"La libertà discende dalla morale cristiana, essa vive di generosità e di perdono".
In questa frase c'è l'anima di Giovanna di Savoia, Regina di Bulgaria ed amatissima madre del popolo bulgaro. In lei dolcezza e rigore non furono mai disgiunti, il dovere, "il terribile quotidiano" (secondo la definizione di Pio XI), non era che la base di partenza su cui edificare l'amore di Cristo: la vera bontà può cominciare solo dopo che si è fatto ciò che si deve, è quell'oltre che non può essere codificato, è la vera natura della vita, lo spazio lasciato al genio personale.
Tutta la sua vita fu questo, senza che ella lo abbia mai detto.
Nasce principessa felice il 13 novembre 1907, quartogenita di Vittorio Emanuele III e della Regina Elena. Di intelligenza brillante, coltiva un grandissimo amore per i libri e la cultura, concepiti come svago e rifugio, ma anche e, soprattutto, come strumento principe della sua formazione umana e cristiana, in vista di un futuro da Regina, cui si sentiva vocata.
L'educazione avuta dalla madre la porta a non separare mai la formazione intellettuale dalla carità, intesa come sentimento di amore e condivisione verso il prossimo. La carità è vivere l'amore di Dio e parteciparlo agli altri. Non c'è iato tra l'aspetto ascetico-teologico e l'aspetto morale. È dal suo abbandono in Dio che nasce l'amore verso il prossimo. Il fascino della spiritualità francescana su una simile anima è del tutto naturale. Il Poverello di Assisi non è per lei un modello sociale (verrebbe da dire sociologico), è un maestro di fede in Dio, di speranza nella Sua misericordia e provvidenza. Eloquente è l'episodio del voto fatto per la sua guarigione.
Nel settembre 1923 era stata colpita, insieme con la sorella Mafalda, da una gravissima forma di tifo. In tutta Italia si pregava per la loro guarigione. Le principesse erano assistite da due monache dell'Ordine di Santa Chiara. Questo contatto conquistò subito alla spiritualità francescana l'anima di Giovanna, che vi trovò un modo di sentire il Cristianesimo a lei congeniale. Quando i medici la definivano, ormai, in fin di vita, ella fece voto che, se fosse guarita, sarebbe divenuta devota del Patrono d'Italia e si sarebbe sposata ad Assisi. Il voto, realizzato a 16 anni, non consisteva, come spesso, troppo spesso, accade, in una rinuncia, in un privarsi di qualche cosa, quasi a pagare la grazia ottenenda; ma in un aggiungere qualche cosa, nell'offrire a Dio, per l'intermediazione di san Francesco nel caso specifico, quel di più di vita, quell'arricchimento che l'adempimento del voto comporta. Iddio vuole solo e sempre il nostro bene, la nostra realizzazione ed il voto diviene strumento per conseguirla. Solo con un di più di felicità siamo buoni cristiani. Il francescanesimo diviene, così, per la principessa Giovanna uno strumento di crescita spirituale. L'anno successivo sarebbe andata ad Assisi, insieme con la sorella Mafalda, in pellegrinaggio di ringraziamento per la guarigione.
In Giovanna ambizione e vocazione trovano una perfetta coincidenza: la sua massima ambizione è assolvere al meglio alla sua vocazione. Per questo in lei la preparazione, il continuo miglioramento divengono un dovere religioso: solo così potrà migliorare il suo modo di rispondere alla chiamata di Dio. Fin dalla sua primissima giovinezza ha sentito la vocazione al compito di Regina, Regina cristiana, vale a dire al servizio del popolo affidatale dalla Provvidenza. Il fascino di questo ruolo non risiedeva negli onori e tanto meno nel potere. Si sentiva chiamata al servizio, a quella forma di carità verso un popolo cui è vocata una Sovrana seguace di Cristo. E quale fosse la sua concezione della Maestà lo si è visto bene quando è salita sul trono. Non si è mai ingerita in questioni politiche, ma si è sempre prodigata per far sentire ai sudditi la presenza della famiglia reale al loro fianco.
