Nembro, Bergamo, 20 settembre 1912 - Pioppe di Salvaro, Bologna, 1 ottobre 1944
Nel 1924 entrò nella Scuola Apostolica dei Sacerdoti del Sacro Cuore, detti Dehoniani, ad Albino. Nel 1930 emise la prima professione religiosa nel noviziato di Albisola Superiore, diventando fratel Martino di Maria Addolorata. Voleva essere sacerdote, missionario e martire, questi desideri appaiono costantemente nei suoi scritti spirituali. Fu ordinato sacerdote a Bologna il 26 giugno 1938, dal cardinale arcivescovo Giovanni Battista Nasalli Rocca. Il suo desiderio era essere missionario in Cina, però i suoi superiori lo inviano a studiare Sacra Scrittura a Roma. Dall'ottobre 1943 fu professore allo Studentato dehoniano sfollato a Castiglione: la zona era frequentata da partigiani. Non esitò a contestare atteggiamenti e metodi che portavano a colpire inconsultamente persone innocenti e a scatenare terribili ritorsioni, rendendosi disponibile a un dialogo franco e fraterno. Fu catturato con il salesiano don Elia Comini, insieme al quale aiutava l’anziano parroco di Salvaro, mentre portava i Sacramenti dei moribondi alle vittime di un rastrellamento da parte dei nazisti. Il 1° ottobre 1944, dopo tre giorni di prigionia, entrambi vennero fucilati con altri quarantaquattro prigionieri. I loro cadaveri, lasciati nella vasca della canapiera di Pioppe di Salvaro, vennero dispersi nel fiume Reno. La causa di beatificazione di padre Martino si è svolta, nella fase diocesana, a Bologna, dal 3 dicembre 1995 al 10 febbraio 2001, per l’accertamento dell’eroicità delle sue virtù. Il 10 maggio 2019, però, la Congregazione delle Cause dei Santi ha autorizzato che la causa possa essere studiata per dimostrare, alla luce delle prove storico-documentali raccolte, il martirio in odio alla fede.
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Nicola Capelli nasce a Nembro in Val Seriana, in provincia e diocesi di Bergamo, il 20 settembre 1912, da Martino Capelli e Teresa Bonomi. In casa loro, si mangia pane e miseria, anzi più polenta che pane. Siamo nel 1912, quando due braccia robuste e laboriose sono una benedizione e, anche per questo, studiare non è una priorità.
Lui, che ha collezionato una sfilza di quattro e che ha ripetuto la prima e la seconda elementare, a 12 anni si ritrova alla Scuola Apostolica dei Sacerdoti del Sacro Cuore, detti Dehoniani, di Albino: è considerato sano, vivace e buono, dato che ogni mattina si alza quando è ancora buio per andare a servire la prima Messa. Davanti a sé la prospettiva di dover studiare tanto e l’obiettivo, a dire il vero abbastanza nebuloso, di un giorno diventare missionario dehoniano.
I superiori ce la mettono tutta a modellare quel carattere un po’ ribelle e svagato e quell’intelligenza abbastanza intorpidita, ma alla fine non possono che essere contenti dei progressi che il ragazzo registra, sia nel comportamento che nello studio.
Anche se prima di ammetterlo all’ordinazione gli fanno fare anticamera e gli chiedono di fare per alcuni anni il “prefetto” dei seminaristi giovani, incarico in cui riesce particolarmente bene, facendosi amare dai ragazzi.
Intanto la vocazione si chiarisce e si fortifica: nel 1930 professa i primi voti, col nome di fratel Martino di Maria Addolorata. Aumenta in lui il desiderio del martirio, sull’esempio dei martiri messicani di cui sente parlare.
Ordinato il 26 giugno 1938, dopo ancora un anno di teologia, mentre sogna di partire missionario, possibilmente in direzione della Cina, riceve l’ordine, inaspettato e perentorio di andare a Roma, a continuare gli studi al Biblico: segno che il ragazzino svogliato e dagli scarsi risultati scolastici ha fatto parecchia strada, ma anche segno di quanto poco ci voglia ad infrangere un progetto missionario accarezzato da vent’anni.
Obbedisce in nome del voto fatto e non delude: risultati brillanti, prima al Biblico e poi all’Urbaniana, licenziato in teologia “cum laude” ed ormai ad un passo dalla laurea, nel 1943 viene richiamato dai Superiori a Bologna, ad insegnare Sacra Scrittura: nuova delusione per la mancata laurea e nuova obbedienza che gli costa tanto.
