La Vita
Georgij Vasilievič Govorov nacque il 10 gennaio 1815 a Cernavsk nella provincia di Orel da una madre piissima che l'educò fino dai primi anni alla pietà. Passò dalla scuola ecclesiastica al seminario, dal seminario alla celebre accademia ecclesiastica di Kiev. In questi anni più viva sentì nel cuore la chiamata di Dio alla solitudine e alla clausura. Si fece monaco e cambiò il suo nome in quello di Teofane nel 1841. Fu ordinato sacerdote ed ebbe subito incarichi ed uffici di grave e delicata responsabilità che lo preparavano e preludevano la dignità episcopale alla quale doveva essere elevato più tardi. Fu, prima, ispettore della scuola ecclesiastica, nel 1857 rettore della scuola ecclesiastica di Pietroburgo. Fondamento dell'educazione era per lui l'amore; i mezzi: la Chiesa e i sacramenti. Teofane fu un grande educatore e seppe farsi amare; d'altra parte egli sentiva profondamente la bellezza della sua missione. L'educazione, di tutte le opere sante, è la più santa – diceva. Fu pellegrino a Gerusalemme ove rimase per qualche tempo incaricato del servizio spirituale dei russi, che affluivano numerosi a venerare i luoghi santi. Fu elevato all'episcopato nel 1859 e fu vescovo di Vladimir per tre anni e di Tambov per quattro. Fu vero pastore di anime in mezzo a un popolo quasi pagano, sommamente ignorante di Dio. Di esempio al suo clero si dedicò con tutta l'anima all'apostolato e specialmente alla predicazione. Semplice nella sua vita privata, alternava lo studio alla preghiera; per riposo lavorava al tavolo di falegname o al tornio, sommamente godeva di contemplare col telescopio il cielo stellato. Nella sua vita di vescovo, curò di rendere sempre più familiari e intimi i suoi rapporti coi fedeli, non voleva che alcun ostacolo impedisse al popolo di giungere a lui: egli stesso godeva di stare in mezzo ai fedeli e li amava con dedizione totale e paterna.
Sempre amabile e delicato credeva facilmente negli uomini, anche se spesso, facendolo molto soffrire, non rispondevano alla sua fiducia o, peggio, se ne valevano contro di lui. La sua carità rifulse in modo mirabile a Tambov nel 1860, allorché una terribile siccità rese particolarmente difficile la vita dei suoi figli più poveri.. Egli li assisteva, li aiutava come poteva, personalmente; li confortava. E quando terribili incendi devastando i quartieri popolari ebbero ridotto in cenere gran parte di case della sua città, Teofane aprì l'episcopio, donando nella sua casa, che diveniva così veramente la casa dei figli, un ricovero ai senza tetto, un asilo per tutti. Certo non poté rimanere nascosto il contrasto fra questo vescovo, così nuovo e strano, e gli altri suoi confratelli nell'episcopato, piuttosto grandi dignitari e funzionari di Stato che veri uomini di Chiesa e pastori di anime. Ma se fu notato, fu tutto a suo di-sfavore.
