I cannoni e la campana
Ci sono quelli che parlano di promozione umana. E quelli che la fanno. Con piccoli gesti quotidiani. Sulle trincee piu' avanzate. Il missionario saveriano padre Mario Veronesi non ha teorizzato. Ha fatto. La sua prima linea e' stato il Bangladesh, uno dei Paesi piu' poveri della terra, flagellato dalla natura e dagli uomini. Li' e' caduto, vittima dell'odio, colpito al cuore da qualcuno di quegli ultimi per i qualisi era speso. Lo hanno trovato a terra, le braccia spalancate, come Cristo in croce. Cosi' e' finita la vita terrena di padre Mario Veronesi. Crocifisso per amore. Ma, si sa, il sangue dei martiri non e' mai versato invano. Il bene fatto non va perduto. E altri continuano.
10 novembre 1912: a Rovereto, provincia di Trento, nasce Mario Veronesi, figlio di Germano e di Albina Passamani. In famiglia ci sono altri quattro fratelli e una sorella: Valerio, Giuseppe, Tullio, Nino e Anna. Rovereto e' terra di santi. Vi e' nato - il 24 marzo 1797 - un grande filosofo cristiano dell'Ottocento, fondatore della congregazione religiosa chiamata Istituto della Carita': l'abate Antonio Rosmini. Rosminiani sono detti i suoi figli spirituali che ancoraoggi ne vivono e testimoniano l'ideale. Adesso vogliono farlo beato, ma ai suoi giorni non ha avuto vita facile, dovendo subire l'incomprensione della Chiesa per le sue teorie in anticipo sui tempi. Tutto in citta' parla di lui: c'e' anche un oratorio Rosmini. Li' respirera' aria di santita' il piccolo Mario Veronesi.
Tra il 1915 e il 1918 si combatte la prima guerra mondiale, la prima grande carneficina del secolo, 65 milioni di partecipanti, la meta' morti o feriti. Rovereto non e' lontana dal fronte, vi arrivano i rumori delle battaglie, le notizie delle vittorie e delle disfatte dell'esercito italiano contro gli austriaci. Il Brenta, il Pasubio, il Monte Grappa, il Piave e l'Isonzo, Caporetto e Vittorio Veneto, i luoghi simbolo del conflitto sono nomi che il piccolo Mario ha sentito certamente pronunciare in famiglia. L'Italia vince, ma a quale prezzo. Nel 1924 il prete roveretano don Antonio Rossaro fa costruire la campana piu' grande del mondo, fusa col bronzo dei cannoni delle nazioni combattenti, e la intitola a Maria dolens. Da allora, ogni sera, nel cielo di Rovereto, si odono i suoi cento rintocchi lenti e solenni. Dal colle di Miravalle sopra la citta', il suo suono ricorda i caduti di quella e di tutte le guerre, chiede pace per il mondo intero. Anche il ragazzo Mario Veronesi ha udito la campana. E ha compreso che suonava per lui, lo chiamava alla sfida della fratellanza tra i popoli della terra.
Ogni guerra porta lutti, poverta', fame. Tempi duri per chiunque. La famiglia Veronesi non fa eccezione. Il papa' e' il custode del macello pubblico, la mamma si occupa della famiglia. Lavorano sodo, ma c'e' bisogno di qualche soldo in piu'. Mario va alla scuola elementare di Rovereto, fino alla settima classe. Comincia la prima nel 1918, alla fine della guerra. I suoi fratelli continueranno gli studi: Giuseppe sara' ingegnere aeronautico, sindaco di Rovereto e deputato democristiano, Nino architetto, Valerio impiegato e Tullio maestro. Lui, invece, dopo la scuola trova lavoro presso una drogheria. Il titolare Alberto Farinati testimoniera': "Dichiaro che Mario Veronesi fu alle mie dipendenze dal 1° agosto 1926 al 31 ottobre 1933 in qualita' di commesso di banco. In questo tempo fui sempre soddisfatto del suo operato perche' fedele, onesto, intelligente e molto attivo".
Ricevuta la cresima dodicenne, eccolo nel tempo libero all'oratorio Rosmini. A 15 anni e' capo aspiranti, a 19 presidente dei giovani di Azione Cattolica. Ha la stoffa del leader. Gli amici lo ricordano deciso, grintoso, coraggioso. Durante una gita in montagna, dopo quattro ore di marcia, un ragazzo si sloga una caviglia. Se lo carica a spalle e lo riporta a casa. Il Rosmini, l'Azione Cattolica, la parrocchia sono la seconda famiglia di Mario. Li' la sua fede si irrobustisce, tanto che un giorno, gia' missionario in Bangladesh, scrivera' agli antichi compagni: "Amici carissimi in Gesu' Cristo, ho qui sul tavolo il foglio che porta molte delle vostre firme; da ognuna mi balza una figura nella memoria. Vi ricordo: chi nel piazzale dell'Oratorio; chi sul palcoscenico; chi pedalare per le strade polverose di quei tempi; chi per ripidi sentieri verso le cime; nelle adunanze, nei congressini... tutti! Grazie del vostro ricordo! Grazie per tutto quello che mi avete richiamato. Sento che tutti ci vogliamo veramente tanto bene, perche' il Signore ne ha voluto tanto, tanto, a noi tutti. L'aver potuto passare qualche anno della nostra giovinezza nel clima dell'oratorio Rosmini e' stato un grande privilegio, una grande grazia. Grazie che non si pagano con la presenza ad una celebrazione commemorativa, ma con una testimonianza di vita: ricordiamolo sempre".
Sul Monte Stivo, la croce
Nel 1931 Mario Veronesi diventa presidente della Gioventu' di Azione Cattolica, proprio quando il regime fascista di Mussolini al potere dal 1922 si accanisce contro quell'associazione, l'unica non "allineata" alla dittatura. Perche' lui, "un commesso di negozio con una cultura elementare" - si chiede un amico - "nell'ambiente giovanile cattolico non c'erano forse universitari, laureati o professionisti degnissimi?". La risposta: "Mario era un capo nato e amato. Non l'ho mai sentito fare un discorso presidenziale. Non l'ho mai visto dare ordini. Ma egli presiedeva, guidava, precedeva, tirava dappertutto: nelle ore della preghiera, dello studio, del gioco, del lavoro con lo spirito dell'apostolo, sorridendo e tacendo". Fedele alla regola dell'Azione Cattolica Preghiera, azione, sacrificio e al suo motto Cristo regni!
