Bruno Zanella nasce il 27 agosto 1909 a Piovene di Vicenza. A sette anni si trasferisce, con la famiglia, a Povegliano di Treviso. Ben presto pero', partito il padre per la guerra, durante "i giorni di Caporetto", la famiglia Zanella e' costretta a sfollare, scappando di notte in fretta e furia. E Bruno, la mamma, i suoi fratelli e le sue sorelle attraversano, come profughi, tutta l'Italia, fino a giungere a Castelvetrano, in provincia di Trapani. Tornata la pace, gli Zanella possono finalmente rientrare a Povegliano e riunirsi al padre, che pero', irrimediabilmente provato dai lunghi anni di guerra, muore nel marzo del 1919. La famiglia e' numerosa e ha bisogno di ogni possibile aiuto. Anche Bruno, terminate le elementari, e' assunto come apprendista meccanico. Lavora fino a tardi, eppure, andando a riposare, immancabilmente raccomanda alla mamma di svegliarlo presto la mattina, volendo servire la Messa prima di andare in officina. La sua vocazione missionaria matura tra lavoro e preghiera. Proprio in questo periodo il vescovo di Treviso, mons. Andrea Longhin, offre all'Istituto delle Missioni Estere il vicariato di S. Martino, nel centro della citta', perche' la canonica diventi la sede di un piccolo seminario. Cosi' il 1 ottobre 1923 i missionari del Seminario per le Missioni Estere aprono il ginnasio a Treviso e Bruno Zanella e' uno dei primi alunni. Poco abituato a usare carta e penna, Bruno non trova facile dedicarsi allo studio. E' dotato, pero', se non di una gran intelligenza certamente di una forte volonta' e di molto buon senso, che gli consentono di applicarsi nello studio con serieta' e costanza, nonostante le difficolta' permanenti causate anche dalla salute debole, che lo costringe a interrompere spesso le lezioni. Riesce pero' a concludere gli anni di seminario non solo con buoni risultati, ma anche conquistandosi la simpatia e l'amicizia dei compagni, per la sua discrezione e disponibilita'. Nell'ottobre del 1933, ormai studente di teologia, si trasferisce a Ducenta come assistente dei seminaristi piu'giovani. Due anni piu'tardi, il 21 settembre 1935, nel duomo di Milano, viene ordinato sacerdote. Finalmente l'anno seguente p. Bruno puo' scrivere ai suoi famigliari: «Andro' in Cina, la terra da me tanto sognata!». E' destinato a Kaifeng, capitale del Henan. La partenza dei missionari avviene a scadenze diverse, a seconda dei luoghi di destinazione, ma il saluto ai parenti e' fissato, per tutti, il 30 luglio 1936 a S. Maria alla Fontana in Milano, dove mons. Giuseppe Tacconi, vescovo della futura missione di p. Bruno, presiede la cerimonia della consegna del crocifisso. E il 2 settembre p. Zanella salpa da Genova, con altri due compagni, diretto in Cina. Attento osservatore, nelle sue lettere descrive con precisione i luoghi incontrati durante il viaggio e i suoi sentimenti: a Port Said, Suez e Aden guarda stupito il mondo musulmano; a Bombay rimane a bocca aperta di fronte alla "Torre del silenzio", dove i parsi espongono agli uccelli i corpi dei loro defunti; a Colombo, capitale dell'odierno Sri Lanka, rimane sconcertato nel vedere un fanatico che, durante una processione in onore della sua divinita', si butta sotto le ruote di un carro, lasciandosi stritolare. E poi un episodio curioso, ma nello stesso tempo imbarazzante: a Shanghai il funzionario della dogana, preoccupato di non lasciar entrare droga nel paese, perquisisce ogni straniero e, scoperte delle buste sospette nel bagaglio di p. Zanella, pretende di assaggiarne a tutti i costi il contenuto... Quale smacco nel constatare