D'altra parte l'amore suo verso i fedeli e l'amore delle anime sinceramente pie e dei poveri per lui non valsero a soffocare l'aspirazione alla solitudine, che fino dalla giovinezza così imperiosa-mente l'aveva tratto nel chiostro. Nel 1866 rinunziò all'episcopato per la solitudine di Vyscen, contento di dedicarsi interamente alla preghiera, di servire la Chiesa con lo studio e gli scritti e di aiutare ancora le anime con la corrispondenza epistolare. Visse recluso in questo deserto monastico fino alla morte nel 1894, rinnovando l'esempio di un altro grande vescovo del secolo decimottavo: Tichon di Voronej poi recluso a Sadonsk. Gli ultimi ventidue anni cessò ogni rapporto col mondo, non vide né parlò più con alcuno pur continuando la corrispondenza. Non fu mai tuttavia un puro mistico perduto completamente in Dio: la preghiera non lo assorbì mai così da renderlo estraneo al mondo, insensibile alle sventure degli uomini e ai loro bisogni. Partecipava anzi intimamente, con affetto, alle loro gioie e ai loro dolori, come anche sentiva il bisogno di tenersi al corrente della scienza umana e dei suoi progressi. La cella rivelava il suo vivo interesse per tutti i rami del sapere: lo studio era letteralmente pieno di libri di ogni argomento, in tutte le lingue, era ingombro delle cose più disparate e strane in un monaco: tavolo da falegname, tornio, telescopio, tavolozza da pittore, macchina fotografica... Tanto la sua figura che la sua cella richiamano vivamente la figura del vescovo Tichon nei «Dèmoni» di Dostojewskij : le coincidenze non possono essere fortuite e casuali. Quando Dostojewskij scrisse il romanzo, Teofane era da circa sei anni nel monastero; e proprio dal tempo della pubblicazione del romanzo, Teofane troncò ogni contatto col mondo esterno e non si fece più vedere da alcuno. Il capitolo «Da Tichon» non poté essere stampato, allora: il direttore della rivista che pubblicava a puntate il romanzo, lo scartò: l'unica ragione chiara del fatto non può essere che l'evidente allusione a Teofane.
Dice Dostojewskij: «Stavroghin aveva, saputo cha egli – Tichon – abitava nel monastero già da un sei anni e che venivano da lui sia i popolani più umili come le persone più eminenti; che perfino nella lontana Pietroburgo egli aveva ferventi estimatori e soprattutto estimatrici». Dopo aver ricordato proprio Pietroburgo dove Teofano aveva vissuto e lasciato tanto ricordo di sé, Dostojewskij ripete anche l'accusa che si faceva a Teofane. «I monaci dicevano di Tichon che era stato incapace per debolezza di carattere o per una noncuranza incompatibile con la sua ,dignità, di ispirare il rispetto che gli era dovuto». Ma Tichon non si rimprovera di questo come di un difetto. «Ho il gran torto, egli dice, di non sapermi avvicinare agli uomini. Ho sempre sentito in questo il mio più grande difetto». Egli vuole ancor più avvicinarsi agli uomini, distruggere tutte le distanze: non cura la sua dignità, non la conosce neppure. Era questa l'umiltà di Teofane, la sua accessibilità un po' strana e incompresa da tutti.
Tuttavia Tichon di Dostojewskij se ha molte somiglianze esteriori con Teofane, dissente intimamente da lui. Il Cristianesimo profetico di Dostojewskij non poteva identificarsi col Cristianesimo patristico dell'eremita di Vyscen: Dostojewskij è volto all'avvenire, la religione di Teofane è statica e tradizionale. Egli è certamente «uno dei più autorevoli scrittori ascetici ortodossi» ma la dottrina sull'uomo e sul cammino spirituale dell'uomo che egli insegnava, più che essere la testimonianza originale di una grande anima cristiana, ripete l'insegnamento tradizionale dei Padri e dei Maestri della Chiesa. Dostojewskij cerca di far accettare la sua concezione cristiana, la sua esperienza spirituale come concezione ed esperienza riconosciute dalla Chiesa presentandole sotto i nomi venerati di Teofane nei «Dèmoni» e di Serafino nei «Karamazov», ma il suo Cristianesimo abissale e profetico, è come una rivelazione nuova nel mondo cristiano. Anche se Dostojewskij è – come vogliono alcuni – una delle più grandi anime che abbia avuto il Cristianesimo, la sua testimonianza non potrebbe essere invocata dalla Chiesa ortodossa; in effetti non fu accettata dai monaci di Optina. Egli appartiene al Cristianesimo futuro che ha già superato la divisione di orientale e occidentale in una ecumenicità che non è soltanto giuridica o invisibile ma carismatica eppur visibilmente concreta. Teofane no; egli appartiene totalmente alla Chiesa orientale, al Cristianesimo monastico russo per la sua vita di recluso e anche per la sua spiritualità.