Il 17 settembre 1933 quattrocento giovani di Rovereto portano sulla cima del monte Stivo, 2059 metri sulla citta', una grande croce di ferro, per celebrare il diciannovesimo centenario dellaredenzione. Tra i portatori c'e' il ventenne Mario Veronesi. Forse non lo sa. Ma quello sara' il suo compito: portare la croce con gli altri e per gli altri, scalare la montagna della poverta', della fame, dell'egoismo. In citta' era nato nel 1924 il giornalino missionario Lacrime e sorrisi di bimbi, fondato da don Cesare Tommasini. Mario e' tra i redattori. E Rovereto comincia a non bastargli piu'. Probabilmente e' allora che sente la chiamata alla missione. Di certo fa due cose. Riprende gli studi in privato, come puo'. E il 27 aprile 1940 - ventisettenne - scrive al superiore dei missionari Saveriani di Parma. Sono i figli spirituali del beato Guido Maria Conforti, che ha fondato la congregazione il 3 dicembre 1895, festa di san Francesco Saverio, apostolo delle Indie.
Oltre ai tre voti di poverta', castita' e obbedienza il Conforti ne chiede un quarto: quello della missione. I suoi figli, cioe', dovranno conquistare il mondo a Cristo, "non con la forza delle armi, ma con la persuasione e l'amore". "A questo ideale - aggiunge il fondatore - il missionario saveriano sacrifica la sua famiglia, la sua patria, i suoi beni piu' cari e piu' legittimi".
Mario però ci riprova
Dunque Mario Veronesi manda a dire ai Saveriani: "Sentendo in me la chiamata del Signore alla vocazione missionaria, mi rivolgo fiducioso alla Signoria Vostra reverendissima perche' mi voglia accogliere in codesta Pia Societa'. Ho fiducia che la mia domanda verra' accolta malgrado l'eta'. A questa difficolta' cerchero' di supplire con la buona volonta' per poter avere, nel minor tempo possibile, quelle cognizioni necessarie a un buon missionario. Fin d'ora prometto di seguire docilmente la volonta' deimiei futuri Superiori, qualunque essa sia, accogliendola come la volonta' del Signore. Con i sensi della piu' profonda venerazione, devotissimo Mario Veronesi".
L'arciprete di Rovereto e il professor Mario Ferrari, l'insegnante che l'aiuta negli studi ginnasiali privati, allegano entusiastiche raccomandazioni: scrive il primo che il giovane Mario Veronesi "ha pieta' sempre diligentissimamente coltivata, una vita interiore intensamente vissuta e un apostolato sempre esercitato con zelo nell'associazione di Azione Cattolica"; aggiunge il secondo che "la sua buona volonta' (ammirevole, se si pensa che allo studio deve dedicare le poche ore libere dal suo lavoro e dalle sue mansioni direttive nell'Azione Cattolica) da' completo affidamento di ottima riuscita".
Niente da fare. Il superiore dei Saveriani risponde di provare altrove, magari dai Salesiani. Spiega padre Silvano Garello, biografo di Mario Veronesi: "Forse l'eta' del candidato aveva destato il sospetto di una vocazione problematica". Lui si consiglia con il suo padre spirituale don Ridolfi. Poi scrive di nuovo ai Saveriani: "Riguardo alla proposta di rivolgermi ai Salesiani, non mi sento di accoglierla, perche' non sento nessuna inclinazione verso quella societa'. Mi sono rivolto al suo istituto e in codesto vorrei un giorno venire, se il Signore lo vorra', e cosi' far parte di quella schiera di missionari che in Cina diffondono il Vangelo". Testardo e determinato, il giovane roveretano.
Stavolta i Saveriani rispondono di si'. E' fatta. Ma ci si mette di mezzo la guerra. Mussolini chiama alle armi e lancia il Paese nella folle avventura della seconda guerra mondiale. Mario Veronesi vienerichiamato nel 20° Corpo d'Armata e spedito in Libia per qualche mese. In realta' avrebbe potuto evitarlo, perche' i ranghi erano al completo. Ma lui chiede di prendere il posto di un soldato che ha famiglia. E confida ad un amico di voler andare in Africa non per fare la guerra ma "per portare ai poveri indigeni il conforto dell'amicizia, della carita' cristiana e la luce della fede". Secondo un commilitone, in Libia vuole anche provare il suo fisico in vista della missione.
Verso il sì definitivo
14 agosto 1941: Mario Veronesi entra nel noviziato saveriano di San Pietro in Vincoli di Ravenna. Lo accoglie il maestro dei novizi padre Giuseppe Gitti, reduce dalla Cina, che lo descrive cosi': "Dimostra un carattere forte, buono e docile, pieta' convinta e vissuta, ottimo spirito religioso e volonta' decisa a superare ogni difficolta' per raggiungere la meta". Non lo imbarazza la differenza di eta' dei compagni, si affiata subito, gioiosamente, senza traumi. Quando serve intona un canto di montagna. Li' Mario approfondisce la conoscenza dei Saveriani e del loro fondatore, il beato Guido Maria Conforti. E' morto da dieci anni, nel 1931, mentre lui diventava presidente dei giovani di Azione Cattolica a Rovereto.
Lasciando ai suoi figli una lettera-testamento, nella quale scrive tra l'altro: "Dobbiamo sforzarci di attuare le finalita' sublimi che si propone di raggiungere l'istituto nostro, lavorando con sempre crescente ardore alla dilatazione del Vangelo nelle terre infedeli, portando cosi' il nostro povero contributo all'avveramento del vaticinio di Cristo, auspicante la formazione di una sola famiglia cristiana che abbracci l'umanita'. Ognuno di noi quindi sia intimamente persuaso che la vocazione alla quale siamo stati chiamati non potrebbe essere piu' nobile e grande, come quella che ci avvicina a Cristoautore e consumatore della nostra fede ed agli apostoli, che, abbandonata ogni cosa, si diedero interamente senza alcuna riserva alla sequela di Lui".
