Un distinto signore, dal volto serio e sereno, dal tratto mite e gentile... Lo vedevano così quelli che lo incontravano ogni mattina, nell’ambiente di lavoro, per le vie di Torino, in chiesa davanti all’altare. E con questo stile, il dottor Carlo Demaria riusciva ad avvicinare chiunque.
Una vita in salita Era nato a Torino l’11 giugno 1901 (coetaneo di Pier Giorgio Frassati, nella stessa città subalpina) e suo padre Luigi è un illustre latinista che insegna lettere in Seminario e fa il giornalista presso i più noti periodici cattolici. Sua madre si chiama Ezilda Mussa e educa i tre figli, Carlo, Alessandro e Felice, e le due figlie Margherita e Maria, alla vita cristiana vissuta in semplicità e dedizione. Carlo frequenta le elementari presso i Fratelli delle Scuole Cristiane e lì incontra, per la prima volta, un religioso dolce e austero, fratel Teodoreto Garberoglio (1871-1954), dedito all’educazione della gioventù con l’intento di offrire alla Chiesa e alla società dei giovani cattolici, capaci di portare il Vangelo in ogni ambiente con slancio apostolico e missionario. Allo stesso modo, Carlo frequenta l’oratorio della parrocchia S. Gioacchino e si iscrive all’Azione Cattolica, ricevendone, in profondità, la chiamata a vivere la fede “nella preghiera, nell’azione e nel sacrificio”. Gesù, sconosciuto, amato e vissuto entra nella sua giovinezza, nella sua vita: è fedele, Carlo, alla preghiera quotidiana, alla Confessione e alla Comunione frequenti e regolari, all’attenzione al prossimo, a cominciare dalla sua famiglia. È assai intelligente e dotato e vorrebbe studiare fino all’Università, ma iscrittosi all’Istituto per Ragionieri, presto si trova ad interrompere gli studi per venire incontro alle necessità della sua famiglia; è fattorino in una banca, poi impiegato presso un agente di cambio. Non si scoraggia neppure quando il 24 febbraio 1922 gli muore il padre e lui si trova a assumersi diverse responsabilità, prendendosi cura, oltre che della mamma, soprattutto delle due sorelle assai fragili di salute sin dalla nascita. Eppure Carlo continua a studiare con impegno conciliando il lavoro con la scuola che frequenta. Cura le sorelle con intenso amore fraterno e apprende il senso cristiano della sofferenza e la capacità di farsi apostolo verso i più deboli e i più poveri. Gesù – Gesù crocifisso – lo sostiene e lo guida, la carità è la regola della sua vita. L’influsso benefico di Fratel Teodoreto rimane incancellabile, il suo punto di riferimento nelle scelte fondamentali dell’esistenza. Conseguito il diploma di ragioniere, ormai più sicuro nel suo lavoro di agente di cambio, prosegue gli studi alla Facoltà di Economia e Commercio dove riesce a laurearsi nel 1942, non certo per diletto personale, ma per mantenere l’iscrizione all’Albo e lavorare. È competente e brillante nel suo lavoro, onestissimo e insieme sempre più luminoso del Vangelo vissuto. Molto giovane, dedica il tempo libero all’apostolato e all’insegnamento: comincia a essere catechista presso la Parrocchia di San Giuseppe Cottolengo. Intorno al 1925, conosciuta la “Casa di Carità” fondata da fratel Teodoreto, per ispirazione di Gesù stesso a fra Leopoldo Musso (1850-1922), per l’istruzione e la formazione professionale della gioventù operaia, Carlo Demaria prende a interessarsene e poi dal 1929-30 a insegnarvi matematica nei corsi serali. Ma lì, Gesù lo attende, per il dono totale di se stesso.
Catechista del Crocifisso È affascinato dalla possibilità di essere nel mondo, libero apostolo del Signore, senza un abito particolare, tutto appartenente a Lui, per portare il suo Vangelo nella società. Mentre suo fratello Alessandro ha formato la sua famiglia e Felice lo farà nel 1943, Carlo chiede di entrare nell’Unione dei Catechisti di Gesù Crocifisso, l’associazione di laici consacrati con i voti, fondato da alcuni anni da fratel Teodoreto. Nel 1930, compie il “noviziato”, nel 1932 offre a Dio i primi voti, che diventeranno perpetui nel 1949, nelle mani del Card. Fossati, Arcivescovo di Torino. Ora Carlo Demaria è un vero consacrato nel mondo: “Catechista del Crocifisso”. Il suo rapporto con il Signore si fa più intenso. Continua il suo prestigioso lavoro – nel 1951 diventerà responsabile dell’Ufficio Azioni STET di Torino e sarà iscritto all’albo dei Revisori dei conti. Ha la sua guida spirituale nell’illustre Gesuita Padre Agostino Gandolfo, della Chiesa dei SS. Martiri. Nel suo ambiente di lavoro mediante la professione, alla Casa di Carità come docente prima di matematica, poi di cultura generale, e come Catechista, egli non ha altro progetto che di testimoniare e far conoscere e amare “Cristo e Lui Crocifisso” (1 Cor 2,3). Scrive l’autore del volumetto biografico: “Carlo Demaria intendeva l’insegnamento come una vera e propria missione, un’opera da attuarsi nella propria città, ma con lo stesso spirito con cui i missionari educavano i giovani di paesi lontani. Per lui i quartieri industriali di Torino erano realmente terra di missione” (Stefano Pizzio, Carlo Demaria, Torino, pro manuscripto, 2001). Confida: “Quando andrò in pensione, intendo dedicarmi completamente ai giovani della Casa di Carità, a tempo pieno”. Il desiderio resterà inappagato: “Intanto – ripete spesso – mi considero come