Celebrava ogni giorno la sacra liturgia e pregava intensamente: dopo la preghiera, il lavoro che occupava più il suo tempo, era la corrispondenza. Arrivava ogni giorno un gran numero di lettere al monastero – dalle trenta alle quaranta –: egli rispondeva a tutti, prontamente, non lasciando senza risposta nemmeno la lettera più insignificante. Rispondeva con cura, senza fretta, con interesse sincero e vivo. Con la sua corrispondenza, Teofane l'eremita ci ha lasciato il documento più ampio e più bello della direzione spirituale degli startzi; in un linguaggio piano eppur saporoso, ha sminuzzato la dottrina spirituale dell'Oriente rendendola accessibile a tutte le anime con la praticità dei consigli sempre adatti ai bisogni di tutti. Non cessò di lavorare e di scrivere finché glielo permise la salute mai troppo valida, ora minata e corrosa anche più dalla austerità e dall'ascesi. Negli ultimi anni fu molto infermo e divenne quasi cieco. Non si lamentò mai. Morì il 16 gennaio 1894 placidamente, con la preghiera sul labbro. Rimase esposto sei giorni senza dar segno di corruzione. Le opere sue più importanti sono, oltre la corrispondenza, vari libri di esegesi sulle lettere di S. Paolo e sui salmi, gli schemi delle sue prediche, «La via alla salvezza» e «Che cos'è la vita spirituale».
La dottrina
Egli occupa nella Chiesa russa ortodossa quasi il medesimo posto che ha, nella Chiesa cattolica, S. Francesco di Sales: è il dottore e il maestro per eccellenza della vita spirituale. Come quello del vescovo di Ginevra l'indirizzo di Teofane il recluso è più ascetico che mistico. Certo non può avere l'autorità che dà al Salesio una santità eminente., universalmente riconosciuta, già sanzionata dalla canonizzazione ecclesiastica, e una esperienza singolarissima della, vita mistica.
Teofano tuttavia può in qualche modo coprire queste sue deficienze col prestigio di una grande dottrina. È il teologo più rinomato, insieme a Filarete di Mosca, di tutto il secolo XIX e la sua parola ha un'autorità universalmente riconosciuta. Come S. Francesco di Sales con la «Filotea» e col «Teotimo», egli ci ha dato ne «La via alla salvezza» un direttorio ascetico e mistico di grande valore, che accompagna il peccatore dal primo svegliarsi della coscienza al fastigio della perfezione cristiana. Come S. Francesco di Sales, egli dà grande importanza, in questo cammino dell'anima, ai sacramenti: la sua è una mistica sacramentale. La confessione e la comunione eucaristica sono i mezzi fondamentali per raggiungere la perfezione, la comunione anzi è il tipo di questa perfezione soprannaturale che consiste nel Regno di Dio in noi. Come S. Francesco di Sales, Teofane dà grande importanza alle giaculatorie, che egli tuttavia non conosce con tale nome: queste brevi preghiere hanno per fine di non lasciar spengere nel cuore il fuoco della carità e di lentamente penetrare tutta la giornata e trasformarla in continua preghiera. Soprattutto come S. Francesco di Sales, Teofane l'eremita vuole la santificazione della vita secolare, estende ai mercanti, ai padri di famiglia, agli impiegati dello Stato, l'invito alla perfezione cristiana. «Abbandonare il mondo – egli scrive – significa abbandonare tutto ciò che è carne, vanità, peccato. Non significa affatto fuggire la famiglia o la società, ma fuggire i costumi, le abitudini, le esigenze contrarie allo Spirito di Cristo».
Teofane è tuttavia molto meno umanista di S. Francesco di Sales; ha un accento più pessimistico, insiste più sulla morte, sul timore, sullo spirito di distacco. Se non è più austero e più duro, è tuttavia meno inebriante. Il suo linguaggio, quando si dirige direttamente alle anime, ha una umile semplicità che commuove e persuade; non esalta il sentimento, lo placa. L'anima sotto la sua direzione, cresce solo nell'umiltà, nell'umile abbandono.
