Il secondo personaggio di nome Enoch nell'Antico Testamento è, in Genesi 5,21-23, il sesto discendente di Adamo lungo la linea di Seth (la cosiddetta "grande genealogia dei Setiti" nel capitolo 5 della Genesi). Figlio di Iared, genera a sua volta Matusalemme, il nonno di Noè. Particolare la sua fine: "Enoch visse in tutto 365 anni, e camminò con Dio, poi non fu più veduto, perché Iddio lo prese". Questo enigmatico versetto ha fatto nascere la tradizione secondo cui egli sarebbe stato rapito in Cielo come il profeta Elia. "Enoch piacque al Signore e fu rapito, esempio istruttivo per tutte le generazioni", dice infatti di lui Siracide 44,16). Così lo si ritrova anche nel Nuovo Testamento: "Per fede Enoch fu trasportato via, in modo da non vedere la morte; e non lo si trovò più, perché Dio lo aveva portato via. Prima infatti di essere trasportato via, ricevette la testimonianza di essere stato gradito a Dio" (Ebrei 11,5). Il fatto che Enoch sia stato "rapito in Cielo" nel 365° anno della sua vita ha fatto pensare ad alcuni che la sua figura rappresenti la trasformazione in personaggio biblico di un'antica divinità solare (l'anno solare è composto di 365 giorni).
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Figlio di Iared, settimo da Adamo, «visse in tutto trecentosessantacinque anni e camminò in Dio, e non è più, perché se lo tolse Iddio». Làqah, «prendere», è lo stesso verbo adoperato per la morte di Elia che esprime altrove sempre l’intervento di Dio nella morte del giusto. La lode «camminò pio» è attribuita, tra i patriarchi, soltanto ad Enoch e a Noè. L'Eccli. 45, 16 riprende tale lode: «Enoch camminò con Dio e fu rapito, esempio istruttivo per tutte le generazioni», completata e commentata da Sap. 4, 10-14: «Resosi caro a Dio, fu da lui amato, e vivendo tra peccatori, fu trasferito.
Fu sottratto perché la malizia non mutasse i sentimenti di lui...».
San Paolo celebra la fede di Enoch e san Giuda, gli attribuisce il dono della profezia contro gli empi e i malvagi.
La tradizione post-biblica si è abbandonata a ricami sugli scarsi testi citati, con applicazioni sovente contraddittorie. Negli scrittori anonimi delle apocalissi apocrife, che vanno sotto il suo nome, Enoch divenne una specie di mago e di indovino dei misteri della terra e del cielo e delle sorti future, finché nel tardo rabbinismo si arrivò a farne un peccatore. Nella Volgata, si legge: «translatus est in paradisus», il corsivo è un’aggiunta non presente nel testo originale che molti pertanto hanno inteso come riferentesi non alla pia morte, ma ad una traslazione di Enoch vivo nel paradiso terrestre. Alcuni antichi spiegarono che Enoch ed Elia (anch’esso assunto in cielo) avrebbero dovuto lottare con l’Anticristo, sicché si incominciò a parlare del loro ritorno alla fine dei tempi e della loro morte nella lotta contro l’Anticristo.
Distinta dagli apocrifi di Enoch, un’opera in latino, ora perduta, ma le cui tracce M. Esposito ha riscontrato nel Pantheon di Goffredo di Viterbo (m. 1191), raccoglie molte notizie favolose sul soggiorno di Enoch ed Elia nel paradiso terrestre.
Nelle credenze musulmane, Enoch viene ravvisato nel misterioso personaggio Idris, di cui è menzione due volte nel Corano, con un’identificazione che poggia sui dati leggendari della letteratura biblica apocrifa e rabbinica.
Enoch è talvolta posto tra i ventiquattro seniores dell’Apocalisse. La chiesa copta celebra la sua festa al 22 gennaio e la sua assunzione il 19 luglio (Ufficio pieno); in alcuni menologi siriaci è commemorato al martedì dopo Pasqua e al 7 luglio.
Autore: Francesco Spadafora
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