati per corroborare l'insegnamento dell'autorità spirituale e indipendente dalle autorità del mondo, divinamente attribuita alla Sede Apostolica e in generale a tutto l'episcopato". Questa preziosa testimonianza ha lasciato anche uno splendido ritratto di p. Sebastiano, colto come un fiore speciale di virtù in quel mazzo di fiori profumati dei martiri. Ecco le sue parole: "Il Signore aveva manifestato la santità di un altro dei suoi servi, il padre Sebastiano, cappuccino della casa di Nancy, venuto per morire su questa stessa galeotta. Questo santo religioso era fra noi in singolare venerazione per la sua eminente pietà e virtù e toccante devozione. Pregava incessantemente, soprattutto nell'ultima malattia. Un mattino lo si vide in ginocchio, le braccia aperte in forma di croce, gli occhi elevati al cielo, la bocca aperta. Non vi si fece molto caso, perché si era abituati a vederlo pregare così, durante la sua malattia. Passò mezz'ora ed eravamo stupiti di vederlo perseverare in quella posizione così scomoda e difficile da tenersi in quel modo perché allora il mare era piuttosto mosso e l'imbarcazione beccheggiava e oscillava molto. Probabilmente era in estasi. Allora ci avvicinammo per osservarlo dappresso. Toccando la sua figura e le sue mani ci rendemmo conto che egli già da molte ore aveva reso in quella positura la sua anima a Dio. Non riuscimmo mai a spiegarci come il suo corpo avesse conservato così a lungo quella posizione orante, nonostante il continuo rullio della piccola imbarcazione. Si chiamarono subito i marinai. Essi a quello spettacolo non riuscirono a trattenere un grido d'ammirazione e le lacrime. Si risvegliò in quel momento la fede nei loro cuori e alcuni di loro, denudando le braccia, mostravano a tutti l'effigie della croce tatuata con pietra rovente, e decisero di ritornare alla religione che avevano abbandonato". Era il 10 agosto 1794.
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