Mario Veronesi si mette alla sequela di Gesu' e l'8 settembre 1942, in un mondo sconvolto dalla guerra, dice il suo primo si' ufficiale con la professione religiosa e missionaria. Poi va a studiare teologia a Parma, la culla dei Saveriani. A luglio del 1945, si sente pronto e lo comunica al superiore generale: "I tre anni di vita religiosa trascorsi mi hanno confermato in questo proposito gia' implicito all'emissione della prima professione. Pienamente conscio della gravita' dell'impegno che mi assumo, sono pero' certo che vi potro' rimanere fedele con la grazia del buon Dio, che mai mi e' mancata nel superare le difficolta' passate. So bene, Padre, che non ho ne' titoli ne' meriti da accampare per ottenere tanta grazia, ma voglia tener presente il mio sincero desiderio di bene e la mia volonta' decisa a voler vivere sempre piu' totalitariamente la vita religiosa-missionaria".
Due mesi dopo, il 12 settembre 1945, Mario Veronesi dice il si' definitivo, la professione perpetua. Adesso e' pronto. E il 7 marzo 1948 e' ordinato sacerdote nella cattedrale di Parma da monsignor Evasio Colli. Unico assente, il papa' del neo saveriano: Germano Veronesi e' morto un anno e mezzo prima, l'11 novembre 1946, a Rovereto, senza poter vedere il figlio prete.“Predicarti a tutti e sempre”
La sera dell'ordinazione padre Mario Veronesi scrive una sorta di manifesto programmatico del suo ministero: "Ti offro, o Signore, questa mia prima messa per le mani purissime di Maria, onde io pure possa essere in tutti i giorni della mia vita, assieme all'Ostia divina, una vittima per la salvezza del mondo infedele. Ti chiedo ancora, o Signore, di formare in me un cuore sacerdotale, di avere una tenera devozione verso lo Spirito Santo onde siano abbondanti i suoi doni per l'anima mia, e verso la Vergine Santa, che possa farla amare da tutti coloro che accostero' nel mio ministero; di far si' che possa andare sempre, con la gioia dell'anima almeno, nel confessionale a distribuire la tua misericordia. Fa' soprattutto, o mio Dio, che possa comprendere subito la situazione delle anime e possa dare loro i consigli e le esortazioni che tocchino il loro cuore e le porti a Te. Ti prego ancora, o Signore, di poter predicarti a tutti, sempre, con la mia parola e con il mio esempio, predicare pero' solo Te!". E poi una frase, forse posteriore: "Signore, che possa partire presto per il campo missionario".
A 35 anni, padre Mario Veronesi e' pronto alla missione e anche alla morte per il Vangelo. Dopo una gran festa a Rovereto, il superiore generale gli affida una missione inattesa: economo della casa madre di Parma. Non si sente all'altezza, forse e' un po' deluso, ma obbedisce "visto che questa e' la volonta' di Dio". Dopo due anni di grande lavoro, nel luglio del 1950, viene mandato ad Ancona come rettore della scuola apostolica. Si tratta di sensibilizzare i ragazzi alla vocazione missionaria. In quello stesso anno, il 4 novembre, un altro lutto familiare: muore quarantacinquenne il fratello Nino. Padre Mario scrive sul suo diario: "Fiat voluntas tua... anche per lo strazio della morte di Nino". Passano ancora due anni. Nel 1952 succedono quattro fatti importanti nella vita di padre Mario Veronesi. Il 15 agosto e' pellegrino a Lourdes. Poi si dimette da rettore.
I Saveriani vanno in missione nel Pakistan Orientale. E stavolta partira' anche lui. Il 24 novembre, alla stazione di Rovereto, c'e' il commiato dalla famiglia. Padre Mario si mette in ginocchio davanti alla madre: "Mamma, benedicimi". E' l'addio, sulla terra non s'incontreranno piu'.
A quarant'anni, Mario Veronesi lascia i suoi monti trentini per una terra lontana e sconosciuta. Un luogo misterioso, noto come teatro delle avventure dei personaggi di Emilio Salgari. Il "Bengala dorato" cantato dal poeta bengalese Rabindranath Tagore, premio Nobel per la letteratura nel 1913.
E' accaduto che in Cina sono andati al potere i comunisti di Mao Tse Tung, perseguitando e cacciando i missionari da quel grande Paese-continente. I Saveriani - seguendo l'ispirazione del fondatore che li ha invitati alla scelta preferenziale dell'Asia come luogo di missione, sulle tracce di san Francesco Saverio - si spostano in Giappone, Indonesia e Bengala Orientale, chiamato allora East Pakistan (Pakistan Orientale), oggi Bangladesh. Nel 1947 finisce la dominazione inglese dell'India. Il mahatma Gandhi, protagonista della lotta pacifica di liberazione del suo popolo, sogna un unico grande stato, patria di tutte le religioni. Ma i musulmani non ci stanno: guidati da Mohammed Ali Jinnah fondano il Pakistan, uno stato diviso in due dall'India. La parte occidentale, piu' vasta, con capitale Karachi; quella orientale, il Bengala Orientale, sul delta del Gange, piu' piccola con capitale Dhaka.
Un Paradiso terrestre!
Qui arrivano nel 1952 i Saveriani, con l'amministratore apostolico monsignor Dante Battaglierin, a prendersi cura della diocesi di Jessore. I primi figli del Conforti che arrivano nel Pakistan Orientale sono padre Albino Tessaro, padre Antonio Alberton, padre Mario Chiofi, padre Vittorino Dalla Valle. E, soprattutto, l'ex superiore generale padre Amatore Dagnino, reduce dalla Cina. Poi e' la volta di fratel Leonardo Scalet, padre Marino Rigon e altri tre espulsi da Mao: padre Giuseppe Gitti, padre Francesco Spagnolo, padre Aldo Guarniero. E padre Mario Veronesi, che arriva il 14 gennaio 1953. Partito con il mercantile Timavo dal porto di Trieste il 20 dicembre 1952, insiemea fratel Leonardo Scalet, arrivano a Bombay, in India, venti giorni dopo. Altri 2000 chilometri in treno e sono a Calcutta e da li' raggiungono finalmente Jessore nel Pakistan Orientale.
"Sembra un paradiso terrestre!", dicono di quei luoghi i visitatori. Clima caldo umido, piogge abbondanti che ogni tanto, pero', seminano morte e distruzione. Banane, palma di datteri, canna da zucchero, riso, juta i principali prodotti della terra. Poi la pesca, sui fiumi, sui canali, nelle paludi, in mare. Alla foce del Gange c'e' l'immensa distesa verde della foresta del Sunderbans, regno della celeberrima tigre del Bengala mangiatrice di uomini. Ma l'altra faccia del paradiso terrestre sono le malattie, la fame, la poverta', l'analfabetismo, le calamita' naturali e le violenze dell'uomo.
