Milano, 28 agosto 1916 – Bergamo, 10 agosto 2001
Enrico Beretta nasce a Milano il 28 agosto 1916, settimo di tredici figli. Formato alla spiritualità francescana dai genitori, sensibile alle sofferenze del prossimo, decide di diventare medico e religioso cappuccino. A causa della seconda guerra mondiale non completa la formazione religiosa, ma viene ugualmente accolto dai Cappuccini come oblato: nel febbraio 1948 veste il saio, assumendo, in onore dei genitori, il nome di fra Alberto Maria. Ordinato sacerdote il 13 marzo 1948, parte l’anno seguente per Grajaú, nel Nord-Est brasiliano: lì riesce a far costruire un ospedale e un villaggio per i lebbrosi. Il 16 agosto 1964 emette la professione solenne dei voti. Per trentatré anni coniuga la professione medica con la missione di religioso e sacerdote cappuccino, visitando i villaggi per portarvi i Sacramenti. Il 24 dicembre 1981 è colpito da ictus cerebrale e costretto a tornare in Italia: da allora vive tra la casa del fratello don Giuseppe e l’infermeria dei Cappuccini di Bergamo. Rilascia la propria testimonianza nel processo di beatificazione di un’altra sorella, Gianna, madre di famiglia: è presente alla sua beatificazione, il 26 aprile 1994, ma non alla canonizzazione. Muore infatti il 10 agosto 2001, in casa del fratello, dopo aver recitato il Rosario. Il 14 dicembre 2023 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto sulle virtù eroiche di padre Alberto, i cui resti mortali riposano nella chiesa di Sant’Alessandro in Cattura a Bergamo, precisamente nella cappella di san Francesco d’Assisi.
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La santità è un po’ un “vizio” della famiglia Beretta: santi (normali, non da calendario!) sono i genitori, terziari francescani, che mettono al mondo tredici figli, ne tirano su otto, ne donano tre alla Chiesa, educandoli tutti alla solidarietà e a un’autentica vita cristiana, di cui essi sono i primi maestri; santa (ufficialmente riconosciuta dalla Chiesa nel 2004) è la decima figlia, quella Gianna che nel 1962 preferì la vita della bambina che aspettava rispetto alla propria. Alla gloria degli altari è avviato un altro figlio, Enrico, che vestendo il saio cappuccino ha voluto prendere i nomi dei genitori, Alberto e Maria.
Nasce a Milano il 28 agosto 1916, settimo della nidiata; un po’ la spiritualità francescana dei genitori, un po’ la conoscenza di un cappuccino che sta spendendo la vita in Brasile, lo orientano presto ad essere cappuccino, ma anche medico (perché da papà ha ereditato una gran sensibilità per le sofferenze altrui) con irrinunciabile destinazione il Brasile. Intanto cresce nelle file dell’Azione Cattolica, dedicandosi ai giovani per i quali inventa la formula dei “focolari”, cioè piccoli gruppi che maturano nella fede alla scuola di Gesù e dei santi.
Per realizzare il sogno della sua vita la prima tappa è la laurea in medicina, che consegue nel 1942, proprio nell’anno in cui, a pochi mesi di distanza, muoiono prima la mamma e poi il papà. Ed è proprio ai funerali di quest’ultimo che Enrico ed il fratello Giuseppe decidono il loro futuro da preti.
Per la sua età, alla caduta del fascismo, per lui si profila una difficoltà in più: il rischio di essere arruolato (anche se tutti sanno che mai accetterebbe di combattere a fianco dei tedeschi) o di essere internato, qualora disertore, in un campo di lavoro. È per questo che si rifugia in Svizzera, cominciando ad esercitare la professione e iniziando gli studi teologici, che gli riesce di ultimare, a guerra finita, nel convento cappuccino di Milano, dove entra come oblato e veste il saio.