L'unica azione con riflessi politici da lei compiuta è stata la difesa degli ebrei bulgari dalla persecuzione nazista. Ma anche questa non era sentita come una scelta politica, quanto piuttosto come l'ovvio dovere di una Regina cristiana di sovvenire alle esigenze della parte del suo popolo più immediatamente bisognosa del suo intervento. Era un dovere etico, una parte di quell'etica del servizio che l'ha sempre contraddistinta. E forse neppure questo, forse era solo una manifestazione dell'amore e della condivisione provate verso il suo popolo o, meglio, verso ciascuna persona del suo popolo, senza eccezioni, ma non in maniera indifferenziata.
Grande e forte fu il legame d'amicizia che unì monsignor Angelo Giuseppe Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII, oggi beato, a Giovanna e Boris III. Infatti, dal 1925 al 1934 monsignor Roncalli fu chiamato a ricoprire la carica di visitatore prima, poi come delegato apostolico di Bulgaria dopo. Monsignor Roncalli viene così inserito da papa Pio XIU in una terra attraversata da grandi fermenti politici e sul cui scacchiere internazionale giocano gli influssi della Francia e le aspirazioni dell'Italia fascista. Sul piano religioso il Paese possiede una forte maggioranza ortodossa ed una piccola minoranza cattolica e in questo contesto il nunzio cercherà il dialogo e la mediazione fra le due chiese. Più missionario che vescovo, più pastore di anime che diplomatico, Roncalli prende a cuore il legame fra cattolici ed ortodossi. Scriverà: "I cattolici e gli ortodossi non sono nemici, ma fratelli. Hanno la stessa fede partecipano agli stessi sacramenti, soprattutto alla medesima eucaristia. Ci separano alcuni malintesi intorno alla costituzione divina della Chiesa di Gesù Cristo. Coloro che furono causa di questi malintesi sono morti da secoli. Lasciamo le antiche controversie e, ciascuno nel suo campo, lavoriamo a rendere buoni i nostri fratelli, offrendo loro i nostri buoni esempi… Benché partiti da vie diverse ci si incontrerà nella unione delle Chiese per formare tutti insieme la vera e unica Chiesa di N.S. Gesù Cristo".
Quando nel 1934 dovrà, per obbedienza, lasciare questa terra che lo aveva visto protagonista di gesti di grande carità, come accadde fra i terremotati del 1928, si rivolgerà ai bulgari con parole vive e toccanti: "Da ora innanzi io non mi chiamerò più arcivescovo titolare di Areopoli, ma arcivescovo titolare di Mesembria. Per tal modo il ricordo della Bulgaria sarà di tutti i giorni; e tante volte mi tornerà gradito al cuore, quante volte la mia mano si alzerà nella solenne liturgia a benedire il popolo, o si stenderà sulla carta a firmare un documento. Ma anche voi, miei cari fratelli, conservate sempre vivo il ricordo di me, che intendo restare sempre amico vostro, sempre fervido amico della Bulgaria… In qualunque luogo del mondo mi accada di vivere, se alcuno di Bulgaria avrà a passare presso casa mia, durante la notte, fra le difficoltà della vita troverà sempre la lampada accesa. Batta, batta, non gli sarà chiesto se è cattolico o ortodosso: fratello di Bulgaria, basta, entri, due braccia fraterne, un cuore caldo di amico lo accoglieranno a festa…".
All'appuntamento di congedo da monsignor Angelo Giuseppe Roncalli la regina Giovanna profetizza: "Mio marito e io verremo a renderle omaggio in Vaticano quando lei sarà Papa". Con riferimento al caro incontro Roncalli registrerà sulla sua agenda in data 3 gennaio 1940: "Povere donne quando si illudono! Come la buona regina Giovanna di Bulgaria, che mi profetizzava il pontificato, e che lei e suo marito sarebbero venuti a farmi visita in Vaticano".
Il 28 ottobre 1958 la fumata bianca diede il suo responso a favore di Angelo Giuseppe Roncalli. Dopo l'elezione Giovanni XXIII ricevette in udienza la regina Giovanna l'8 novembre. Fu un incontro ricco di ricordi, di cordialità e di commozione: "Santità", affermò la regina, "ecco avverato il mio augurio del 3 gennaio 1935! Come allora assieme a mio marito avevo promesso, eccomi a lei, purtroppo senza il mio Boris, ma con tutti i voti miei e dei miei figli Maria Luisa e Simeone".