Presto si fanno sentire le differenze tra i due Pakistan: non basta la religione comune a farli sentire una nazione. Presto il governo occidentale prende il sopravvento e i bengalesi si sentono di nuovo una colonia. Il potere e i soldi sono a Karachi, a loro non restano che le briciole. Nascono partiti politici che puntano all'indipendenza. Presto scorrera' il sangue.
Padre Mario Veronesi appenaarrivato a Jessore e' alle prese con la lingua bengalese. Ma poi comincia subito a battezzare, a confessare, a visitare villaggi. Monsignor Battaglierin scrive, in una relazione, di aver trovato in diocesi tre piccoli orfanotrofi, una scuola media in locali inadeguati, tre chiese. Nient'altro. Padre Veronesi va nella parrocchia piu' grande, Khulna, in seguito divisa in due comunita', Shelabunia e Baniarchok. Da li' scrive al suo Superiore generale il 1° febbraio 1953: "Il mio distretto comprende quasi mezza diocesi. Siamo in due padri, ma padre Aldo Guarniero e' sempre impegnato per la scuola. Un anno fa circa, l'11 febbraio 1952, in nome della Mamma del Cielo ho fatto domanda di andare in missione. Venni esaudito. Sono felice di esserci e ne ringrazio la Madonna e lei, reverendissimo padre, che mi ha detto di andare in questa terra, dove domando di potervi morire".
Una parrocchia: 3 milioni, 1500 cristiani
Il 27 marzo, in un'altra lettera al Superiore generale spiega: "Ho visitato in questi giorni scorsi alcune delle nostre comunita' che quando c'erano i padri del PIME erano fiorenti. Da tre mesi non vedevano un padre, da una quindicina di anni non vedevano una suora. Per di piu' gli stessi legami con i protestanti li hanno raffreddati molto. Aspettano da tempo che le promesse fatte di mandare un padre stabile e di fare altre scuole si mantengano. E veramente il bisogno c'e', non foss'altro per salvare quello che e' rimasto. Ma come e' possibile fare questo finche' rimango solo? Il 25 febbraio, dopo il ritiro spirituale a Jessore, monsignor Battaglierin ha distribuito i vari padri alle residenze. A Khulna, come gia' sapra', ci sono io e padre Guarniero che dovra' prendere il posto di preside della scuola. Per cui a me tocca il ministero (e ne sono felice!) in un distretto che conta tre milioni e diecimila animecon 1.500 cattolici. E' mezza diocesi! E' tre volte la missione di Sierra Leone!
Non le sembra che con ragione reclami e che lei dovrebbe sentire compassione della mia... fame? Io faro' tutto quello che le mie forze mi permettono, ma non mi posso moltiplicare. Di fede mi sembra di averne anche, ma non tanta quale forse il Signore vorrebbe, per cui non ottengo quello che domando, ne' so rendermi strumento dei prodigi che il Signore farebbe se vi fosse qui un san Francesco Saverio. Mi sento umiliato e prego il Signore che mi faccia piu' buono per poter fare un po' piu' di bene a queste anime che Lui ha affidato al mio zelo".
Si sente piccolo e debole, padre Mario, di fronte a una sfida del genere. Ma gia' scrivendo alla mamma il 29 giugno le confida che, per tirarsi su, "quando si presenta l'occasione faccio anche una bella cantata. La nostalgia non mi ha ancora preso e credo che difficilmente mi prendera'. Amo questa terra e tutti coloro che l'abitano, perche' qui mi ha mandato il Signore! Non importa se sono poveri, sporchi, alle volte noiosi e poco riconoscenti. Sono difetti che si trovano dappertutto. Un po' alla volta, con la grazia di Dio, eleveranno il loro tenore di vita e anche loro saranno capaci di dare esempi di vita cristiana. Io sono abbastanza contento dei miei cristiani". Di ritorno da un villaggio dove aveva partecipato a una processione eucaristica, dice: "Peccato che siano tanto pochi questi cristiani! Speriamo che un po' alla volta la grazia tocchi il cuore anche dei pagani".
Non gli basta il piccolo gregge gia' nell'ovile, vuol essere missionario di tutti e per tutti. Padre Mario Veronesi diventa il primo parroco di Khulna. Qualche tempo dopo confida in una lettera a un fratello a Rovereto: "Da alcuni mesi sono arrivato nel distretto che il mio reverendissimo Ordinario mi ha affidato. Io lo voglio considerare, e lo e' in realta', un'unica famiglia, la famiglia che il Signore mi ha voluto dare. Varie citta' e moltissimi villaggi formano questa mia immensa parrocchia che conta 1.500 cattolici e piu' di tre milioni di non cristiani. Puoi immaginare che mi manchi il lavoro? Come potro' raggiungere tutte le anime a me affidate? Chi mi verra' in aiuto? Bisogna costruire chiese, scuole, soprattutto ospedali... Alla Provvidenza io ci credo".
E si getta generosamente nella mischia. Deve lottare contro la miseria e la fame che colpiscono tanti. "Essere poveri - scrive padre Mario a un amico - e' bene, ma miserabili, dover ridurre a due o a uno solo i pasti giornalieri, e qualche volta anche al digiuno completo, non aiuta certo la loro anima. Si fa quello che si puo' anche per questo, ma i soldi sono pochi. E allora, sofferenza per loro e per noi che siamo con le mani legate". Tuttavia ha spalle robuste da montanaro trentino e barba da profeta biblico, e non si arrende. Piano piano cresce il numero dei cristiani e aumentano le loro iniziative. Padre Mario incita, incoraggia, sostiene, aiuta, promuove, si sporca le mani, come si dice oggi. Prega intensamente, ma agisce senza risparmio. Vuole bene a quella famiglia che Dio gli ha dato. E vuole ancor piu' bene a Dio.
“C’è il tuo angelo”
Il 25 luglio 1954 muore la mamma. Padre Mario non puo' accorrere a Rovereto. Il fratello Giuseppe gli raccontera' per lettera i suoi ultimi momenti: "Vicino alla mamma morente ci siamo tutti, Anna, Valerio, Tullio, Ida e Bepi. Manchi tu. Ma c'e' il tuo angelo. Un padre Cappuccino ha detto le preghiere belle e consolanti dei moribondi. Che altro si puo' fare? Prima abbiamo recitato la Corona. Proficiscere anima christiana... Dopo 82 anni di fedelta' al dovere e di fede in Dio la nostra mamma e' spirata".