Teofane il recluso non si fa illusioni sugli uomini: la sua esperienza pastorale gli ha insegnato che una profonda vita cristiana è quasi sempre frutto di una intima conversione a Dio, di un ritorno. «Il battesimo è il principio della vita cristiana, ma siccome pochissimi sono coloro che mantengono la grazia divina ricevuta nel battesimo, la penitenza è divenuta la sorgente pressoché universale di una vera vita cristiana». Secondo la dottrina ascetica antica, cui rimane fedele anche Dante nella Commedia, lo staretz ci ricorda che «la Parola divina rappresenta di solito il peccatore come uno che è preso da profondo sonno. Il segno caratteristico di questa immersione nel sonno – egli soggiunge – non è sempre nella depravazione, è piuttosto – come ci fa intendere il Vangelo – nelle preoccupazioni eccessive della vita terrena che non lasciano posto al pensiero della propria salvezza». L'uomo è assente alle cose divine, come non fossero e l'anima vive unicamente per la vita presente, sollecita soltanto delle cose di quaggiù. Non può risvegliarsi da questo sonno spirituale se non per grazia di Dio. «Il risveglio del peccatore da questo accecamento o sonno spirituale è dovuto unicamente alla grazia divina che tocca il suo cuore, gli fa vedere il suo stato deplorevole, gli fa sentire il pericolo in cui si trova».
«Nella parabola del Figliol prodigo i rispettivi momenti di questo risveglio sono così segnati: 1) il ritorno del peccatore in se stesso; 2) la decisione di lasciare la sua vita peccaminosa; 3) il pentimento del peccatore.
1) Allora rientrato in se stesso disse...: 2) Mi leverò e andrò dal padre mio; 3) gli dirò: Padre, ho peccato... E il padre allora lo riveste di nuovo vestito, donandogli la grazia ch'è la veste spirituale dell'anima e gli prepara la cena nell'Eucarestia». I tre stadi della vita spirituale sono per lui l'invocazione a Dio, la purificazione, la santificazione dell'anima. Per colui che intraprende il suo cammino verso Dio è necessario un grande coraggio.
«La vita cristiana fino dai primi suoi passi si scontra con ostacoli di varia natura e quanto più si avanza tanto più essi sono numerosi. Chiunque entra in questa via deve armarsi di fermo coraggio per avanzare perchè la lotta e gli ostacoli che l'attendono non lo rigettino indietro». Quello che è soprattutto necessario è non lasciarsi mai prendere dallo scoraggiamento.; nulla è più pericoloso. «Il combattimento spirituale non deve mai essere interrotto, bisogna riprenderlo senza mai riposo. Tu sei caduto? non disperarti. Rialzati col fermo proposito di non più cadere e riprendi coraggiosamente la lotta».
Tutto dipende dalla libera decisione dell'uomo: Dio stesso aspetta questa decisione perchè la grazia divina non costringe minimamente la volontà dell'uomo, ma acquista la sua efficacia dal libero assentimento della volontà. Le espressioni di Teofane non sono invero troppo precise a volte per la teologia occidentale tanto esercitata nella controversia della grazia, ma non dobbiamo essere molto severi con lui. In generale la teologia orientale della grazia ha un valore più direttamente pedagogico e ascetico che scientifico, per questo gli orientali insistono molto sulla libertà umana e danno gran peso alla libera decisione dell'uomo nell'opera della sua giustificazione. Sarebbe tuttavia ingiusto accusarli di pelagianismo. «Dal momento in cui la grazia divina tocca il suo cuore, il peccatore si trova in uno stato fra il peccato e la virtù. A lui spetta adesso la scelta decisiva perchè come dice S. Macario d'Egitto: la grazia divina non costringe minimamente la sua volontà per farlo immutabile nel bene, ma dà posto alla libertà per vedere se la volontà dell'uomo è conforme o no alla grazia divina. Da questa decisione ha inizio la unione della grazia con la volontà umana. Per se stesso l'uomo non può fare alcun bene. Tutto consiste dunque – conclude Teofane – nella ferma decisione del peccatore». È certo ad ogni modo che se l'uomo non può, come dice S. Paolo e insegna la dottrina cattolica, neppure volere il bene senza la grazia, ciò in definitiva si deve al fatto che la libertà dell'uomo rimane incomprensibile pensandola come un potere di indipendenza da Dio. Io non posso volere il bene senza Dio, perchè senza Dio nemmeno posso volere: è Lui che crea e fa la mia libertà. L'uomo può volere il male soltanto, perchè volendo il male nega la sua libertà e si fa schiavo – l'uomo che vuole il male più propriamente «non» vuole.