che e' semplicemente la magnesia S. Pellegrino che p. Bruno deve portare sempre con se'! Finalmente i tre missionari raggiungono Kaifeng. Il loro cuore e' colmo di gioia, vorrebbero subito "mettersi al lavoro", ma prima devono fare, come tutti, i conti con la lingua. E p. Bruno trascorre un anno intero, nella Casa Regionale, a studiare il cinese. Nella sua prima lettera alla mamma, scrive: «I versi che si devono fare per pronunciare bene questi caratteri, sono inimmaginabili... la pronuncia svariatissima diventa a volte inafferrabile!». Anche stavolta, pero', la sua forte volonta' lo sostiene e cosi', alla fine dell'anno di studio, riesce a cavarsela dignitosamente. In giugno le lezioni di cinese finiscono e gli studenti aspettano con ansia la loro destinazione. Anche p. Zanella si presenta a mons. Tacconi, ma, anziche' essere mandato in qualche distretto, viene trattenuto in citta'. A settembre p. Bruno viene informato dal vescovo che, presto, sarebbe andato nella missione di p. Filippin come suo coadiutore. Ma, anche questa volta, il progetto va a monte: le scorrerie dei briganti impensieriscono il vescovo che non se la sente di esporre a pericoli imprevedibili p. Bruno che ha solo 28 anni. A sessanta chilometri a sud ovest da Kaifeng la citta' di Zhongmou e' gia' in mano ai giapponesi e il sacerdote cinese, parroco di quella comunita' cristiana, si trova a disagio per i dissidi sorti tra cinesi e giapponesi; gli viene affiancato, percio', proprio p. Zanella, per rappresentarlo e difenderlo davanti all'autorita' nipponica. Dopo solo sei mesi, pero', a p. Bruno viene affidato un nuovo incarico: nel distretto di Yejigang p. Lanzano e' da tempo ammalato e bisognoso di cure, il vescovo vi manda provvisoriamente p. Bruno che, pur nell'incertezza della durata del suo incarico, si da' un gran da fare nella visita e nel sostegno delle comunita' cristiane del suo nuovo distretto. Inoltre deve fare da spola con la vicina citta' di Lanfeng per aiutare il sacerdote cinese, li' residente, contro le prepotenze giapponesi. P. Bruno riesce a instaurare un buon rapporto con gli invasori. Per gli affamati e i sinistrati, apre un centro di accoglienza nei locali della sua residenza e mette a disposizione tutto quello che possiede. I giapponesi ne rimangono ammirati, tanto che contribuiscono al sostentamento dei rifugiati, inviandogli numerose casse di gallette per l'esercito! 27 ottobre 1940. Sono appena terminati gli esercizi spirituali e i missionari vanno a ricevere gli ordini dal loro nuovo superiore, mons. Antonio Barosi. P. Bruno si augura di ottenere un impegno permanente. Il suo superiore ha pensato, per lui, al distretto piu'lontano e difficile, spesso tormentato dai briganti e ora, per di più, inondato dal Fiume Giallo: Dingcunji. Padre Bruno sa di addossarsi un bel peso, ma accetta. «Risposi un si' forzato», scrive alla mamma, quasi rimproverandosi di non averlo detto con gioia. Mons. Barosi, ringraziandolo, gli assegna come compagno p. Lazzaroni e gli promette di far loro una visita presto, mentre lo assicura che laggiu'trovera' ottimi cristiani. Il 6 novembre del 1940, dopo un viaggio lungo e difficile, arriva alla sua missione e senza perdere tempo esce subito a fare un giro d'ispezione nelle diverse comunita', accompagnato dal coadiutore e dal predecessore, p. Piccinini, che gli fornisce le opportune informazioni. Tornati a Dingcunji dopo un giro di quindici giorni, e partito p. Piccinini per il suo nuovo posto di lavoro, i due missionari si aspettano che mons. Barosi, arrivato a Luyi per il centenario