Nella storia dell'olocausto ebraico spiccano, per eroismo e testimonianza cristiana, le figure della regina Giovanna e del suo sposo, Boris III di Bulgaria; ciò è evidenziato dalle motivazioni del conferimento a quest'ultimo, da parte della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, del titolo di "salvatore degli ebrei bulgari", conferimento avvenuto il 12 maggio 1994 nelle mani del figlio Simeone II, ex Primo Ministro di Bulgaria:
"Poiché, durante gli anni dell'Olocausto, ad eterna vergogna della razza umana, la maggior parte dei non ebrei furono indifferenti alla carneficina dell'ebraismo europeo; e poiché, nonostante intense pressioni naziste, i bulgari, sotto la coraggiosa guida di Re Boris III, difesero e protessero gli ebrei bulgari e cercarono di risparmiarli dalla distruzione pianificata per loro; e poiché Re Boris e la Regina Giovanna rischiarono la loro vita e la loro sicurezza personale per proteggere gli ebrei dalla deportazione e per assicurare agli ebrei un transito sicuro verso aree non occupate dai nazisti.
Quindi si risolve che l'ebraismo mondiale e le persone degne di onore salutano la Bulgaria e la famiglia reale bulgara per il suo ruolo eroico nel salvare la maggioranza dei quarantottomila ebrei bulgari e per commemorare eternamente questo sentimento viene innalzata la foresta del Re Boris nella terra d'Israele".
Ad ulteriore testimonianza della gratitudine dell'ebraismo mondiale verso la Casa reale di Bulgaria, la Fondazione nazionale ebraica ha conferito il 23 maggio 1994 a Boris III, sempre a mani del figlio Simeone II, la Legion d'onore.
Il modo con cui la Regina Giovanna considerasse tutto quanto compiuto ed eroicamente compiuto a favore degli ebrei bulgari è testimoniato dal fatto che non ne fece mai accenno neppure nelle sue Memorie, nemmeno per rispondere alle menzogne della propaganda comunista nei confronti della Dinastia.
"La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto" (1 Cor 13,4-5).
L'amore che la Regina Giovanna e Re Boris nutrivano per il loro popolo non aveva nulla di indistinto e collettivo, ma era vicinanza anche fisica con le persone; le distanze tra la Casa regnante e l'ultimo dei sudditi erano state cancellate o quasi. Ogni bulgaro sentiva i suoi Sovrani come suo sostegno, morale e materiale; sentiva che le loro vite erano spese per lui. Il mutamento di stile dall'epoca di Re Ferdinando, il padre di Boris, non poteva essere più netto, anche se permane una sostanziale continuità.
Ferdinando è il sovrano che dà indipendenza alla Nazione e crea lo Stato. Avvia un processo di modernizzazione molto ampio; costruisce i maggiori palazzi di Sofia, rendendo questo villaggio dell'Impero ottomano una capitale europea; avvia l'industria estrattiva e quella tessile; crea la rete ferroviaria; costituisce le forze armate: dà, insomma, ai bulgari la sensazione e la realtà di essere rientrati in Europa, dopo la lunga occupazione turca. Altro grande risultato è la bulgarizzazione di una dinastia, quella dei Sassonia Coburgo-Gotha, di origine franco-tedesca. L'approccio è chiaramente quello dell'esaltazione dell'autorità del Sovrano, del suo potere, come strumento di riscatto per la nazione. È, mutatis mutandis, un'opera simile a quella realizzata in Italia da Umberto I e, soprattutto, dalla Regina Margherita.
Una volta unita la Nazione intorno allo Stato ed alla Dinastia, è stato possibile fare il passo successivo, vale a dire rendere la Dinastia parte integrante del popolo bulgaro. Non era raro che la Regina Giovanna e Boris III si recassero a desinare in umili case di contadini o di povera gente, dando a queste famiglie e, loro tramite, ad ogni bulgaro l'orgoglio di essere commensale dei propri Sovrani. La monarchia ritrova le sue origini: lo Zar (come è chiamato il Re in Bulgaria) non è una istituzione astratta e lontana, ma è la guida, il sostegno, il punto di riferimento di tutto il popolo e di ogni suddito, in una cultura che vede nell'appartenenza alla Nazione l'unico modo di essere per l'individuo.
