«Offro la mia povera vita, con tutto ciò che il Signore mi riserverà di soffrire, agire, servire e pregare, particolarmente per la santificazione dei Sacerdoti: perché non deviino, non si scoraggino e non si smarriscano, non tradiscano i santi vincoli che li legano a Cristo, alla chiesa e al popolo cristiano… Sacerdoti, cari confratelli, anime votate a Dio e voi tutti, cari fratelli e sorelle veronesi: Dio non vi ha chiamato a una vita borghese, mediocre, di compromesso. Vi ha chiamato ad una vita fervente, animata di carità, di fede salda, coerente, operosa».
In queste poche pennellate, prese dal testamento di monsignor Giuseppe Carraro emerge con immediatezza il sentire spirituale e pastorale di un grande uomo di Dio, per vent’anni, dal 1958 al 1978, vescovo di Verona. Non è facile condensare in poche righe la grandezza di questo uomo – piccolissimo di statura – ma gigantesco nella personalità, ricca e solidissima. Ma iniziamo con qualche cenno biografico.
Giuseppe Carraro era nato a Mira (provincia di Venezia e diocesi di Treviso) il 26 giugno 1899, in una famiglia economicamente povera ma ricca di calore umano e cristiano, e venne battezzato con i nomi di Giuseppe Moisè Giovanni. Nell’anno scolastico 1910 (ultimo delle elementari) il curato, don Eugenio Dorigon, propose ai genitori di mandarlo in seminario per diventare prete. Trovato il modo per superare le difficoltà economiche, “Beppino” (come lo chiamavano in famiglia) entrò nel seminario di Treviso nell’ottobre dello stesso anno.
Vescovo della diocesi di Treviso era, in quegli anni, monsignor Andrea Giacinto Longhin. Scoppiata nel 1914 la prima guerra mondiale, giovani e uomini adulti furono chiamati in massa alle armi. Anche il giovane Giuseppe Carraro fu chiamato il 17 giugno del 1917, quando non aveva compiuto ancora 18 anni, rimanendovi fino al 13 aprile 1920, quando rientrò in Seminario. Il 31 marzo 1923 fu ordinato sacerdote da monsignor Longhin.
Fu quindi inviato come aiuto parroco a Castelminio di Resana e, nello stesso tempo, iniziò gli studi presso l’università di Padova, dove conseguì brillantemente la laurea in scienze naturali e dove ebbe alcuni incontri spirituali con il futuro cardinale Elia Dalla Costa, a quel tempo vescovo della città del Santo. Dall’anno scolastico 1928 in poi insegnò varie materie (lettere, scienze, matematica) nel seminario di Treviso. L’insegnante non era solo un diligente ed efficace comunicatore di cognizioni, ma educava il cuore e l’animo dei futuri sacerdoti, o delle persone chiamate a vivere la loro condizione con senso di fede.
Nell’estate del 1936 moriva il vescovo Longhin e fu chiamato a succedergli monsignor Antonio Mantiero, che fece l’ingresso in diocesi il 6 dicembre 1936.
Nel 1938, da professore di liceo, don Giuseppe Carraro fu nominato Padre spirituale del seminario. Fu un vero maestro di preghiera e di vita sacerdotale. In questo compito Carraro cercò di dare il meglio di sé.
Nel 1944 divenne Rettore del seminario, in sostituzione di monsignor Vittorio Alessi nominato vescovo di Concordia. Si adoperò in molti modi per assicurare alla diocesi seminaristi e sacerdoti formati nella spiritualità e nella cultura. Al compito di per sé tanto delicato ed obbligante della formazione dei futuri sacerdoti, dovette aggiungere ben presto quello, esso pure impegnativo e gravoso, della ristrutturazione delle sedi del seminario, gravemente danneggiate dai bombardamenti bellici. Fu sempre all’altezza della situazione in entrambi i campi: quello educativo, per il quale elaborò un nuovo regolamento che ebbe positiva accoglienza anche oltre i confini della diocesi, e quello organizzativo che fece di lui il vero artefice della ricostruzione, portata sollecitamente a termine con criteri adatti ai tempi.
È risaputo che il seminario non esauriva né limitava il suo zelo e la sua iniziativa pastorale. Religiosi e religiose, laici di ogni età e condizione, anche “lontani”, avevano intravisto nel sacerdote Carraro una ricca umanità capace di ascolto e di indirizzo e, ancor più, le doti non comuni di guida delle coscienze. Per questo a lui ricorrevano numerosi sia per consiglio sia per la confessione e la direzione spirituale.
Il vescovo di Treviso, monsignor Mantiero, che lo aveva voluto Direttore Spirituale e Rettore del seminario, lo volle infine vescovo ausiliare. Il Papa esaudì questo desiderio ed elesse monsignor Carraro vescovo titolare di Usula ed ausiliare del vescovo di Treviso.
Il 10 novembre 1952 riceveva l’ordinazione episcopale.