Tuttavia laborioso è questo ritorno dell'uomo a Dio: avanti che la grazia divina vinca il peccato, trionfi di tutte le resistenze e si inizi per il peccatore la nuova vita, quanti sforzi si debbono fare! Anche queste parole di Teofane prese nel loro significato immediato non potrebbero approvarsi: anche nei suoi primi movimenti verso Dio, è la grazia che sollecita l'uomo e intimamente lo spinge. Non è certo l'uomo che per primo si muove: Dio rimane sempre il primo ad amarci. Egli ci ha amato per primo, ci ha detto S. Giovanni l'Apostolo. La grazia precede la volontà, l'uomo è debitore alla grazia divina di tutta la sua vita spirituale. Ma le parole di Teofane di Tambov vogliono esortare il peccatore, consigliarlo e aiutarlo nei suoi primi movimenti verso Dio, quando dopo aver ascoltata la sua voce misteriosa e segreta nel cuore, si accinge a rispondere. «Bisogna sapere, egli scrive, che la grazia divina non sempre viene immediatamente in aiuto: testimone ne è il Beato Agostino che tanto ha penato e solo quando venne la grazia divina vinse il peccato. E tu pure bussa alle varie porte della Misericordia divina, e ti sarà aperto. Ma mettici tutto il tuo fervore: frequenta la Chiesa, leggi la Parola divina, aiuta quanto puoi gli infelici, prega, bussa e la grazia divina vedendo il tuo fervore scenderà nel tuo cuore e metterà così principio alla nuova vita. Per sentimento-base abbi sempre presente la tua nullità. Quando questo sentimento sarà divenuto la tua seconda natura, allora comincerai l'ascensione». Del resto molti testi luminosi di Teofane insegnano la necessità della grazia per ogni opera salutare. Anzi esplicitamente egli afferma l'impotenza assoluta dell'uomo nell'opera della sua propria salvezza. In Cristo soltanto è tutta la potenza dell'uomo, la sua salvezza, la sua santità. «Questi due punti – dice egregiamente a proposito della dottrina di Teofane, Arsenjew – esigenza di una attività spirituale estrema, di una lotta costante e coraggiosa e convinzione fondamentale che la salvezza non è che in Lui solo, nel Signore Cristo Gesù, così che senza di Lui noi di nulla siamo capaci, non si escludono in nessun modo. Si condizionano piuttosto reciprocamente. Queste disposizioni crescono, ingrandiscono insieme fino alla sintesi vivente della vita in Cristo». Questa è la vera, la pura dottrina cattolica; ed è bello che proprio il dottore più autorevole della spiritualità russa sia così vicino a noi, parli il nostro stesso linguaggio. Questo ci richiama a una più rispettosa e favorevole attenzione anche nell'esame di testi che potrebbero turbarci a una prima lettura. «La nostra salvezza è tutta nelle mani del Signore – dice il recluso di Vischen – ed Egli salva tutti coloro che vengono a Lui. Solo sfuggono alla salvezza coloro che vogliono salvarsi da, se stessi». «L'aiuto di Dio è sempre pronto e vicino ma viene concesso a coloro che lo cercano e si adoperano per ottenerlo, e soltanto quando questi hanno esaurito tutti i loro mezzi e l'invocano di vero cuore, l'avranno. Fintanto che rimane anche la più piccola fiducia nelle nostre risorse, il Signore non interviene, come se Egli dicesse: Tu speri di arrivare da te? Bene, aspetta un poco... Ma aspetta pur quanto vuoi, non ne verrà fuori nulla». E con un linguaggio saporoso e vivo che ricorda S. Francesco di Sales, Teofane scrive: «Chiunque tende alla vita spirituale non può dire mai: io farò questo, arriverò a quest'altro. Sforzati di bussare senza riposo, come il pesce con la coda picchia sul ghiaccio che lo imprigiona. Ma tu riceverai quello che piace al Signore di donarti e quando a Lui piacerà». L'ascensione dell'anima dipende così dall'abbandono pieno dell'anima a Dio che si traduce in una aspirazione a Lui che si fa man mano più imperiosa, più esigente, più viva. L'anima deve bussare, perchè sa che tutto dipende per lei dalla grazia divina. Bussare, cercare Dio, aspirare a Lui.