Questo legame tra il popolo ed i suoi Sovrani è così forte che quasi cinquant'anni di comunismo non sono riusciti a cancellarlo e la Regina Giovanna ha potuto assaporare la gioia della manifestazione pubblica dell'affetto della Nazione bulgara nei suoi confronti, quando, dopo la caduta del regime, è potuta rientrare in Patria. Nel 1993, in occasione dei cinquant'anni della morte di Re Boris, la Regina Giovanna, all'età di ottantasei anni, compì la sua prima visita ufficiale in Bulgaria, dopo l'esilio. Vivida è la descrizione che fa dell'evento la principessa Maria Luisa, figlia primogenita della stessa Regina Giovanna e di Re Boris:
"Portammo una sedia a rotelle, ma non la utilizzammo, perché Mamà ritrovò un'energia incredibile. La gente la accolse con un calore che neppure lei poteva immaginare. Non l'avevano dimenticata e continuavano ad amarla, perciò fu un trionfo. La nuova ideologia imposta alle nuove generazioni non era riuscita a cancellare l'antica cultura, le sane aspirazioni nazionali, i vecchi sentimenti suscitati dagli scrittori e dai poeti della Bulgaria libera. E per il popolo continuava ad essere la madre di quella Bulgaria".
La spiritualità della Regina Giovanna è profondamente ed intimamente materna. Ella fu madre dei suoi figli e dei suoi sudditi. La sua maternità è una delle più alte sintesi di tenerezza e rigore. Ella è tanto appagata dal suo modo di sentire la vita, anche sul piano etico e spirituale, da sentire il bisogno di trasmetterlo ai suoi figli, non come un'imposizione, una castrante e legalistica osservanza di norme, ma come il più naturale e bel modo di vivere: l'etica diviene saggezza che evita sofferenze in futuro. L'educazione è preparazione al futuro, è fonte di gioia. Ella diceva: "Spiegai ai miei figli: "O adesso vi dico sì a tutto, e un giorno lo rimpiangerete; oppure oggi vi rendo scontenti in qualcosa, ma un giorno mi ringrazierete"".
Tutto era naturale, quasi ovvio, vissuto con tutta la persona e non solo con la ragione e la volontà, come traspare dalle parole della principessa Maria Luisa. "Al primo posto Mamà metteva la fede, la sua grande fede in Cristo, ed è quella che l'ha sempre sostenuta: il segreto del suo stoicismo stava proprio in quel credo mai ostentato, ma riservato, chiuso nel suo cuore. I suoi soci erano san Francesco e sant'Antonio. Di natura allegra non soffriva di cattivi umori e se tristezza c'era nel suo cuore, non la diede mai a vedere. Mai una lacrima scorgemmo sul suo volto. Sapeva, però, essere severa e rigorosa: quando era no era no. Primeggiava in lei la parola dovere, dovere verso il buon Dio, la Patria e i genitori".
Questa educazione si riverbera in modo sorprendente nei suoi due figli. Il senso del dovere che diviene dedizione. Re Simeone e la principessa Maria Luisa portano i segni di persone che sono passate attraverso la grande tribolazione, ma con una guida, che ha permesso loro di trasformare la sofferenza in fonte di forza etica, in maturità di vita,oltre che (ed è questa la cosa più sorprendente) in gentilezza d'animo, in finezza spirituale e sensibilità verso le persone con cui vengono in contatto. E proprio questo garbo era il tratto distintivo della Regina Giovanna, del suo approccio con il prossimo.
Il tratto dolce del suo carattere non può far dimenticare la grande forza che l'ha accompagnata nei momenti tragici della vita. Questo elemento della sua personalità emerge in maniera più chiara nel periodo più duro della sua esistenza, vale a dire dalla morte del marito all'esilio.
Il 28 agosto 1943 moriva Boris III moriva avvelenato per mano dei sovietici, dopo cinque giorni di terribile agonia. Anche e soprattutto la morte di Boris ci può far capire l'umile grandezza di Giovanna come Regina e come sposa. Lunedì 23 il Re lascia la sua famiglia nella residenza montana di Tzarska Bristritza per recarsi a Sofia; salutò la moglie, parlò teneramente con i figli, Maria Luisa e Simeone, poi li baciò e la moglie gli domandò: "Quando torni?"; rispose: "Cercherò di rientrare stasera". Dall'automobile salutò con la mano. "Questo gesto… fu l'ultimo suo ricordo da vivo", come annota la Regina nelle sue memorie.