Accanto al vescovo ordinante principale stavano, come prescritto dalle norme liturgiche, due vescovi co-ordinanti scelti da monsignor Carraro con cura ed intenzione evidenti e da lui più volte esplicitamente dichiarate. Il primo era il vescovo di Padova, monsignor Girolamo Bortignon, cappuccino, che agli occhi della maggioranza dei presenti al rito richiamava la ieratica figura del beato Andrea Longhin, anch’egli cappuccino, per 32 anni vescovo di Treviso.
Carraro chiamava monsignor Longhin «il mio vescovo», non solo perché da lui aveva ricevuto la Cresima, la prima Comunione, la tonsura e tutti gli ordini sacri fino al presbiterato, ma perché in lui riconosceva un vero maestro di vita, un modello impareggiabile di virtù e di sapienza pastorale, di dedizione incondizionata al bene del suo popolo. L’altro vescovo co-ordinante era il vescovo di Feltre e Belluno, il pio, dotto, saggio monsignor Gioacchino Muccin.
Il 12 aprile 1956 monsignor Carraro venne nominato vescovo della vicina diocesi di Vittorio Veneto, dove entrò il 9 giugno successivo. Fu una sosta breve – 30 mesi in tutto – ma fervida di iniziative e di opere, in un clima di sincera e fattiva collaborazione, che onorò il motto paolino scelto dal vescovo Carraro per il suo stemma episcopale: “Vince in bono”. I propositi e i programmi lasciavano intravedere un più lungo cammino, ma i disegni della Provvidenza erano altri.
Il 15 dicembre 1958 Giovanni XXIII, eletto Papa dopo la scomparsa di Pio XII, lo chiamò a reggere la diocesi di Verona, che il 18 gennaio 1959 lo accolse entusiasticamente in Cattedrale col canto del «Te Deum» e delle antiche acclamazioni: «Exaudi Christe... Tu illum adiuva... Tempora bona veniant...», ed ascoltando poi la limpida e appassionata esposizione del suo programma pastorale, incentrata sul «Quaerite primum Regnum Dei». Rimase alla guida della diocesi scaligera per 19 anni abbondanti, finche, dimessosi in obbedienza alle direttive canoniche, il 25 giugno 1978 consegnò simbolicamente il pastorale al successore, di cui egli stesso aveva segnalato il nome alla Santa Sede.
Rimase però accanto al suo popolo per servirlo ancora con la preghiera, con gli scritti e soprattutto con la sofferenza. Aveva sognato un piccolo centro di spiritualità sul colle di san Fidenzio, nella casa da lui denominata «Betania», per accogliervi persone desiderose di approfondire il senso e l’impegno della vocazione cristiana. Le alterne vicende della salute non glielo consentirono. Dopo due ricoveri in ospedale, accettò di alloggiare in una modesta palazzina presso la chiesa di San Zeno in Oratorio in Verona, che mani devote e munifiche gli avevano arredato.
Ad un distinto sacerdote che, forse ricordando gli ampi saloni del vescovado, gli osservava che, a giudizio di molti, quella era una dimora fin troppo dimessa per un vescovo, rispose con un sorriso distaccato: «Che vuoi? Qui ho il mio oratorio, il mio laboratorio, il mio ambulatorio: è quanto basta a questa stagione della mia vita». Qui si fermò per un anno e mezzo, in serenità, assistito dai familiari e dal segretario. Passò alla vita eterna all’alba del 30 dicembre 1980 dopo aver rinnovato pubblicamente la sua professione di fede ed offerto la vita per l’amata diocesi.
Appena una settimana dopo l’ingresso di monsignor Carraro a Verona, il 25 gennaio 1959, papa Giovanni XXIII annunciò il Concilio Ecumenico. Passata la sorpresa iniziale – comune peraltro a tanti uomini di Chiesa – questo «vescovo piccolo e grande ad un tempo» si inserì volonterosamente nel nuovo corso ecclesiale e con l’incredibile somma di attività ordinarie e straordinarie nella vita della diocesi e in quella della Chiesa italiana ed universale (che avrebbero scoraggiato qualsiasi altro, anche più giovane e robusto di lui, come ha documentato Angelo Orlandi nella sua diligente biografia di Carraro: «Un vescovo nel cuore del Concilio»), si dedicò alla preparazione, alla celebrazione e all’applicazione in diocesi dell’evento conciliare. Il Concilio lo segnò profondamente ed indelebilmente. Prese parte anche ai Sinodi dei vescovi del 1967 e del 1974, chiamatovi come membro di nomina pontificia da papa Paolo VI, che nutriva per lui grandissima considerazione.
