In Piemonte non mancano i modelli di santità laicale, tra i quali tre mirabili esempi per i lavoratori cristiani: il “ferroviere santo” Paolo Pio Perazzo, il “ciabattino santo” Giovanni Antonio Panighetti ed il “carradore santo” Luigi Cappa. Quest’ultimo nacque a Cavallermaggiore, nel cuneese, in Borgata Foresto il 28 aprile 1852. Originario di una famiglia di contadini, ricevette il bateesimo nella parrocchia di Santa Maria della Pieve. Sin dalla più tenera età la madre gli inculcò una viva avversione al peccato, tanto che il piccolo Luigi all’età di soli quattro anni arrivò a supplicarla affinché pregasse Dio di volerlo al più presto accogliere in Paradiso. Da adolescente fu un fedele chierichetto ed amava recarsi da solo in chiesa per la pratica della Via Crucis. La sua gioventù fu intessuta di preghiera e lavoro. Apprese il mestiere di fabbro per onorare San Giuseppe Artigiano e propiziarsi la sua protezione. Il suo tempo libero lo trascorreva nella preghiera e nella lettura di libri religiosi, che resero la sua fede salda e profonda. Ebbe molta cura di conservare la castità, nonostante potesse risultare difficile a quell’età. Prestò servizio militare nella caserma dell’Arsenale di Gaeta, sopportando gli insulti e le derisioni dei compagni per la sua fedele frequenza alla Chiesa, ma loro medesimi ed i superiori ebbero infine nei suoi confronti speciali dimostrazioni di stima. Grazie ai consigli materni, Luigi riuscì a trovare una compagna di vita che condividesse i suoi stessi ideali. Da questo matrimonio nacquero ben otto figli, tra i quali due suore. In un primo tempo aprì una bottega da carradore a Foresto, poi a Savigliano, sempre nel cuneese. Su insistenza però dei suoi compaesani, che tanto stimavano la sua operosità ed la sua onestà, fece ritorno a Cavallermaggiore in un officina di proprietà della Confraternita di San Bernardino. I confratelli stessi prestarono dei carri per il trasloco degli attrezzi del mestiere. Un amico volle poi offrire all’intera famiglia Cappa il viaggio per l’America, ove avrebbero sicuramente potuto avere maggiore fortuna, ma Luigi rifiutò, timoroso che nel nuovo continente gli venisse a mancare la sua attiva vita ecclesiale e convinto che la sua migliore fortuna fosse salvarsi l’anima. Egli era infatti solito ad entrare per primo ogni mattina in chiesa dopo il suono dell’Ave Maria. Quotidianamente ascoltava la Santa Messa e nella vecchiaia quotidianamente si accostava anche all’Eucaristia. Durante il suo lavoro non era cosa rara vederlo muovere le labbra in preghiera, cantare lodi ed inni sacri, ed egli desiderava che anche i suoi operai lo aiutassero nel lodare Dio. Tutti i venerdì, al suono delle campane nell’ora della morte di Gesù, sospendeva il lavoro per ritirarsi in preghiera. Anche al passaggio del Santo Viatico faceva sospendere il lavoro per adorarlo sulla soglia della propria bottega. Dopo la recita serale del Rosario, in famiglia, talvolta trascorreva ancora ore ed ore in ginocchio. Parecchie volte fu sorpreso dalla moglie nella notte inginocchiato accanto al letto in preghiera. L’officina di Luigi Cappa divenne un vero e proprio centro di apostolato in particolare per gli operai ed i giovani. Con forza e persuasione rimproverava ogni parola meno riverente, inculcava la preghiera, vigilava la frequenza al catechismo ed alle funzioni da parte dei suoi garzoni e chiudeva in anticipo la bottega per farli partecipare alle prediche serali. Egli fu inoltre un vero predicatore delle stalle, ove si recava con alcuni suoi bambini per esporre loro varie narrazioni, spesso tratte dalle vite dei santi che amava leggere nel tempo libero. Esercitò il suo apostolato anche nella confraternita suddetta e nelle associazioni cattoliche. Talvolta si trovò a contatto cn dei moribondi che preparò a compiere con fede il grande passo. Prestò gratuitamente la sua opera nei lavori per l’edificazione della nuova chiesa e nelle diverse iniziative dell’oratorio parrocchiale. Estese il suo apostolato anche fra gli altri artigiani della città, instaurando fra loro un vincolo di cristiana solidarietà e la vevozione a San Giuseppe loro patrono, con una Messa celebrata al suo altare appositamente per loro. Essendo terziario francescano, proprio come il Venerabile Paolo Pio Perazzo, pose a norma della sua vita gli statuti ed i regolamenti del Terz’Ordine. Nelle lettere che scrisse ebbe sempre parole edificanti e di incitamento al bene. Alle figlie suore raccomandava di farsi sante, asserendo di desiderare in prima persona la santità, pur ribadendo sovente di essere un misero peccatore bisognos della preghiera altrui. Nelle lettere del doloroso dopoguerra pianse amaramente le aberrazioni del socialismo e per gli insulti alla religione chiese ripetutamente atti di riparazione. Il suo cuore era infatti martoriato per le numerose bestemmie che udiva contro Gesù, il suo “Grande Genero” come amava definirlo, e scrisse numerose preghiere che avrebbe desiderato poter distribuire in migliaia di copie. Durante i sei mesi dell’ultima malattia si abbandonò ad una santa rassegnazione fatta di preghiera quasi continua, offrendo a Dio le sue grandi sofferenze per la conversione dei peccatori ed in suffragio delle anime del Purgatorio. Era confortato dall’aver esercitato lo stesso mestiere di Gesù. Spirò infine nel pomeriggio del 28 marzo 1929, Giovedì Santo, e fu sepolto due giorni dopo. L’artigiano incaricato di scolpire l’iscrizione posta sulla sua tomba, non avendo conosciuto il defunto chiese notizie sul suo conto ai conoscenti e raccolse la voce del popolo con queste parole: “Cappa Luigi – Modello di cristiana virtù”. La sua prima biografia fu intitolata “Un modello degli Operai”. Dunque un grande esempio di santità laicale più che mai valido nel mondo contemporaneo, alla luce degli insegnamenti del Concilio Vaticano II e del recente Convegno Ecclesiale di Verona.
Autore: Fabio Arduino
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