Giunto nella capitale, verso le 10,30, il Re si mise subito al lavoro con il capo della cancelleria Groueff ed altri funzionari, ma già alle sette della stessa sera cominciò a sentirsi molto male; si ritirò in camera, vomitò e fu preso da delirio. Venne avvertito il Principe Cirillo, fratello del Re, che chiamò i medici di corte. Con il resto della Nazione fu mantenuto il più stretto riserbo, Governo e consorte compresi. Martedì sera egli si reca dalla sorella, principessa Eudossia, per avvisarla della malattia di Re Boris e pregarla di andare al monastero di Rila (il più importante e popolare luogo di culto di tutta la Bulgaria, intitolato al protettore del Paese, san Giovanni di Rila) per accendere una candela, all'uso ortodosso, e per pregare, cosa che lei fece l'indomani mattina, recandosi successivamente al capezzale di Boris e constatandone le gravi condizioni.
Giovanna non ebbe notizie del marito, che lei attendeva per la sera di lunedì, per tutta la giornata di martedì e per tutta quella di mercoledì. Conscia del tragico momento che attraversava la Patria e dell'essenzialità dell'azione del sovrano in tali circostanze, certa dell'amore del consorte, pensò che improrogabili impegni gli avessero impedito di avvertirla: così attese. Solo la sera di mercoledì chiamò e le fu risposto che il Re era troppo impegnato per risponderle e che, tra l'altro, non si era sentito bene. Allarmata, Giovanna richiamò più tardi e le fu risposto che Boris si sentiva meglio e che era con lui il Principe Cirillo, circostanza che tranquillizzò la Regina. L'indomani le fu detto che lo Zar era malato, ma la sua presenza a palazzo non era necessaria. Nel pomeriggio però, inattesi, giunsero a Tzarska Bristritza uno dei medici di corte e l'ispettore di palazzo, i quali riferirono che il sovrano era peggiorato. Alle 21 ricevette una telefonata da quello stesso medico che la pregava di venire a Sofia, perché le condizioni del Re erano gravi. Ella scattò, baciò i bambini ed ordinò all'autista di raggiungere palazzo reale il più in fretta possibile. Vi giunse alle 22,30 circa. Dopo aver ascoltato la diagnosi dei medici, che lasciava poco spazio alla speranza, si recò al capezzale del marito, presso il quale si dimostrò molto più serena di quanto in realtà fosse. Divise il suo tempo tra la veglia a Boris e la veglia di preghiera nella chiesa cattolica ed in quella ortodossa. Per due giorni e tre notti curò, vegliò e pregò, finché alle 16,22 di sabato 28 agosto 1943 la vita di Re Boris si spense.
In Giovanna l'amore non è mai giustificazione o anche solo attenuante per sfuggire ai propri doveri o alla dedizione verso lo sposo, i figli e la Patria, dedizione che ha segnato la sua vita. Ella patisce uno strazio indicibile per non avere notizie del marito; soffre incredibilmente per avere notizie scarne e poco attendibili sulla sua salute. Ma, anche in quelle circostanze terribili, la sua preoccupazione è quella di essere di conforto a Boris, di essergli vicina il necessario per lui, di sostenere lo sposo e la Patria già così scossi, trattenendo i suoi sentimenti. Ancora una volta è "al servizio", è dedita. Sempre con un amore umile e forte, con un dominio di sé degno di un grande asceta, ma con una concretezza ed un calore degni di una sposa e di una madre. Non le mancherà il coraggio (come dimostrato dalla forza con cui ha difeso i suoi figli di fronte al potere comunista), ma esso non deborderà mai in avventatezza, sarà sempre temperato dalla fermezza, dal dominio di sé, dalla forza dolce, in altre parole dall'amore di una donna, nel senso più pieno ed alto del termine.
Per maggiori informazioni:
Cristina Siccardi
Giovanna di Savoia. Dagli splendori della reggia alle amarezze dell'esilio
Ed. Paoline
Autore: Cristina Siccardi
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