Intanto, la guerra dilaga e si comincia a vivere nella paura dei bombardamenti. Così la scuola deve spostarsi, e lui con essa, finché con l’assestamento della linea gotica sull’appennino tosco-emiliano viene a trovarsi davvero al centro della guerra.
Poiché si sente inesauribilmente prete, anzi, missionario, non si adatta certo al ruolo di prete “imboscato”. Sente l’urgenza della pastorale, notando l’indifferenza alla fede, l’abbandono della pratica religiosa, la necessità urgente di sradicare l’odio e la diffidenza dai cuori.
A luglio 1944 la comunità si trasferisce a Burzanella, un paese a mille metri d’altezza, lontano dalle principali vie di comunicazione, dove in teoria la vita dovrebbe essere più tranquilla. Qui si trova, invece, al centro di rappresaglie e rastrellamenti durante i quali lui si espone: per amministrare gli ultimi sacramenti ai giustiziati, aiutare gli sfollati, spegnere gli incendi.
Diventa un personaggio scomodo, ingombrante, che suscita diffidenza da una parte e dall’altra, dato che lui, non facendo “differenze di persone”, aiuta indistintamente tutti e da ciascuno può così essere considerato una spia.
Decide allora di trasferirsi a Sarzano, per aiutare un parroco anziano e qui trova anche don Elia Comini, un giovane salesiano sfollato come lui, che si dà un sacco da fare. Lui sceglie di andare per i monti, a cercare contadini nelle cascine e partigiani nei bivacchi, per evangelizzare, annunciare, confortare, perché continua a sentirsi profondamente missionario, mentre non rinuncia ad andare a predicare ovunque lo chiamino.
Comincia ad essere guardato con sospetto dai tedeschi, tanto che anche i Superiori se ne accorgono e decidono di trasferirlo altrove. Questa volta disobbedisce, semplicemente per non lasciare senza assistenza religiosa tutte le persone con cui è venuto a contatto in quei mesi.
Continua a fare il prete, cosciente del rischio che corre, anche il 29 settembre 1944, quando insieme a don Comini accorre per soccorrere un ferito: entrambi arrestati dai tedeschi, dopo due giorni di crudele prigionia, il 1° ottobre vengono falciati dalle mitragliatrici delle SS, insieme ad altri 44 prigionieri. Prima di morire ancora il gesto sacerdotale di un’ultima benedizione agli altri moribondi. Aveva solo 32 anni padre Martino Capelli, missionario mancato, che desiderava il martirio.
La Provincia del Nord Italia dei Dehoniani si è resa parte attrice della sua causa di beatificazione e canonizzazione, per la verifica dell’esercizio in grado eroico delle virtù cristiane. L’inchiesta diocesana si è quindi svolta a Bologna dal 4 maggio 1992 al 10 febbraio 2001.
Gli atti dell’inchiesta sono stati convalidati il 24 ottobre 2003, mentre la “Positio super virtutibus” è stata consegnata nel 2009. Tuttavia, alla luce di nuove prove storico-documentali, sia per don Elia che per lui si è iniziato a valutare la possibilità di studiare la causa non più per la via delle virtù eroiche, ma per quella del martirio.
Il 10 maggio 2019 la Congregazione delle Cause dei Santi ha dato autorizzazione in tal senso per padre Martino: è stata quindi approntata la “Positio suppletiva super martyrio”, consegnata l’8 ottobre 2019. Il 25 febbraio 2020 i Consultori Storici hanno espresso parere positivo circa la documentazione presentata.
Preghiera
Signore Gesù, Pastore buono,
ti ringraziamo per aver chiamato
Padre Martino Capelli
a vivere nella tua Chiesa come religioso sacerdote, consacrato al tuo divin Cuore.
Ti chiediamo per la sua preghiera
di essere rafforzati nella speranza,
radicati nella carità,
perché anche la nostra vita possa essere un servizio
di amore a Te
e a tutti i nostri fratelli
per la gioia e la gloria del Padre.
Cuore di Gesù, nel tuo amore infinito,
concedici la grazia …
che fiduciosamente ti chiediamo,
per intercessione di P. Martino
figlio devoto di Maria Addolorata
e ardente apostolo di riconciliazione
e di pace. Amen.
Recitare con fede il «Padre Nostro››, l’«Ave Maria›› e il «Gloria al Padre».
lmprimatur: Bologna, 25.09.1995
+ Claudio Stagni. Vescovo Ausiliare. Vic. Gen.
Autore: Gianpiero Pettiti
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