Padre Mario celebra messa per lei e dice ai cristiani bengalesi: "Se sono qui in mezzo a voi, lo debbo anche a lei. Ella si e' sentita un po' anche la vostra mamma". In Dio si e' una sola grande famiglia. Scrivera' poi al fratello Tullio: "Il ricordo della nostra buona mamma ci aiuti. Lei cosi' ligia al passato, eppure tanto paziente e comprensiva con noi, con le nostre contestazioni giovanili. Cerchiamo di dare ai giovani l'esempio di fede vissuta, evangelica. Penso sia questa la via migliore per aiutarli". In quel 1954 il Pakistan Orientale e' sommerso da una gigantesca alluvione che dura quasi due mesi. Padre Mario e' in prima linea. Descrivera' cosi' l'apocalisse di quei giorni: "Come per la gran parte dell'East Pakistan, anche qui sono arrivate le acque minacciose del Gange a portare la desolazione. L'acqua ha invaso le case: adagio adagio corrode i rialzi di terra su cui sonocostruite e, al primo vento che si alza, crollano. E' una lotta disperata quella che questa gente combatte contro le acque e la fame. Anche nella mia chiesetta e' entrata l'acqua e in stanza mia stamattina ho visto guizzare qualche pesciolino. Oggi pero', festa dell'Assunta, la Madonna ci ha fatto il regalo di un magnifico sole. Ho potuto celebrare la santa messa sotto la verandina della mia stanza mentre i cristiani accorsi vi hanno potuto assistere stando sulle loro barche; con un po' di acrobazie, una quarantina erano riusciti a confessarsi e durante la santa messa hanno fatto la comunione. Abbiamo pregato con fervore. Solo il Signore ci puo' salvare. Di fede i miei cristiani ce n'hanno: anzi c'e' da ammirare la loro calma e serenita'. Non manca la nota gioiosa dei bambini che guazzano beati nell'acqua: essi non capiscono e i grandi la loro angoscia la tengono tutta per loro".
E padre Aldo Guarniero racconta la lotta di padre Mario: "SOS per l'East Pakistan che sta ora passando una delle ore piu' tragiche. Piogge e straripamenti di fiumi hanno allagato ben sei province. Tutto il raccolto di riso e' stato rovinato, migliaia di case (capanne di bambu') sono state spazzate via dall'acqua. I tre distretti della nostra missione finora sono salvi; solo due villaggi con circa trecento cattolici sono stati distrutti dalla piena. Padre Veronesi e' corso laggiu' e non e' ancora tornato: non so cosa potra' fare, ma mi aspetto di vederlo arrivare con un esercito di bambini; ne ha gia' portato parecchie dozzine quando i tempi erano normali, immaginarsi ora! Ed e' sempre in bolletta: non so come faccia a sfamare tante bocche. Per tener dietro al suo cuore ci vorrebbe ben altro che le 500 rupie al mese che la missione gli passa. E' andato laggiu' con tre quintali di riso. Prima di partire, gli ho detto: E stavolta quanti ne porterai qui? Mah! - mi ha risposto - vedremo quello che mi dira' il cuore. Allora stiamo freschi. Ricordati che sopra il cuore c'e' la testa. Eh, caro mio, in certe occasioni non si ragiona. Sai bene che laggiu' muoiono di fame".
Dove si muore di fame
Gia', la fame. Quando le acque si ritirano resta la desolazione. Arrivano aiuti da tutto il mondo, Italia compresa. E padre Mario continua ad accorrere dappertutto. Prega e agisce. Scrive padre Garello: "Non si siede a teorizzare sul da farsi. Andando sul posto, a colpo d'occhio, capisce dove deve mettere le mani per lasciare subito un segno che sta prendendo a cuore la situazione degli altri". Gli tocca pure di costruire la prima cattedrale di Khulna, che sara' la futura diocesi. E' dedicata a san Giuseppe, 23 metri di lunghezza, muri di mattoni e tetto di lamiera. Padre Mario ha fatto il muratore, suscitando la collaborazione dei cristiani. Dietro l'altare, la statua in legno di san Giuseppe: arriva dalla parrocchia di Rovereto. La chiesa diventa presto il rifugio dei senza tetto dell'alluvione. Qualcuno si scandalizza, ma padre Mario e' contento: quella povera gente fa compagnia a Gesu' nella sua casa.
1956: padre Veronesi e' delegato al sesto Capitolo generale dei Saveriani. E a dicembre diventa superiore religioso. Nominanon cercata ne' voluta, ma accettata come volonta' di Dio. Scrive al Superiore generale il 1° novembre 1956: "Mi sarebbe piaciuto tanto riprendere il lavoro di cura d'anime, invece il Signore non ha voluto. Aiutero' si' i padri piu' che mi sara' possibile, ma non sono i miei cristiani. Ho avuto la grazia di tornare, ma con una croce grossa sulle spalle".
Non ha un carattere facile, il montanaro trentino. Esigente con se stesso e dunque con gli altri. Scrive ancora padre Garello: "Qualche fratello, pur apprezzandolo, lo ricorda come un duro. Era il suo carattere che a volte lo portava a certe asprezze, a tagliar corto nelle discussioni, a dire con schiettezza quello che pensava. Nemico del compromesso, sentiva che il suo compito era quello di proporre l'ideale. Proponeva di fare qualche cosa che gli sembrava opportuna. Aspettava un po'. Ma se poi notava ancora incertezza, preferiva tacere e mettersi lui stesso a farla. Con i cristiani era cosi' dolce e paziente, mentre con noi esigeva molto, nota un confratello, che pur ne aveva alta stima". Ma, quand'e' il momento, incoraggia, aiuta, conforta e difende i suoi confratelli. Una volta ne porta alcuni a riposarsi sui monti ai piedi dell'Himalaya. Mentre padre Mario e' superiore monsignor Battaglierin viene eletto primo vescovo della diocesi di Khulna. Ma lui, scaduto il suo incarico triennale, fa di tutto per non essere confermato nella carica. Vuol tornare in prima linea e ci riesce.
Bhodorpara
Il 7 febbraio 1960 padre Mario Veronesi celebra la sua prima messa come parroco di Bhoborpara, grande villaggio contadino a pochi chilometri dal confine con l'India. Ha due collaboratori saveriani, padre Albino Tessaro e padre Benedetto Rota. Padre Rota, 34 anni, robusto, dinamico, generosissimo, muore di malaria l'11 agosto 1960. E' il primo saveriano sepolto in Pakistan. Padre Mario lo piange a lungo: teme di non aver fatto tutto il possibile per salvarlo.