«Da principio questa aspirazione è solo ricercata, ma poco a poco diviene reale, viva, spontanea, dolce, irresistibile. Una simile aspirazione ci assicura che siamo veramente in cammino verso Dio, in modo che troveremo pace e gioia nello Spirito Santo». Come i più grandi mistici cattolici, Teofane vede il fastigio della vita mistica nell'abbandono perfetto dell'anima in Dio: al sommo dell'unione è il fiore dell'abbandono, o piuttosto l'abbandono è condizione di unione e misura la sua intimità, perchè l'unione si compie nel far vivere in sé puramente la Volontà stessa di Dio. «Condizione essenziale per non retrocedere nel cammino è l'abbandono completo di se stessi nelle mani di Dio: la rinuncia cioè alla propria, volontà perché agisca per mezzo nostro la Volontà divina». Lo staretz ricorda le parole del grande Serafino di Sarov: «Quando Motovilov volle ringraziare Serafino della guarigione, egli rispose: - Non è opera di Serafino il punire o guarire, far discendere all'inferno o risalire, ma dell'Unico Dio. A Lui rendi grazia. Io, povero Serafino, ho rimesso la mia volontà nelle Sue mani: come Lui vuole, io faccio». Nell'uomo è Dio stesso che vive e agisce. Eppure questa passività non esclude la libertà dell'uomo; è anzi la suprema attività dello Spirito, come ben comprende Teofane. «La libertà non viene annullata, egli scrive, ma persiste – poiché la rinunzia alla propria volontà è un atto che sempre si rinnova e si ripete continuamente». Il vertice della vita spirituale è questa vita di Dio nell'uomo, questa morte dell'uomo in Dio. La più alta santità è umiltà senza fondo: un perder se stessi in Dio, un eclissarsi nella luce divina. Nella insistenza di Teofane sulla umiltà si ha la testimonianza preziosa che egli aveva conosciuto veramente quella umiltà incontenibile che accompagna sempre ed è il segno più caratteristico delle più sublimi esperienze spirituali. «In questo consiste la vita dello Spirito, vera, divina. Questa è l'unione viva, la vita in Dio... Il tratto caratteristico è il seguente: più alto uno sale, più forte sente la propria nullità. Nulla di più nocivo che il pensiero: sono arrivato, passo riposarmi. Se uno permane in questo pensiero orgoglioso cadrà indubbiamente, come uno che si trova a una certa altezza e si volge a guardar giù, è preso dal capogiro e precipita. L'ascensione dunque deve sempre essere accompagnata da estrema umiltà. Un ideale alto dobbiamo raggiungere: Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre che sta nei cieli... Tutte le regole, i consigli, le preghiere non sono che un aiuto per facilitare la penosa ma beata salita verso la cima dove l'anima trova l'unione con Dio. Ciò che l'anima vi sente non può esser spiegato perchè è nascosto, come Mosè, dietro alle nubi. Ma Gesù lo ha definito, dicendo: «In voi è il Regno di Dio». La rappresentazione della vita spirituale come un'ascesa è comune a tutto il Cristianesimo: basti pensare alla «Scala del Paradiso» di S. Giovanni Climaco e alla «Salita del Monte Carmelo» di S. Giovanni della Croce. Ma la dottrina spirituale dell'Oriente vide, già da S. Gregorio il Nisseno e dallo pseudo-Dionigi, più particolarmente nell'ascesa di Mosè sul monte Sinai il tipo dell'ascesa spirituale dell'uomo che si incontra con Dio. Teofane vi è rimasto fedele.