del martirio del beato Perboyre, mantenga la promessa. Invece, chiamato d'urgenza a Shanghai, deve rinviare l'impegno. P. Zanella e p. Lazzaroni, allora, riprendono le loro visite in barca, tra i villaggi cristiani delle zone allagate, in bicicletta o a piedi. Il 13 gennaio 1941 p. Bruno parte per Kaifeng, chiamato da mons. Barosi, che, appena rientrato da Shanghai e non potendo subito intraprendere il viaggio di trecento chilometri per Dingcunji, vuole sapere come procede il lavoro e verificare di persona come sta il missionario del "distretto dei briganti, la terra di nessuno". Rinnova inoltre la promessa di una sua visita. P. Zanella, quindici giorni piu'tardi, ritorna alla sua missione e comincia i preparativi, intensificando la catechesi per la cresima che mons. Barosi avrebbe amministrato. Finalmente e' novembre: sembrano non esserci piu'intoppi per la venuta del vescovo, ma p. Bruno, intuendo i tentennamenti di mons. Barosi, si affretta a raggiungerlo a Luyi, dove nel frattempo il vescovo si era spostato. Ma il 18 novembre, giunto nei pressi della citta', lo trova gia' in viaggio con p. Zanardi e si incammina con loro alla volta di Dingcunji, dove c'e' p. Lazzaroni ad aspettarli. Finalmente il vescovo sta per arrivare. E' il 19 novembre 1941: una domenica di tardo autunno, i primi venti che soffiano dal nord raggelano l'aria. Ma a Dingcunji c'e' aria di festa, nonostante il grigiore autunnale: c'e' mons. Barosi in visita pastorale. Ogni cristiano ha fatto il possibile perche' il paese, nonostante i tempi difficili, sia degno di questo giorno solenne... non capita tutti gli anni che il vescovo in persona visiti la comunita'. Del resto p. Zanella, il parroco, ha tanto insistito perche' fosse lo stesso vescovo a impartire le cresime. Anche i cresimandi dei villaggi vicini si sono riuniti a Dingcunji, ospitati presso parenti o amici, e gia' dalla sera del sabato si nota un gran movimento tra chi arriva e chi cerca di sistemarsi. I piu'lontani, o quelli che abitano nei villaggi piu'disagiati e che avrebbero dovuto attraversare le localita' inondate dal Fiume Giallo, nel pomeriggio della domenica saranno raggiunti dal vescovo accompagnato dai pp. Zanella, Lazzaroni e Zanardi. Conclusa, in mattinata, la celebrazione delle cresime, il vescovo si trattiene con i catechisti, i cresimandi e i loro parenti. Poi tutti si ritirano per il pranzo. Alle tredici, un ufficiale con una decina di soldati entra nella residenza dei missionari e, dopo averne scacciato i cristiani, chiude la porta d'ingresso e la fa piantonare da un gruppo di soldati ben armati. All'intero villaggio di Dingcunji viene imposto una specie di coprifuoco. P. Pollio (divenuto poi vescovo di Kaifeng nel 1947) descrive l'accaduto prima nelle pagine del suo diario, in seguito stende una relazione piu'organica che spedisce al superiore generale del Pime, mons. Lorenzo Maria Balconi. Ci serviamo di questo scritto per conoscere i particolari dell'omicidio. L'ufficiale e i soldati, entrati in residenza, prima chiedono di p. Zanella, il quale si presenta subito; i soldati lo conducono in una stanza di fronte a quella nella quale i padri hanno appena finito di pranzare, con la scusa di fargli alcune domande. Quasi contemporaneamente chiedono anche di p. Lazzaroni che conducono in sacrestia, con la proibizione di muoversi e con le sentinelle alla porta. L'ufficiale e altri soldati vanno direttamente nella stanza dove il vescovo sta chiacchierando con l'altro missionario. Mons. Barosi ha con se' una carta d'identita' rilasciatagli dai giapponesi, un