Specialmente nei primi anni veronesi monsignor Carraro era osservato con curiosità e interesse dai suoi diocesani, in particolare dai suoi preti (ne ordinò oltre trecento e a sei conferì l’ordinazione episcopale), i quali si resero conto ben presto che l’ispirazione e la forza della sua testimonianza e del suo governo pastorale scaturivano anzitutto dalla Parola di Dio e dalla preghiera, con al centro la santa Messa e l’adorazione eucaristica. Davanti al tabernacolo prendevano forma e sostanza i suoi messaggi e le sue omelie. Lì maturavano le sue decisioni. Con la pietà eucaristica era esemplare la sua devozione mariana: una devozione autentica, senza sentimentalismi.
La testimonianza di una vita intessuta di fede e di preghiera: era questo il suo silenzioso ma più eloquente magistero nei confronti del suo clero, per il quale verso la fine del suo mandato pastorale aveva ideato un “Sinodo diocesano-presbiterale” allo scopo di intensificare l’unità del presbiterio attorno al Vescovo. Progetto coraggioso, che vicende storiche sfavorevoli non gli consentirono di portare a termine.
La sera del suo ingresso a Verona, nella cripta della basilica di S. Zeno, Patrono della diocesi, fu colpito da un canto eseguito in buon gregoriano dai chierici del seminario maggiore: «O presule e martire glorioso... prega incessantemente il Figlio di Dio». «Bello, bello», commentò con un sorriso. Forse ne aveva tratto conferma a quel suo stile di mettere alla base del servizio episcopale un intenso rapporto con Dio, senza però che la prolungata orazione lo distogliesse dalle necessità concrete che, quotidianamente, bussavano alla sua porta e reclamavano da lui interessamento e intervento. Con i criteri e gli atti specifici del suo ministero, illuminato e ininterrotto, senza mai una vacanza fuori sede, stupiva anche la sua inesauribile carità.
Fu avvertito talvolta che qualcuno ne approfittava indebitamente. Ma nemmeno questo valse a fermarlo. Né si possono dimenticare la generosità e la tempestività con cui si muoveva quando erano altre popolazioni a trovarsi in difficoltà. Così in occasione del disastro del Vajont, delle alluvioni di Firenze e del Cadore, dei terremoti del Belice, del Friuli e dell’Irpinia: mobilitava la diocesi, inviava sul posto incaricati di sua fiducia per concordare con i vescovi locali le modalità di concreti interventi. Per le sue mani passarono somme ingenti di denaro, ma non gli si attaccò neppure un centesimo.
Quel non dimenticato maestro di liturgia e di storia che fu monsignor Pietro Albrigi (Rettore del Seminario diocesano di Verona e Vicario Generale dal 1949 al 1954) ha ripetuto in varie circostanze che «per trovare un vescovo della statura morale di monsignor Giuseppe Carraro, a Verona, bisognava risalire fino a Gian Matteo Giberti (+ 1543), precursore del Concilio di Trento».
Il 3 gennaio 1981, al termine delle esequie di monsignor Carraro, il cardinal Marco Cè, Presidente della Conferenza Episcopale Triveneta, rese questa testimonianza: «Abbiamo perduto un fratello, ricco di sapienza spirituale e di esperienza pastorale, ma ci è stato donato un intercessore in Paradiso.
La morte ha sciolto il suo esempio di pastore evangelico dagli angusti limiti della mortalità e ci svela l’azione potente dello Spirito che, con crescendo bruciante, ha fatto di lui una testimonianza vivente di Cristo, il Buon Pastore. ... Esulta, oggi, la Santa Madre Chiesa, con la Regina del Cielo, e rompendo la tristezza del compianto funebre, troppo angusto per questo “dies natalis”, canta l’inno pasquale del trionfo di Cristo sulla morte. Cristo, Buon Pastore, che monsignor Carraro ha testimoniato nella sua passione incandescente per l’annuncio del Vangelo e la salvezza degli uomini, gli va incontro festoso e lo riceve dal Padre come gioioso trofeo della sua croce gloriosa».
Nel dicembre 2005, Padre Flavio Roberto Carraro, suo omonimo successore sulla Cattedra di San Zeno in Verona, ha annunciato alla Diocesi l’apertura del processo canonico, finalizzato a proclamare la santità di vita del suo predecessore. L’inchiesta diocesana è stata quindi avviata il 30 dicembre 2005 e si è conclusa il 18 ottobre 2008; nel frattempo, il 5 giugno 2006, è giunto il nulla osta da parte della Santa Sede. La convalida dell’inchiesta diocesana è arrivata il 26 febbraio 2010. La sua “positio super virtutibus” è stata completata e consegnata nel 2012, dopo che le accuse contro di lui, relative agli abusi compiuti su persone sorde all’interno dell’Istituto Provolo di Verona, sono definitivamente cadute.
Nel pomeriggio del 16 luglio papa Francesco, ricevendo in udienza il cardinale prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, Angelo Amato, ha autorizzato la promulgazione di otto decreti sulle virtù eroiche di altrettanti candidati agli altari, incluso monsignor Carraro.
I suoi resti mortali riposano nella cripta della Cattedrale di Verona.
Autore: Don Giuseppe Busato
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