Un anno dopo raccontera': "La giornata e' stata torrida, la sera e' calda. Siamo seduti sui gradini della chiesa, alcuni ragazzi ed io, in attesa di un alito di vento. Improvvisamente un ragazzo esplode in un canto italiano Ave Maria. Ho sentito il cuore farmi un balzo nel petto... E' l'ultima canzone che nell'agosto scorso il padre Benedetto Rota aveva insegnato ai ragazzi per poterla cantare in chiesa il giorno dell'Assunta. Ma le cose andarono diversamente, padre Rota la sua lode ando' a cantarla alla Vergine in paradiso e i suoi bambini passarono una giornata di pianto per averlo perso. Stasera, all'udire queste note, misono commosso. Alla voce del piccolo cantore si sono andate via via unendo altre voci, prima incerte nel ricordo, poi sempre piu' sicure. A Lei aveva dedicato la sua prima canzone composta in bengalese. A Lei l'ultimo canto insegnato ai suoi bambini. Abbiamo celebrato il primo anniversario della sua morte, ma egli e' ancora vivo in mezzo a noi, e lavora sodo. Accanto alla sua tomba fioriscono gli oleandri e le nostre preghiere. Tre dei suoi bambini hanno detto: voglio farmi sacerdote. Quest'anno speriamo di finire la sua scuola". La morte di padre Rota converte una maestra protestante: padre Mario la battezza con il nome di Benedetta.
L'inizio degli anni sessanta porta una ventata di speranza in tutto il mondo. Kruscev, capo dell'Unione Sovietica, John Kennedy, primo presidente cattolico degli Stati Uniti e, soprattutto, il vecchio contadino bergamasco Angelo Giuseppe Roncalli diventato nel 1958 papa Giovanni XXIII, sono gli uomini-simbolo di questa stagione che si apre dopo gli anni bui della seconda guerra mondiale e il gelo della cosiddetta guerra fredda tra est e ovest del mondo. Il vecchio Papa e' stato eletto settantasettenne, dovrebbe essere una figura di transizione. Ma lui sorprende tutti e annuncia il Concilio Ecumenico Vaticano II, dopo novant'anni dalla conclusione del precedente. E' l'assise piu' importante della Chiesa. E i cristiani di tutto il mondo accolgono la notizia con gioia, trepidazione, attesa. Si parla di "primavera della Chiesa", di rinnovamento, di apertura al nuovo. Il Concilio si aprira' in Vaticano l'11 ottobre 1962, per concludersi tre anni dopo, essendo papa Paolo VI Montini.
Intanto la diocesi di Khulna fa l'esame di coscienza con il sinodo diocesano dal 23 al 25 maggio 1961. Vi partecipa anche padre Mario Veronesi. Il vescovo Battaglierin traccia un bilancio della presenza missionaria: "I primi tempi furono difficili; ma intanto del lavoro se n'e' fatto. Un aumento dell'86% dei cristiani viventi e residenti. Nuove residenze. Le suore Luigine, i seminaristi, nuove chiese; case, scuole, villaggi, l'ospedale e la tipografia, il Training Center e il sinodo. C'e' da ringraziare il Signore. Ma io sento l'obbligo di ringraziare anche voi, tutti e ciascuno, per il lavoro fatto in mezzo a sacrifici e poverta'. Non sono mancate le defezioni dei fedeli, la morte tra le nostre file, le malattie e i rimpatri. La poverta' poi ci fece sempre marcare il passo. Tuttavia, carissimi, non basiamoci troppo sui mezzi materiali, pur avendo l'obbligo di occuparcene per le opere e per il consolidamento delle cristianita'. Non mancano certo i lati negativi".
Dopo dieci anni padre Mario torna in Italia (in realta' e' gia' venuto nel 1956, al Capitolo generale dei Saveriani) per una vacanza. Rovereto, i fratelli, gli amici, i suoi monti. L'estate e l'autunno del 1963 sono un tuffo nel passato. Ma non vede l'ora di tornare in Pakistan. Riparte da Napoli il 1° dicembre.
Baniarchok
Adesso andra' a fare il parroco di Baniarchok, una delle due comunita' in cui e' stata divisa la grande parrocchia di Khulna. E scrive al fratello Tullio il 9 gennaio 1964: "Sono arrivato nella mia nuova residenza il 22 dicembre scorso. Conoscevo gia' il posto perche' nei vari anni in cui ero a Khulna curavo anche questa cristianita', che allora non aveva il missionario stabile. Vi sono 857 cristiani e oltre un milione e mezzo tra indu' e musulmani. Chissa' quanti anni - forse secoli - passeranno ancora prima che tutti siano cristiani. Sono misteri che noi dobbiamo sentire, vivere per quanto e' in mano nostra. A noi fu detto di andare, predicare. Certo alla nostra fatica, al nostro zelo e allanostra collaborazione il Signore ha legato quelle grazie che convertono. Che la grazia stessa di Dio ci renda degni suoi ministri!".
Di nuovo padre Mario pone mano all'aratro, senza guardare indietro. Di nuovo preghiere, sacramenti, visite ai villaggi, lavori, fatiche. Viene ad aiutarlo ogni tanto il confratello padre Valeriano Cobbe che costituisce una cooperativa di pescatori cattolici, protestanti e indu'. Nel marzo del 1964 arriva in visita monsignor Battaglierin, padre conciliare. Nascono una scuola di cucito e un corso pre-matrimoniale per le ragazze tenuti dalle suore Luigine di Khulna e da quelle di Maria Bambina di Bhoborpara. Per Natale padre Mario organizza il concorso presepi.
Nel maggio del 1965 sul Pakistan Orientale si abbatte un gigantesco ciclone che semina altra morte, altra distruzione, altra fame. Padre Mario e' di nuovo in mezzo ai poveri, s'ingegna di aiutarli in ogni modo, stende la mano verso gli amici italiani, compra vecchi giornali e ne fa sacchi da rivendere, consola, dona il suo stesso cibo. Ma a settembre, nuova emergenza. E' scoppiata la guerra tra India e Pakistan: si contendono il Kashmir. Il fronte e' lontano, ma qualche missionario del Pakistan Orientale viene espulso, altri devono lasciare le parrocchie ai confini con l'India. Padre Mario continua a lavorare. Intanto a Roma e' finito il Concilio, adesso comincia nelle comunita' locali, la primavera deve diffondersi in tutta la Chiesa.
