16 dicembre 1971: finalmente, dopo nove mesi di guerra civile, i pakistani, intrappolati e sconfitti firmano la resa con i bengalesi. Dalla secessione con il Pakistan occidentale, nasce il Bangladesh. Un paese prostrato da distruzioni, sovrappopolazione e fame, che ancora una volta deve ricominciare da zero. «In questi mesi quante cose sono successe! Quanti eventi belli e brutti, piu'brutti che belli: fuga dei nostri cristiani e non cristiani per scappare alle rappresaglie dei soldati pakistani, distruzione di interi villaggi, saccheggi, uccisione indiscriminata di gente innocente e poi la guerra di liberazione. Qui attorno alla missione di Andharkota, lungo il fiume Gange che fa da confine, per un'estensione di venti miglia, tutti i villaggi sono stati bruciati dai soldati col pretesto che vi trovavano rifugio i guerriglieri bengalesi. Non solo: in ogni villaggio pretendevano un certo numero di persone, quelle che capitavano, giovani e vecchi che non avevano potuto fuggire, facevano loro scavare una fossa e poi li fucilavano... Dunque, i più, presi dalla paura, dall'incertezza dell'avvenire, si sono dispersi qua e la' in cerca di sicurezza fuori dal pericolo... Nessuno li tratteneva, la paura era troppo forte; vendevano tutto, buoi, riso, lasciavano la casa i terreni e se ne andavano. Molti varcando il confine. ... Ora che la vittoria e' venuta a coronare nove mesi di sacrifici, stanno tornando. E qui comincia il grosso problema: tutta questa gente ritorna con niente e non trova niente: ne' casa (quelle non bruciate e saccheggiate sono state deteriorate dal tempo e dall'alluvione), ne' attrezzi per lavorare, ne' mezzi per vivere (non hanno ne' buoi, ne' bufali per arare i terreni); l'anno scorso non hanno potuto fare il raccolto... Tutta questa gente come fara' a vivere?». Una domanda inquietante che non lascia in pace padre Angelo Maggioni. Lui, che ha radici contadine, sa bene cosa vuol dire dover fare i conti con la mancanza di raccolto. E i ricordi vanno indietro di parecchi anni. Quante volte anche la sua famiglia ha dovuto "stringere la cinghia" perche' l'appezzamento di terreno affittato a Trezzo, sulle rive dell'Adda, aveva dato un raccolto magro o era andato male... Lui conosce bene la fatica di suo padre per tirare avanti la famiglia, tanto da dover sopportare che le sorelle di Angelo, ancora bambine, lavorassero ai telai di uno stabilimento tessile, con orari intollerabili. Ricorda l'impossibilita' di sostenere qualunque spesa, tanto che gli era stato possibile entrare nel seminario del Pime a undici anni solo perche' il rettore gli aveva concesso di non pagare la quota d'iscrizione. Ricorda anche il dispiacere di sua madre di non poter comprare le medicine per alleviare le sofferenze di quella malattia che portera' suo padre alla morte, nel lontano 1929. E come dimenticare che per cinque anni ininterrottamente non aveva potuto tornare a casa dal seminario di Treviso perche' non aveva soldi per pagarsi il viaggio e i familiari non avevano mezzi per andare a trovarlo? E' con questo grande spirito di sacrificio, maturato in tante ristrettezze, che ora, a trentadue anni di sacerdozio e ventitre' di missione in Bengala, puo' affrontare ancora una volta la sofferenza e l'ingiustizia, condividendo con il suo popolo adottivo dolori e necessita'. Ma non solo. E' la sua bonta', la sua mitezza che colpisce chi gli sta accanto. Rosa, la sorella maggiore, infatti, ricorda: «Quando perdeva la pazienza, gli altri non se ne accorgevano nemmeno. Lui era buono, buono davvero. Non e' mai stato un tipo nervoso. Aveva sempre il viso contento, anche quando aveva grosse preoccupazioni. E non era capace di essere duro con nessuno». In missione, di fronte a tanti soprusi e prepotenze soffre in silenzio, dandosi da fare in mille modi per testimoniare la misericordia e la solidarieta' cristiana verso tutti. E fa colpo proprio cosi': con il suo fare mite, il sorriso sereno, il suo parlare pacato e il suo agire umile. Tanto che un insegnante bengalese del ginnasio di Andharkota, nel ricevere la notizia della morte del missionario, asciugandosi le lacrime, dice: «Questo vostro prete incarnava in se' l'idea che noi musulmani abbiamo della santita': siamo forti nella fede, ma difficilmente lo siamo altrettanto in mitezza, lui invece era riuscito a fondere insieme queste due qualita'». P. Angelo Maggioni, nato