Basandosi su alcuni menei bizantini e sull'autorità di Massimo Margounios, vescovo di Citera (sec. XVI), i Bollandisti hanno inserito, alla data del 25 gennaio, la vita di Apollo, abate nella Tebaide: questa non è d'altronde che la riproduzione del capitolo LII della Historia Lausiaca come l'aveva pubblicata Rosweyde nel libro VIII delle Vitae Patrum. La si cercherebbe invano nell'edizione di C. Butler; costui in realtà ha visto che questa vita di Apollo era, in una recensione appena differente, un'interpolazione del capitolo VII della Historia Monachorum dell'arcidiacono Timoteo di Alessandria (verso il 400), la cui traduzione latina di Rufino è stata ugualmente pubblicata da Rosweyde come libro II delle Vitae Patrum.
Nuovamente al 22 ottobre i Bollandisti hanno introdotto la vita dei santi Abib e Apollo, monaci in Egitto, senza neanche sollevare il minimo dubbio sulla possibile identità con l'omonimo del 25 gennaio. L'Encomium pubblicato non è altro che la notizia relativa al 25 bãbah (22 ottobre) del sinassario alessandrino di Michele, vescovo di Atrib e Malig. La traduzione latina è stata fatta sul ms. Vaticano Arabo 62, di cui il cardinal Angelo Mai aveva già riprodotto un'analisi assai dettagliata, e questo stesso manoscritto è uno dei testi di cui si è servito R. Basset per stabilire l'edizione critica del Sinassario Alessandrino.
La notizia del Sinassario Alessandrino riporta, luogo comune agiografico, la nascita quasi miracolosa di Apollo, i cui genitori Amãni di Ahmim e Aysi erano vissuti in una grande santità senza avere avuto, fino alla vecchiaia, la gioia di vedere un figlio venire ad assicurare la loro posterità. Dopo essersi dedicato allo studio delle scienze ecclesiastiche, Apollo, preso dal desiderio della vita monastica, andò, accompagnato dal suo amico Abib in un monastero (il cui nome non ci è rivelato). L'uno e l'altro praticarono la loro nuova vita rivaleggiando in austerità. Abib morì assai presto, e Apollo lasciò il monastero per ritirarsi sulla montagna di Ablug (la cui localizzazione non è identificata) e menarvi vita eremitica. Ma la rinomanza della sua santità si sparse rapidamente, e numerosi furono i discepoli che si raccolsero intorno a lui, docili ai suoi insegnamenti nella pratica delle virtù e meravigliati dai miracoli che Apollo non cessava di operare. Apollo morì molto vecchio.
Il Sinassario fa allusione a una lettera scritta ad Apollo da Macario; questa sarebbe l'unica indicazione che permetta di stabilire, molto vagamente del resto, l'epoca della vita di Apollo
L'autore della Historia Monachorum racconta la visita che egli fece con i suoi compagni ad Apollo: questa volta ci è data una preziosa indicazione topografica: il santo viveva nella Tebaide, nella regione di Hermopolis (oggi Asmunayn), non lontano dal santuario di Dayr Al-Muharrag ove si perpetua il ricordo del passaggio della Sacra Famiglia durante la fuga in Egitto. Se Timoteo si attarda soprattutto a descrivere ciò che vede, introduce nondimeno nella sua narrazione qualche particolare relativo alla vita passata di Apollo. Secondo questo autore, Apollo all'età di 15 anni, si sarebbe ritirato dalla vita del mondo. Egli fa altresì allusione a un fratello molto amato da Apollo, morto prima di questo, ma che era stato solitario come lui. Dobbiamo vedere in questo personaggio l'Abib del Sinassario? In ogni caso non si fa questione qui del doppio stadio: vita monastica e vita eremitica. Dopo quaranta anni, alla chiamata di un angelo, ci riferisce ancora Timoteo, Apollo si sarebbe avvicinato ai luoghi abitati pur continuando la sua vita in una caverna isolata. Ciò accadeva sotto il regno di Giuliano l'Apostata (361-63). La sua riputazione di santità attrasse rapidamente numerosi discepoli intorno a lui, i quali costruirono un immenso monastero: 500 monaci vi stavano al momento della visita di Timoteo.
Il racconto di Timoteo è pieno di informazioni sulla vita dei monaci di questo monastero. Essi dividevano il loro tempo fra la meditazione solitaria e la preghiera in comune, senza disdegnare tuttavia la pratica dei differenti mestieri necessari alla vita di una così grande comunità. Il digiuno del mercoledì e del venerdì, la presenza quotidiana alle funzioni liturgiche durante le quali ci si comunicava, le penitenze esteriori, tutto è orientato verso la vita di unione con Dio, presentata con insistenza da Apollo come il vero fine ricercato. La figura di Apollo è molto attraente: è lui che veglia per far praticare dai suoi monaci questa vita ascetica armoniosamente equilibrata. Animato di un ardente spirito missionario, è anche preoccupato della conversione del popolo ancora pagano che abita i villaggi vicini al monastero. Egli tiene altresì ad essere il pacificatore degli animi dei suoi figli spirituali del pari che il conciliatore dei contadini dei dintorni allorché le querele o le gelosie li opponevano gli uni agli altri.
IL MONASTERO DI BAWIT. Due campagne di scavi organizzate dall'Istituto Francese di Archeologia Orientale del Cairo, la prima nel 1901-1902 diretta da J. Clédat, la seconda nel 1913 sotto la guida di J. Maspéro, dovevano condurre a conclusioni del più alto interesse per la storia dei monachesimo in Egitto fino sotto l'occupazione araba. Con questi scavi è stata scoperta una serie di tells emergenti sulla riva occidentale dei Nilo, tra le antiche città di Aphroditopolis e di Hermopolis Magna, ad ovest di Dayrut al-Sirif, in prossimità del villaggio moderno di Bãwit. Vennero alla luce le rovine imponenti di un immenso monastero fortificato, forse di un doppio monastero, la cui pianta ha potuto essere ricostituita con precisione. Il materiale epigrafico e iconografico raccolto ha permesso di identificare con certezza questo monastero come quello di Apollo, localizzato già dall'autore dell'Historia Monachorum nella regione di Hermopolis.
Autore: Joseph Marie Sauget
Fonte:
|
|
|
|