un missionario in giacca e cravatta, temporaneamente prestato alla Stet, sempre più proteso con la mente e con il cuore all’apostolato giovanile”. Partecipa e sostiene l’iniziativa della “Messa del povero”, con l’assistenza settimanale ai più bisognosi della città. Il dirigente aziendale, non si vergogna di prestarsi a servizi umilissimi ai più poveri, lieto e fiero di curare Gesù in loro. A scuola, il suo stile didattico è improntato a chiarezza e semplicità, con una sola preoccupazione: essere compreso, per elevare i suoi allievi alla Verità, alla Fede, all’apprendimento di una buona professione. È assai contento quando, conseguito il titolo necessario, gli viene affidato anche l’insegnamento della Religione. Sovente accompagna i suoi ragazzi in visita alla Piccola Casa della divina Provvidenza, “il Cottolengo”, per spiegare loro come “nulla nella vita, a cominciare dal dono della salute possa essere dato per scontato”. A tutti insegna che “la vita è dono di Dio e che va vissuta come dono e offerta di amore a Lui, e dono ai fratelli, in unione con Gesù, totalmente immolato al Padre per la salvezza del mondo”. Con un modo di fare semplice, la sua azione è assai efficace e molti di quei ragazzi di allora lo ricordano ancora oggi, come maestro di vita, anche perché la sua esistenza era il paragone delle sue parole. Mai nessuno posa da superiore, capace di mettere a loro agio studenti e colleghi, solo il desiderio di essere utile. Non vuole saperne di auto: in spirito di povertà, va in ufficio a piedi o con i mezzi pubblici; non va mai in vacanza, solo d’estate partecipa agli “esercizi spirituali” e passa qualche giorno in compagnia del fratello Alessandro. Ai suoi di casa, trasmette la sua ascesi semplice e forte: “Prendi in considerazione un tuo difetto e combattilo; eliminato questo passa al successivo e così via per tutta la vita”. Tutto per amore al Crocifisso. Davvero è lo stile imparato alla scuola della Croce, dalla lettura e dalla meditazione del “libro divino” che contiene tutto, Gesù Crocifisso e alimentato soprattutto dalla contemplazione quotidiana del Rosario a Maria SS.ma. L’ultima offerta b> Negli anni oscuri dell’occupazione tedesca (1943-1945), seguendo l’appello di Pio XII e del card. Fossati, con altri attivisti cattolici si impegna a salvare più vite umane possibili dalle violenze di ogni genere. Si interessa dei poveri più sbandati, procurando loro alloggio, arredi e cibo. D’accordo con la sorella: ospita in casa due seminaristi bisognosi. Trova lavoro a chi non ne ha, usando dell’autorevolezza della sua posizione. Promuove buone vocazioni sacerdotali per il Seminario, agendo e pregando a facendo pregare “affinché il Padrone della messe mandi tanti operai nella sua messe”. Una vita bella, integralmente cristiana, tutta consacrata a Gesù. “Ciò permette di fissare i poli opposti del suo modo di vivere: l’estrema discrezione del suo dire e la grandissima intensità del suo operare. Carlo parlava con i fatti: ma il suo era un parlare cristiano, nutrito dalla preghiera. Il tecnico iscritto all’albo dei Revisori dei conti, il docente di matematica non si stancava mai di esortare i giovani all’adorazione del SS.mo Crocifisso” (dalla Biografia cit.). Verso la fine degli anni ’50, si stabilisce in un appartamento in via Magenta 50, ma presto si ammala di una grave pleurite ed è necessario estrargli “l’acqua” accumulata nei polmoni. È ricoverato all’ospedale Santa Corona di Pietra Ligure. Ancora in buona età – non ha ancora 60 anni – accetta il “martirio”, consapevole che Dio lo prepara all’incontro con Lui. Anche in ospedale, ogni giorno si accosta alla Comunione e Gesù eucaristico gli dà la forza e la serenità per l’ultima offerta. “Quanta edificazione mi diede – scrive il Padre Gandolfo, la sua guida – a vederlo insieme a persone di umile condizione sociale, seduto con loro alla stessa mensa. Il dottor Demaria aveva imparato le grandi lezioni che Gesù ci dà sulla croce”. Trasmette a chi lo avvicina la sua pace. Molti ammalati per il suo esempio e la sua parola, si riconciliano con Dio con la confessione. Nelle ultime lettere a P. Gandolfo, Carlo scrive: “Mi sento molto più animato a soffrire quel tanto che il divin Padre vorrà con la sicurezza che alla fine tutto ridonderà alla maggior gloria di Dio. Questi frequenti interventi... mi sembrano tante pugnalate alla schiena. E fino a quando? Lo sa il Signore! Si direbbe che Egli rinnovi sempre l’acqua e il sangue (= la pleurite) perché io li possa versare in unione con il Sangue e l’Acqua sgorgati dal divino Crocifisso e così unito io li possa offrire al Divin Padre per gli stessi fini per cui Nostro Signore si immola continuamente sugli altari”. Tutta la vita, il dottor Carlo Demaria l’aveva vissuta così, con Gesù Vittima divina: sul Calvario e sull’altare della S. Messa, sacrificio di adorazione a Dio, di espiazione dei peccati, di impetrazione per il mondo. Il 4 maggio 1961, Dio accoglie il suo “Tutto è compiuto”. A Torino, quel giorno, si celebra da diversi secoli la festa liturgica della Santa Sindone, cioè del Crocifisso impresso sul Lenzuolo che l’ha avvolto, e che Carlo ha riprodotto nella sua esistenza spesa per Lui.
Autore: Paolo Risso
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