Ovunque, dove c’è un povero
A Rovereto si festeggiano i 50 anni dell'Oratorio Rosmini. Gli amici mandano aiuti a padre Mario che ringrazia cosi': "Sono serviti per riparare l'edificio scolastico danneggiato dal ciclone, farlo piu' bello, per pagare i maestri, per tante altre spese e spesette che il buon funzionamento di una scuola richiede. Riusciremo a tirare avanti con questo ritmo? Lo spero! Ho fede nella Provvidenza e voi, carissimi, in quanto vi e' possibile, siatene le braccia. Quando guardo la scuoletta o gioco con i ragazzi vedo Rovereto, vedo il Rosmini, vedo voi, tutti presenti col vostro aiuto concreto, colle vostre preghiere".
"Ti dispiace andartene via?" chiede un confratello a padre Mario Veronesi quando il vescovo lo manda a fare il parroco a Shimulia. E lui: "Dove c'e' un povero, li' ci vado volentieri anch'io". Sempre pronto ad obbedire alle chiamate, a cambiare, a incontrare nuovi bisogni. Senza storie. Amando tutti, ma non consegnandosi definitivamente a nessuno. Non si guarda in faccia ai poveri.
Arriva a Shimulia il 6 luglio 1966. Qui vivono gli ultimi degli ultimi tra gli intoccabili indu', i fuori casta detti muci. E' solo. Ha 53 anni. Ma - scrive - "fino a che posso lavorare mi considero giovane e, con la grazia di Dio, un po' di bene spero di farlo". Il primo problema e' la fame di quella gente. Spiega: "Sono ancora solo e il lavoro miassorbe. E' proprio quello che ci vuole per me. Mi piace lavorare e il Signore mi conserva una buona salute. Quello che ci fa piu' soffrire e' la miseria in cui si trovano molti e quando manca il pane anche le cose dell'anima stentano a trovare la strada".
Cosi', ancora una volta, padre Mario Veronesi fa promozione umana, come ha indicato il Concilio, ma come lui faceva gia' prima. Si getta in tante azioni concrete per aiutare i poveri: cooperative, piccole industrie, artigianato. Quando nel piatto c'e' un pugno di riso, allora si puo' parlare delle cose di Dio. E' talmente affaccendato che non puo' tornare in Italia nemmeno per l'ordinazione sacerdotale del nipote Flavio - anch'egli missionario saveriano - a Rovereto l'8 ottobre 1967. Scrive: "Meglio non parlarne. Gia' mi aveva scritto padre Flavio in proposito, ma gli risposi che in questo momento sarebbe un mezzo tradimento. Siamo rimasti in pochi, e di nuovi padri in arrivo non se ne vedono.
Poi qui vi sono padri che non vanno a casa da dieci anni. Fate voi, e sono certo che la festa sara' bella lo stesso". Nella stessa lettera confida al fratello Tullio: "Ho tanto pregato, ed il buon Dio fa questa nuova grazia alle nostre famiglie. Sono tanto contento che Flavio abbia finalmente raggiunto questa meta, ma non e' l'ultima che deve raggiungere. Caro Tullio, tu dici bene che il Signore mi ha fatto infilare la mia strada. Si', la mia, cioe' quella che il Signore voleva: non me ne sono mai pentito e sempre lo ringrazio d'avermi salvato da tanti pericoli e forzato, direi, a farmi missionario! Deo gratias semper!".
E, ancora, gli confessa le sue difficolta' davanti algran bisogno dei poveri: "Mi sono accorto di avere il cuore troppo tenero. Mi lascio commuovere subito e, non potendo dare, ci soffro. E' una croce anche questa. Me l'ha data il Signore e devo portarla".
L'11 maggio 1969 da Shimulia parte un'altra lettera per l'Italia. Padre Mario non puo' partecipare al matrimonio dei suoi nipoti: "Paolo e Ivana carissimi nel Signore, ho ricevuto l'annuncio del vostro matrimonio. Quando riceverete questa mia, forse sarete gia' sposi. Vi considero gia' uniti e torno ad augurarvi tutte quelle benedizioni che padre Flavio (penso sia stato lui!) vi ha augurato in nome della Chiesa e del buon Dio. Ho pregato e prego per voi che il vostro amore sia sempre piu' santo. Rendetevi sempre piu' degni dell'amore di Dio! Quanto piu' sarete fedeli a Lui, tanto piu' la vostra unione sara' benedetta e avra' la stabilita' della casa fabbricata sulla roccia! La predica e' finita. Il bicchiere di spumante lo berro' quando il Signore lo vorra'. Io non ho fretta pero', perche' qui siamo pochi con tanto lavoro e non sembra che ne lascino venire molti. Il Signore vi benedica".
Ancora sulla breccia
In Italia tornera' nel 1970. Piu' stanco. Forse i superiori vogliono che resti qui. Ma lui scrive: "Grazie a Dio la salute e' buona. Si soffia un po' in salita. Ma di salite in missione non ce ne sono". E ripartira'. Ma prima una salita la compie. Torna sul monte Stivo, di fronte a Rovereto, 37 anni dopo avervi portato la grande croce di ferro con gli altri giovani del Rosmini. Ha 57 anni e, forse, nel cuore il presentimento dell'addio. Lo accompagna il nipote Lamberto. Sotto quella croce padre Mario Veronesi piange. Poi la ridipinge. Di lassu' rivede per l'ultima volta la sua Rovereto, la sua giovinezza, la sua vita. Prima di lasciare per sempre l'Italia scrive ai fratelli: "Riparto, rinnovato nel fisico e nello spirito, per donare ancora fino alla fine quello che, in fondo, non e' mio, ma Suo, l'amore che mi ha messo nel cuore".
Adesso padre Mario non e' piu' solo a Shimulia. Il vescovo gli ha mandato il giovane confratello padre Valeriano Cobbe, trentacinquenne. Che decide: "Restero' qui con padre Mario.Lavoreremo tutti insieme perche' Shimulia diventi il villaggio della speranza". Paghera' anche lui con la vita l'amore per gli ultimi. Padre Valeriano e' un altro missionario che fa promozione umana. Costruisce pozzi per l'irrigazione, si occupa dell'istruzione dei piccoli, progetta iniziative in favore delle donne. Si vogliono bene, i due missionari, e parlano lo stesso linguaggio: quello del cuore.