nel 1917 a Trezzo d'Adda, in provincia di Milano, a 22 anni viene ordinato sacerdote nel Pime. Ma il sopraggiungere della seconda guerra mondiale gli impedisce di partire missionario. I confini sono chiusi, le vie di comunicazione bloccate: nessuno, se non per manovre militari, puo' espatriare. E cosi' per nove anni padre Angelo svolge servizio di vice parroco a Fara d'Adda, attendendo di partire per il Bangladesh, (l'allora Pakistan Orientale) a cui e' gia' destinato. Solo nel '48, riesce a salpare. Insieme a quattro confratelli diretti alla stessa missione, si "intrufola" sulla Taurinia, una nave ormai rudere di guerra, adibita solo al trasporto merci. Dopo trentatre' giorni di viaggio, finalmente, il 14 novembre di quello stesso anno, toccano il suolo bengalese. Ad accoglierli ci sono gli anziani confratelli «macilenti e ingialliti dalla malaria: essi ci guardavano in faccia e i loro occhi si riempivano di salute. Noi per loro eravamo la certezza che la missione ora sarebbe continuata, dopo la reciproca lunga attesa durata dieci anni». Dunque, forze e speranze nuove. Da appena un anno la Gran Bretagna ha concesso l'indipendenza al suo grande impero asiatico (1947), che in base a criteri religiosi, viene diviso in due Stati distinti: l'India, popolata prevalentemente da indu'e il Pakistan, diviso in due parti distanti 1500 chilometri l'una dall'altra, i cui abitanti sono in prevalenza musulmani. E' una spartizione fatta a tavolino e a rimetterci sono proprio i bengalesi: il Pakistan orientale, infatti, ha perso la sua capitale culturale ed economica, la grande Calcutta, e si trova cosi' non solo completamente circondato dal grande stato indiano, ma anche e soprattutto in una situazione di sfruttamento e di dipendenza assoluta dall'industriale e fiorente Pakistan occidentale. Padre Maggioni, dunque, inizia e svolge la sua attivita' missionaria nella zona piu'povera e popolosa di questo impero frantumato, tra i musulmani bengalesi, per l'80% analfabeti e contadini. La sua prima destinazione e' la missione di Ruhea, allora retta da un parroco indiano, poi passa a Mariampur dove impara il santal, per poter comunicare con le tribu'dei villaggi vicini. Questa infatti diventa la sua attivita' principale. Anche nei successivi luoghi dove sara' trasferito (Borni, Saidpur, Dinajpur e infine Andharkota), non impianta grosse strutture, non si dedica alla costruzione di edifici per opere educative e sanitarie, ma si da' al lavoro silenzioso tra i tribali santal, formando piccole comunita' cristiane e apportando il suo aiuto spirituale e materiale. E' convinto che la "fiacchezza" di questa gente sia dovuta alla malnutrizione: «Non mangiano mai abbastanza: il riso e' l'alimento base, spesso l'unico, sovente non c'e' neppure questo». E poi «il caldo umido, che passa i 40 gradi, mette addosso una tale spossatezza, che si ha voglia solo di bere e dormire. Quando si comincia a respirare un po' meglio, iniziano i mesi di pioggia e allora si vede acqua a non finire. Non solo i campi, ma anche le strade si allagano, le capanne vengono danneggiate e il raccolto del riso va in malora. Poi ritornano i mesi di siccita' che, giungendo inesorabilmente, fanno prevedere carestia». Un circolo vizioso di alluvioni e siccita', che rendono difficile una coltivazione costante e fruttuosa. P. Maggioni, allora, progetta lavori di irrigazione, per garantire acqua nella stagione secca e per diminuire le inondazioni durante la stagione delle piogge. Dal 1948 padre Angelo torna in Italia solo due volte: nel 1961 e nel 1971. Ed e' proprio durante quest'ultima vacanza a casa di sua sorella Rosa, che apprende dai giornali italiani notizie sempre piu'tragiche sul Pakistan orientale: il presidente Yahya Khan sta ordinando sanguinose repressioni contro i separatisti del Bengala, che hanno proclamato la repubblica popolare del Bangladesh il 26 marzo del 1971. La guerra civile provoca dieci milioni di profughi e suscita l'intervento dell'India in difesa dei bengalesi. Padre Maggioni riceve notizie poco confortanti da Andharkota e fissa subito la data della partenza. La sorella cerca di persuaderlo, ma non c'e' nulla da fare: «Io gli dicevo - ricorda Rosa Maggioni - "Perche' vai? Resta almeno finche' la situazione non si sia calmata. Tanto non puoi mica cambiare nulla". "Lo so, - mi rispondeva con la sua solita aria serena - ma