Consigli pratici
Nei suoi consigli pratici lo staretz si rivela di una sapienza e di una discrezione che giustifica pienamente l'onore in cui è tenuto dai russi questo maestro di vita spirituale. Egli vuole che l'anima che ha commesso un peccato si affretti a purificarsi e a risorgere mediante il sacramento della penitenza: l'anima non deve riposare nel male. «Ogni peccato che pesa sulla coscienza bisogna affrettarsi a cancellarlo con la confessione. Sarebbe bene non por-tarlo nell'anima neanche un giorno, perchè il peccato allontana la grazia divina, toglie. lo slancio, rende difficile la preghiera, raffredda l'anima». Vuole che il cristiano si abitui ogni sera a fare l'esame di coscienza e confessi con umiltà a Dio tutto quello che nella giornata ha compiuto di non conforme alla sua Volontà, per poi coricarsi pronto a presentarsi al giudizio divino. Consiglia, anzi, che vivendo in una continua ma dolce vigilanza sopra di sé, l'anima confessi subito a Dio ogni perverso pensiero o atto con umile sentimento di compunzione interiore, invocandone il perdono. La spiritualità di Teofane, pur non essendo austera, conserva tuttavia un accento di serietà meditata e conosce le esigenze della mortificazione e della croce. «La morte pone fine a tutto: non cessar di pensarvi» ti dice, con solennità pacata ma forte. Bisogna che l'anima abbia sempre davanti i novissimi: la morte, il giudizio, l'inferno, il paradiso. Vuole la sobrietà nel mangiare e nel bere, vuole che l'anima coltivi il silenzio. «Devi trattare il tuo corpo come la matrigna tratta il figliastro». Esige il distacco interiore da tutto: «Fa esperienza di non dare alcun valore a tutto quello che ti circonda. Così se qualcosa ti è tolto, non ti rattristare per questo». Predilige e raccomanda l'umiltà e la pazienza, rappresentando per lui «il vestimento divino» che l'anima deve sempre portare. In questa spiritualità di positivo sembra che rimanga solo l'aspirazione a Dio: un'aspirazione che lentamente invade tutta la vita, la riempie, e trasforma poi la vita stessa in una continua preghiera. La preghiera sembra essere per Teofane il dovere fondamentale del cristiano, ma essa non consiste nelle parole quanto piuttosto in un sentimento di attenzione a Dio: è questo sentimento della presenza divina che dobbiamo procurare in ogni modo di conservare in noi. «La, cosa più importante è che tu cammini alla presenza di Dio o sotto il suo sguardo, col sentimento che Dio ha i suoi occhi su di te e penetra la tua anima, il tuo cuore. Questo sentimento è la leva più potente per promuovere la vita interiore».
Tutta la semplicità e l'umiltà pura dell'insegnamento di Teofane il recluso si esprime in queste parole piane eppur dolci «Il frutto più grande della preghiera non è il fervore o l'interiore dolcezza, ma il timore di Dio e la contrizione. Questo sentimento dobbiamo conservare sempre desto nel cuore, in esso vivere, respirare».