Padre Cobbe ha grandissima ammirazione per padre Mario. Confida a qualche confratello: "Davanti a padre Mario mi sento spiritualmente come un nano". Quando, nel 1970, padre Veronesi torna in Italia, padre Valeriano scrive al suo papa': "Spero che il padre Mario venga a trovarvi: e' un grande missionario e santo. Alla sua eta' mi batte in tutto: sacrificio ed apostolato. Riesce a camminare venti o venticinque chilometri al giorno per andare a predicare durante la stagione delle piogge, e sembra non stancarsi. Se non avessi avuto l'aiuto della sua bonta' e preghiera non sarei riuscito a resistere alla pressione del lavoro e delle circostanze faticose in cui mi sono trovato". E a una benefattrice fa sapere: "Padre Mario e' considerato anche dai musulmani il santo di questa zona. Dicono che fa anche miracoli e non stento a crederlo perche' ha uno spirito di sacrificio e una percezione spirituale delle cose molto grande".
Di padre Veronesi scrive padre Garello: "Se un pittore bengalese fosse stato richiesto di ritrarre il volto di Cristo, a Shimulia si sarebbe ispirato a padre Mario Veronesi. Alto, con la barba un po' grigia, lo sguardo dolce che esprimeva lo sforzo di partecipare a ogni sofferenza, le mani poderose del lavoratore e bucate dalla carita', il passo svelto di chi ha fretta di fare il bene".
L’ultimo turno
Gli avvenimenti si susseguono veloci. A settembre del 1970, ancora in Italia, partecipa ad un'udienza papale ai missionari. E sente il viatico di Paolo VI: "Voi siete la speranza della Chiesa". Il 23 ottobre la terza e ultima partenza per la missione. Prima dice ai suoi: "Questo sara' il mio ultimo turno". Arriva in un Pakistan sul quale si stanno abbattendo la crisi politica e uno spaventoso uragano. Piu' di mezzo milione di morti, distruzione e fame. Papa Paolo VI, nell'ultimo e piu' lungo dei suoi viaggi apostolici fuori d'Italia, diretto nelle Filippine e in altri Paesi dell'Estremo Oriente, chiede di far sosta a Dhaka nella notte: vuol portare conforto e denaro a quella povera gente. Un rapido incontro all'aeroporto con il Presidente pakistano. La prima visita di un pontefice in un Paese musulmano. Padre Mario dice ai suoi poveri: "Vedete, anche il Papa ha voluto essere vicino al nostro dolore".
Un rintocco per P. Mario
Quello che non fa la natura lo fanno gli uomini. Dopo la caduta del presidente Ayub Khan, il 25 marzo 1969, sale al potere un altro generale, Mohammed Yahya Khan che promette le elezioni. Si tengono nel dicembre del 1970. Nel Pakistan Occidentale vince il partito di Ali' Bhutto, socialista filo-cinese e nemico dell'India; nel Pakistan Orientale la spunta lo sceicco Mujibur Rahman, filo-occidentale e fautore dell'autonomia bengalese. In base ai voti, quest'ultimo dovrebbe diventare il nuovo Presidente. Ma Yahya Khan eBhutto prendono tempo, non vogliono cedere il potere. Scoppia la rivolta del popolo bengalese contro l'esercito pakistano. E scorre il sangue. I soldati fanno strage di uomini, donne, bambini. I morti saranno centinaia di migliaia, quasi dieci milioni i profughi in India. Alla fine la ribellione verra' sedata. Il Pakistan Orientale dovra' ancora attendere fino al 16 dicembre del '71: quel giorno - che viene ricordato come il giorno della vittoria - nascera' la repubblica del Bangladesh e Mujibur Rahman ne sara' il primo ministro.
Quella campana fatta di cannoni
Tra le vittime di quella guerra civile c'e' padre Mario Veronesi. Accade il 4 aprile 1971, domenica delle Palme, nella missione di Jessore. Lui e' li' che aiuta come puo' quella povera gente sofferente. Arrivano dei soldati. Se li trova davanti, spalanca le braccia. Una pallottola lo colpisce al petto. Cade riverso nel suo sangue, le braccia aperte, come Cristo in croce. Se ne va cosi', all'inizio della settimana santa. Crocifisso per i suoi poveri. Ha 58 anni, 28 di vita religiosa, 19 di missione in Bangladesh. E li' restera' per sempre. Sepolto dapprima a Jessore, poi davanti alla chiesa di Shimulia, accanto a padre Valeriano Cobbe, caduto a sua volta, tre anni dopo.
Scrivera' a padre Cobbe lo studente musulmano Ismail Hossain, alcuni mesi dopo la morte di padre Veronesi e l'indipendenza del Bangladesh: "Finalmente siamo liberi ed indipendenti! In questo felice momento ringraziamo Dio e lo preghiamo che faccia progredire la nostra nazione e ci faccia vivere tranquilli. Il nostro piu' grande dolore, la cosa piu' triste, e' il ricordo di tante vittime! Forse il meglio della nostra societa'. Tra questi martiri della nostra indipendenza, primo fra tutti nella nostra area, e' certamente il padre Mario Veronesi. Ti assicuro che ci sentiamo molto fieri di lui. Abbiamo pagato un caro prezzo per la nostra indipendenza!".
Racconta il saveriano padre Augusto Luca: "Alla fine di maggio del 1971 mi recai con un gruppo di missionari in visita al Papa. Quando Paolo VI giunse presso di me, sentendo che ero saveriano, mi disse con un sospiro: Ah, padre Veronesi! Come e' stato? Lo hanno ucciso apposta? Io risposi che era stato vittima della guerra. Ed egli soggiunse parole di condoglianza e di conforto. Mi sorprese e mi commosse il fatto che il Papa ricordasse il nome del nostro martire, travolto nella tragedia del Bangladesh, e se ne mostrasse cosi' colpito".
Cosi' e' vissuto ed e' morto Mario Veronesi, figlio delle montagne del Trentino e buon samaritano all'altro capo del mondo, nel "Bengala dorato" e insanguinato. Ogni sera, nella sua citta', Rovereto, si odono i rintocchi della grande campana della pace. Ricorda i caduti di tutte le guerre. Un rintocco e' per Mario Veronesi, caduto in una guerra mai dichiarata ne' combattuta. Crocifisso per amore.
Autore: Renzo Agasso
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