Ordinato il 13 marzo 1948, alcuni mesi dopo raggiunge il Brasile, come aveva sempre sognato. Si ferma a Grajaú, nel Nord-Est, iniziando subito con l’apertura di un dispensario all’ombra della cattedrale. Per il vescovo di laggiù, l’arrivo di un medico che è anche prete ha lo stesso effetto del cacio sui maccheroni: il monsignore, infatti, da tempo sta sognando di costruire un ospedale e finalmente riesce a sentirlo un po’ più vicino, proprio grazie all’arrivo di fra Alberto.
Lui, manco a farlo apposta, è la persona giusta al momento giusto: ha un fratello ingegnere disponibile al progetto, una rete fittissima di collaboratori e sostenitori che lo aiutano anche finanziariamente, soprattutto una buona dose di intraprendenza e di fiducia nella Provvidenza.
L’ospedale è costruito come struttura all’avanguardia, con una sala operatoria che lavora a pieno ritmo e con reparto specializzato in oculistica. Sotto il camice bianco, frei Alberto (come lo chiamano già i brasiliani) indossa anche un saio che ogni anno si fa più liso, con un paio di sandali sempre più sfondati.
Ha anche imparato a sterilizzare e trattare la placenta, che somministra a dosi precise e con risultati sorprendenti per la cura del diabete, del reumatismo e dell’asma. Dato che la laurea italiana non è riconosciuta in Brasile, torna in università a studiare ancora per la convalida, approfittando anche per specializzarsi in malattie tropicali.
Dopo aver realizzato per due terzi il sogno della sua vita, non gli resta che un ulteriore passo: diventare in tutto e per tutto cappuccino. Dopo un anno di noviziato, a completamento del percorso iniziato in Italia e interrotto a causa della guerra, compie la professione temporanea a quarantacinque anni, il 16 agosto 1961; tre anni dopo, arriva la professione perpetua.
Con un ritmo di vita massacrante, si dedica senza risparmio ai malati, specie se poveri e trascurati dagli altri. Ogni sabato parte dal suo ospedale verso le varie comunità che gli sono assegnate, con l’indispensabile per curare a domicilio, non solo il corpo ma anche lo spirito, ben sapendo di non essere che «uno strumento nelle mani del buon Dio, l’unico vero medico dell’uomo».
Nel giorno di Natale 1981 la sua intensa attività missionaria è fermata da un ictus cerebrale, a seguito del quale il frate buono, umile e premuroso, che il Brasile venera, diventa anche irrimediabilmente silenzioso e impossibilitato a muoversi liberamente: è necessario farlo rientrare in Italia.
Nella casa del fratello don Giuseppe a Bergamo, ma anche nell’infermeria dei Cappuccini, familiari e confratelli lo curano per 20 anni: un calvario accettato e vissuto con la sua consueta semplice serenità, fino al 10 agosto 2001, quando padre Alberto Beretta si incontra definitivamente con il suo Signore.
Già in vita è stato considerato un uomo di Dio, sia come medico, sia come religioso. Per questa ragione, si è svolto presso la diocesi di Bergamo, dal 18 giugno 2008 all’11 dicembre 2013, il processo della sua causa di beatificazione e canonizzazione.
La Congregazione della Cause dei Santi ha emesso il Decreto di validità giuridica il 24 ottobre 2014, mentre la “Positio super virtutibus” è stata consegnata alla Congregazione delle Cause dei Santi il 20 novembre 2018.
Il 7 giugno 2022, il Congresso dei Teologi del Dicastero delle Cause dei Santi ha emesso parere positivo circa l’esercizio in grado eroico delle virtù cristiane di padre Alberto. Analogo parere è stato emesso dai Cardinali e dai Vescovi membri del medesimo Dicastero.
Il 14 dicembre 2023, ricevendo in udienza il cardinal Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui padre Alberto, le cui spoglie riposano nella chiesa di Sant’Alessandro in Cattura a Bergamo (precisamente nella cappella di san Francesco d’Assisi), veniva dichiarato Venerabile.
Autore: Gianpiero Pettiti
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