bisogna che io vada. Sono il piu'vecchio della missione, so come risolvere certi guai"». Cosi' padre Maggioni, senza pensarci due volte, ritorna in Bangladesh, ad Andharkota. Trova numerosi villaggi bruciati e saccheggiati e si vede costretto a dolorose peripezie per salvare cristiani e indù; tant'e' vero che, poiche' protegge poveri e indifesi, viene percosso e maltrattato. A casa, pero', preferisce non scrivere nulla di quello che gli sta capitando. Solo qualche accenno alla condizione generale del Paese, come nella lettera del 26 ottobre 1971: «La situazione e' sempre precaria, sempre soggetta a peggiorare, come un bubbone che puo' scoppiare da un momento all'altro. E' questa atmosfera di incertezza che ci tiene con il cuore in sospeso. Non possiamo progettare niente per il futuro, poiche' non si sa come potra' essere. La fiducia in Dio, e' questa che ci sostiene». Poi in Italia, per diversi mesi, si resta senza notizie. Solo a gennaio del 1972 arriva una nuova lettera di padre Angelo, in cui parla di distruzioni immani e di tre milioni di morti dall'inizio della guerra civile. Con l'arrivo degli indiani, infatti, comincia la spirale di violenza contro i pakistani occidentali in territorio bengalese, contro coloro che sembrano pakistani, o fa comodo ritenere pakistani: gente linciata, sgozzata per le strade. Muoiono assassinati anche tre missionari, tra cui il bengalese padre Lucas, ucciso con un colpo di fucile alla nuca. Poi, molto lentamente, in primavera, ricomincia la ricostruzione. Tutto raso al suolo. Case, scuole, strade, canali, ponti, hanno subito distruzioni immani. Il primo ministro del nuovo stato bengalese, Mujbur Rahman, accetta aiuti economici e umanitari da chiunque. Le organizzazioni internazionali cattoliche, dunque, d'accordo con il governo di Dakha, si danno da fare per incentivare l'autopromozione dei bengalesi e aiutano la gente in mille modi, per riuscire almeno a soddisfare i bisogni di prima necessita'. Padre Maggioni e' parroco in Andhakota, ma si dedica molto anche all'apostolato nei circa quaranta villaggi sparsi nel territorio della sua parrocchia, dove viene a contatto con i profughi rientrati dall'India che «vivono sotto le tende, in capanne improvvisate con foglie e paglia, o sotto le piante. Mi stringe il cuore al vedere le condizioni di vita di tanta gente senza casa, senza lavoro, senza cibo». E a nessuno riesce a dire di no: «Tutto il giorno la mia casa e' assediata da turbe di gente che invocano aiuto: chi vuol essere aiutato a costruire la casa, chi vuole vestiti, chi un po' di riso o di frumento, qualche donna domanda latte in polvere per i suoi bambini, chi domanda aiuto per comprare buoi o recuperarli; altri chiedono che si metta una pompa d'acqua nel loro villaggio o un pozzo, perche' non hanno acqua da bere». La missione diventa un centro propulsore di raccolta e distribuzione. E' l'unica organizzazione sociale che funziona. «Bande armate, poi, girano per le campagne, disposte a qualunque rapina. Cosi' le residenze dei missionari, spesso isolate, sono le piu'esposte agli atti di brigantaggio, proprio perche' punto di convergenza e di smistamento degli aiuti provenienti dall'estero». E' il caso di padre Angelo. E' l'una di notte del 14 agosto 1972: una banda di ladri, armati di fucile, fa irruzione nella missione di Andharkota. Sulla veranda, a pian terreno, tre ragazzi cristiani stanno dormendo tranquilli. I ladri gridano, schiamazzano, chiamano il missionario. Padre Angelo, svegliato di soprassalto, si affaccia. Non riesce neppure a far luce con la pila che subito gli sparano due colpi di fucile. Si ripara in casa. Intanto due dei ragazzi alloggiati in veranda scappano, mentre il terzo viene catturato e costretto a dire dove sono i soldi. Non lo sa. I ladri si precipitano al piano superiore e mettono a soqquadro la casa. Si sentono altri colpi di fucile. La gente dei villaggi vicini grida spaventata, ma nessuno ha il coraggio di intervenire. Dopo tre quarti d'ora i ladri, delusi, fuggono via senza essere riusciti a trovare le poche centinaia di rupie che il padre ha ritirato dalla banca il giorno prima. Subito le suore e i vicini accorrono, ma padre Angelo e' gia' morto, steso nel mezzo della sua camera. Una pallottola, sparata attraverso la fessura della porta, gli ha trapassato l'aorta.
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