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Skreen, Irlanda, 1515 circa – Dublino, Irlanda, 1584
Durante la persecuzione di Elisabetta I d'Inghilterra, ospitava nella sua casa sacerdoti e religiosi. Denunciata dal suo stesso figlio, fu incarcerata a Dublino e morì vittima di atroci tormenti.
Martirologio Romano: Nello stesso luogo (Dublino in Irlanda) commemorazione della beata Margherita Ball, martire, che, rimasta vedova, fu arrestata, su denuncia del suo stesso figlio, per avere accolto in casa molti sacerdoti ricercati e, dopo varie torture, morì settuagenaria in un giorno rimasto sconosciuto.
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L’essere madre del sindaco di Dublino per lei non fu né fonte di prestigio né motivo di orgoglio, ma causa di enormi sofferenze che ne determinarono o sicuramente ne accelerarono la morte. La vita e il martirio dell’irlandese Beata Margherita Ball devono essere inquadrati nel clima di persecuzione religiosa che fa seguito allo scisma anglicano avviato in Inghilterra da Enrico VIII. Gli strettissimi legami socio-politici che legano l’Inghilterra all’Irlanda fanno sì che nel 1536 (cioè cinque anni dopo il famoso “atto di supremazia” con cui l’imperatore si era fatto proclamare capo supremo della chiesa d’Inghilterra e dopo appena due dalla sua scomunica e dall’interdetto lanciato contro l’Inghilterra da Papa Clemente VII) anche il parlamento di Dublino riconosca Enrico VIII unico capo della chiesa irlandese, determinando in questa maniera il definitivo strappo dalla Chiesa di Roma. Margherita in quel periodo è ventunenne, essendo nata nel 1515 all’interno dell’agiata famiglia Berminghan. A 16 anni si è sposata con Bartolomeo Ball e dà alla luce ben 20 figli, dei quali solo alcuni hanno la fortuna di giungere all’età adulta. Sono una coppia affiatata, profondamente religiosa, con una solida posizione economica; il marito gode di un prestigio indiscusso, che lo porta ad essere anche sindaco di Dublino. Non sono affatto allineati con la situazione politico-religiosa dominante: si sentono e si comportano da veri cattolici, continuando a riconoscere il primato del papa. Nel loro palazzo abita un cappellano, che celebra normalmente la messa, la loro casa è aperta a incontri di catechesi ed a momenti di preghiera; Margherita, facendosi forza dell’influente prestigio del marito, arriva ad aprire nella sua proprietà anche una scuola cattolica. Bartolomeo muore nel 1568 e Margherita, oltre al dolore per la perdita della persona amata, si trova anche privata della protezione e del sostegno che egli le garantiva per professare apertamente e difendere la chiesa cattolica. Malgrado tutto prosegue nel suo impegno, dando ospitalità in casa sua a sacerdoti e religiosi anche quando ciò diventa estremamente rischioso. Nel 1570, infatti, con la scomunica di Elisabetta I che nel frattempo è salita al trono, una feroce persecuzione si scatena in Inghilterra, in particolar modo contro i sacerdoti cattolici e si estende ben presto anche in Irlanda. Verso la fine degli anni Settanta Margherita viene arrestata con l’accusa di aver fatto celebrare una messa in casa sua, ma viene ben presto liberata su cauzione. Nel frattempo, il figlio Walter sta coltivando l’ambizione di diventare sindaco di Dublino, adattandosi anche, per accedere alla carica, a rinnegare la propria fede e riconoscere la supremazia religiosa della regina d’Inghilterra. Margherita compie fino in fondo il suo dovere di mamma, cercando di far comprendere al figlio che nessuna carica politica, anche se prestigiosa, può essere barattata con la fede. Non solo non ci riesce, ma il figlio vede in lei la più acerrima nemica e il maggior ostacolo per soddisfare la sua ambizione politica. Poco dopo la sua elezione a sindaco, infatti, fa arrestare la mamma con l’accusa di aver dato ospitalità in casa sua a sacerdoti perseguitati. Margherita è quasi settantenne e viene condotta in prigione su un carro, passando per le strade di Dublino, esposta alla derisione ed allo scherno dell’intera città. La attende una cella sporca, grondante umidità, senz’aria, che mina irrimediabilmente la sua salute. Proprio in considerazione delle sue precarie condizioni di salute, un paio di anni dopo le viene offerta la libertà in cambio di un pubblico rinnegamento della sua fede. Scontata la risposta negativa di questa donna forte e coraggiosa, che sceglie di terminare in carcere i suoi giorni, martire dell’Eucaristia e del Primato Pontificio. Muore nella sua cella nel 1584 ed insieme ad altri sedici compagni di fede (di cui 4 vescovi, 6 sacerdoti, 1 fratello religioso e cinque laici) anche lei, unica casalinga del gruppo, è stata beatificata da Giovanni Paolo II il 27 settembre 1992.
Autore: Gianpiero Pettiti
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