Nella Dobrotoliubie è il segreto della perpetua preghiera: «Siediti silenzioso e solitario, china la testa e non volgere lo sguardo; respira più dolcemente, ritorna in te medesimo e raccogli il tuo pensiero nel cuore. E a ciascuna respirazione, movendo dolcemente le labbra o soltanto nel tuo spirito, ripeti: Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me. Sforzati di allontanare ogni altro pensiero, conserva una calma paziente e ripeti questo esercizio». Il metodo in verità appartiene alla migliore tradizione spirituale russa; importato dal Monte Athos, fu divulgato e reso popolare dal più grande monaco del sec. XV, Nilo di Sora. Da allora l'invocazione di Gesù è stata la preghiera per eccellenza. Teofane il recluso, quando parla della perpetua preghiera, vuol parlare di questa invocazione che «è più potente di tutte per il nome di Gesù Cristo che si pronuncia con fede». Più ancora però che la fedeltà alle parole è importante per Teofane la calma, l'assorbimento dell'anima nella pace e nel silenzio. «La cosa più importante è di stare davanti a Dio e invocarlo dalla profondità del cuore. Così debbono fare tutti coloro che cercano il fuoco della grazia: quanto alle parole o alla posizione del corpo durante l'orazione sono cose secondarie. Dio guarda il cuore». L'anima deve pregare senza affrettarsi, lasciarsi assorbire dal sentimento intimo della presenza divina e procurare di non perdere, nemmeno attraverso le occupazioni della giornata il contatto con Dio. «In questo si può riassumere tutta la dottrina della preghiera: avere il sentimento continuo di Dio e rivolgersi a Lui con brevi preghiere; questo è camminare alla presenza di Dio». «Abbi sempre un piccolo manuale con la benedizione del tuo Padre spirituale, breve, che tu possa leggere ogni giorno, senza affrettarti. Entra nello spirito di queste preghiere in modo che quando stai pregando, le parole ti siano già familiari e il sentimento così sarà più intimo... Quando ti distrarrai ritorna dolcemente... Non andare oltre neppure di una parola fintanto non sei entrato nello spirito della preghiera... Se una parola ti commuove non andare oltre, soffermati...». La preghiera è assaporare lungamente, in pacato abbandono alla grazia, il sentimento della presenza divina: più che un atto è quasi unto stato. Teofane infatti lo chiama «stato benedetto»: è la resa umile dell'uomo a una luce che tutto lo penetra pacificamente, con grande dolcezza.
Quelle brevi invocazioni, che lo staretz tanto raccomanda, non hanno altro scopo che di riaccendere il fervore sopito, alimentare la lampada dell'amore. «Ti è accaduto senz'altro di pregare alcuna volta con sentimento di spontanea dolcezza; ricordati quello che avvenne nell'anima tua e procura di riprodurlo». «Fa in modo che gli intervalli fra la preghiera diminuiscano, così da aver sempre un continuo sentimento di preghiera nel cuore». Quando l'anima possederà «il sentimento continuo di Dio e si rivolgerà ovunque con brevi preghiere al suo Dio», l'anima avrà conseguito il suo scopo e camminerà nella luce. «Come da un calice troppo pieno l'acqua trabocca, così da un cuore pieno di sentimento santo, per mezzo della preghiera, si effonderà la lode». Allora le tentazioni non turberanno più l'anima: «quando i ladri si avvicinano per rubare e sentono qualche rumore temono di entrare in casa, così i demoni quando sentono il mormorio di una continua preghiera nel cuore». Allora l'anima possederà la pace; allora la preghiera sarà accompagnata da tutte le opere di virtù: dalla umiltà, dalla mansuetudine, dalla carità...
Tutta 1a sua vita è ora limpida e pura: «il sentimento di una continua preghiera è come il murmure di un placido rivo...». Sì, perchè la vita di un'anima pia che viva nella luce di Dio è vita di angelo sopra la terra. E Teofane ti dice: «Fino dal mattino sii un serafino nella preghiera, un cherubino negli atti, nelle tue relazioni col prossimo quasi un angelo». Teofane di Tambov non è un, grande mistico, è tuttavia un grande maestro di vita spirituale. Non conosce le più alte esperienze: l'anima sua vive, nel presentimento della luce, l'alba della vita mistica. È la guida che conduce l'anima fino al divino silenzio e insegna la divina semplicità della vita interiore. Se ascolti la sua parola, egli disporrà la tua anima a ricevere il dono di Dio; ma quando Dio ti parlerà – quando l'infinito Amore entrerà in te come fiumana che tutto sommerge, come fiamma divorante che tutto consuma, allora ti conviene dimenticare la guida, lasciarla. L'umiltà della sua parola, la saggezza discreta del suo insegnamento avrà perduto per te ogni valore, ogni peso. La sua saggezza, la sua umiltà non conosce l'orrore e il terrore della tempesta, il suo lampeggiare che abbaglia ed acceca – la furia, la violenza, la follia dell'Amore divino.
Autore: Divo Barsotti
Fonte:
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