lasciapassare necessario per potersi muovere nelle zone controllate dalle forze nipponiche. E' questo il pretesto di cui si servono i soldati per sostenere l'accusa, rivolta ai quattro, d'essere "spie del nemico e agenti del capitalismo". Egli usa parole gentili con l'ufficiale, ma i soldati, a un suo cenno, legano mani e piedi a mons. Barosi e a p. Zanardi. Si sente gridare p. Zanella. Subito alcuni soldati trascinano in chiesa i due appena legati e li buttano a terra, chiudono loro bocca e orecchie con della carta. A questo punto i soldati bendano gli occhi al domestico di mons. Barosi, Han, che aveva seguito i padri da Kaifeng, percio' di tutto quello che succede dopo non puo' essere testimone. Il cuoco pero' e' in grado di raccontare altri particolari. Egli e' in cucina e, avendo paura, si nasconde in un angolo ben protetto da paglia e legna: da li' assiste al martirio di p. Zanella. I soldati portano p. Bruno fuori dalla stanza e da grandi recipienti gli versano in bocca acqua bollente e petrolio. Piu'volte il padre grida tra la morte e la vita, in una lingua sconosciuta al servo, e piu'volte afferma di non avere denaro e armi. Invoca con forti urla l'aiuto di mons. Barosi e p. Zanardi, ma non riceve alcuna risposta. Finalmente quei soldati, dopo avergli fatto bere piu'volte acqua bollente e petrolio, lasciano il suo corpo privo di sensi o senza vita nel cortiletto. Non si puo' precisare se p. Zanella sia morto li' o in fondo al pozzo nel quale verra' gettato. Il cuoco, intanto, vede che i soldati trascinano con forza il vescovo e p. Mario verso l'altro cortile. Svaligiata la residenza degli oggetti piu'preziosi e utili, i soldati, verso le diciotto, se ne vanno da Dingcunji. Saliti sulle barche scompaiono nell'oscurita', mentre una gelida pioggerella scende col silenzio della sera. Solo allora i cristiani si dirigono alla residenza dei missionari. Forzata la porta, entrano e in portineria trovano il servo Han legato. Lo slegano e tutti insieme si mettono a cercare i padri. Chiamano, ma nessuno risponde. Nel disordine nessuna traccia di sangue, nessun corpo. Non sospettano ancora la tragedia, tanto piu'che non si e' sentito nessun colpo d'arma da fuoco. Contro ogni speranza, pensano che i missionari siano stati presi in ostaggio. Continuano a chiamare, a cercare in ogni angolo, ma nulla... Finalmente alcuni si accorgono che il muricciolo intorno al pozzo e' crollato e i mattoni ne ostruiscono completamente l'imboccatura (i pozzi cinesi sono molto stretti, per cui una simile operazione diventa molto facile). Si guardano muti, nessuno osa manifestare apertamente il sospetto che tiene nel cuore: certo sotto i mattoni ci deve essere qualcosa. Si comincia l'opera di sgombero e compaiono i corpi delle vittime. Per mezzo di lunghe pertiche di bambù, munite di un uncino, si cerca di estrarre i cadaveri. Il primo e' quello di p. Zanella, poi quello di p. Zanardi, quindi quello di mons. Barosi. E' ormai tardi e non si riesce a trovare il corpo di p. Lazzaroni. Inutilmente si lavora ancora per qualche ora, poi si rimanda tutto al giorno successivo. Alle prime luci dell'alba, finalmente, si riesce a recuperare anche il corpo di p. Lazzaroni, che quasi certamente e' stato gettato ancora vivo nel pozzo. Girolamo aveva 27 anni e solo due di missione. Padre Bruno Zanella 32 anni e cinque di missione, padre Mario Zanardi aveva da poco compiuto i 37 anni, di cui quattordici in missione e monsignor Antonio Barosi di 40 anni, ne aveva trascorsi sedici in Cina.
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