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Beati Martiri di Unzen

Festa: 28 febbraio

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† Unzen, Giappone, 28 febbraio 1627

16 laici giapponesi della diocesi di Funai subirono il martirio presso Unzen il 28 febbraio 1627 nel contesto di feroci ondate persecutorie contro i cristiani. Del gruppo fanno parte Paolo Uchibori Sakuemon (sposato), Gaspare Kizaemon, Maria Mine (moglie del beato Gioacchino Mine Sukedayu), Gaspare Nagai Sohan (sposato), Ludovico Shinzaburo, Dionigi Saeki Zenka con suo figlio Ludovico, Damiano Ichiyata (sposato), Leone Nakajima Sokan con suo figlio Paolo, Giovanni Kisaki Kyuhachi, Giovanni Heisaku (sposato), Tommaso Uzumi Shingoro, Alessio Sugi Shohachi, Tommaso Kondo Hyoemon (sposato) e Giovanni Araki Kanshichi.
In seguito ad un rapido processo iniziato con il Nulla Osta della Santa Sede concesso in data 2 settembre 1994, è stato riconosciuto il loro martirio il 1° luglio 2007 e sono stati beatificati il 24 novembre 2008, sotto il pontificato di Papa Benedetto XVI, unitamente ad un gruppo complessivo di 188 martiri giapponesi.


La repressione dei cristiani di Nagasaki

L’arrivo del cristianesimo in Giappone
Guidato da un’incrollabile fede, Francesco Saverio intraprese un viaggio verso l’estremo oriente, approdando a Satsuma (parte occidentale dell’odierna prefettura di Kagoshima, nel Kyūshū) nel 1549. Il suo obiettivo era ambizioso: diffondere il vangelo cristiano in un paese ancora legato a tradizioni millenarie.
In quel periodo, in Giappone, il potere era nelle mani di Oda Nobunaga, un abile stratega che aveva unito sotto il suo dominio gran parte del territorio. Pur concedendo inizialmente protezione ai cristiani, permettendo la costruzione di luoghi di culto a Kyōto e Azuchi, Nobunaga non era mosso da semplice tolleranza. I suoi calcoli erano ben precisi: i missionari rappresentavano un ponte verso l’Occidente, un’opportunità per acquisire tecnologie e conoscenze che avrebbero potuto rafforzare il suo dominio. Armi da fuoco, segreti per la produzione della seta grezza, nozioni di astronomia: tutto ciò era accessibile solo attraverso i commerci con Portogallo e Spagna. Nobunaga era pronto a sfruttare la devozione di Saverio per i propri fini politici.
Sotto l’influenza di missionari gesuiti, il Cristianesimo iniziò a diffondersi in tutto il Giappone e, tra le aree che accolsero con favore la nuova fede, Nagasaki si distinse come un vero e proprio centro fiorente. Qui, il signore feudale Ōmura Sumitada (大村純忠), mosso da una profonda conversione, si distinse come il primo daimyō cristiano. La sua decisione ebbe un impatto rivoluzionario: Nagasaki divenne un porto franco aperto al commercio estero, attirando mercanti e missionari da tutto il mondo.
Alla morte di Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi prese il potere mostrandosi inizialmente a sua volta benevolo verso il Cristianesimo. Tuttavia, l’incidente della nave spagnola San Felipe del 1596 segnò una drastica svolta nella sua politica. Durante gli interrogatori, l’equipaggio rivelò la natura espansionistica dell’impero spagnolo, affermando che la diffusione del Cristianesimo in Giappone era solo l’inizio di una futura occupazione dei territori, come era già successo in altre zone dell’Asia Orientale. Questa scoperta spinse Hideyoshi ad assumere una posizione nettamente contraria al Cristianesimo, che culminò nella crocifissione e nel martirio di 26 tra sacerdoti e fedeli a Nagasaki.
Tokugawa Ieyasu, fondatore dello shogunato Tokugawa nel 1603, emanò editti di espulsione per i missionari, allontanandoli dal Giappone. Questa mossa diede inizio a un periodo di chiusura del paese verso l’Occidente. Nel 1637, la ribellione di Shimabara (島原の乱, Shimabara no ran), guidata dal cristiano Amakusa Shirō (天草四郎), rappresentò una sfida diretta all’autorità dello shogunato. La ribellione, sebbene repressa nel sangue, spinse il terzo shōgun Tokugawa, Iemitsu, a rafforzare la proibizione del Cristianesimo e a chiudere quasi completamente il Giappone all’Occidente dando inizio ad un periodo di autarchia conosciuto con il nome di sakoku (鎖国), letteralmente, “il paese incatenato”.
La sua decisione era motivata da diverse ragioni: il timore di influenze straniere che potessero minare la stabilità del suo regime, la preoccupazione per la diffusione di idee incompatibili con la cultura giapponese e la volontà di preservare l’autonomia religiosa del paese.

La repressione del cristianesimo a Nagasaki

Il fumie – 踏み絵
Tra il 1620 e il 1630, a Nagasaki ebbero inizio le persecuzioni religiose contro i cristiani. Nelle fasi iniziali della repressione del cristianesimo i missionari e i fedeli non erano condannati immediatamente a torture efferate. Per costringerli all’abiura e come prova della loro rinuncia alla fede, venivano sottoposti a un test crudele: erano costretti a calpestare un’immagine della Vergine Maria, realizzata in carta o in legno. Questa prova prendeva il nome di fumie (踏み絵). Il termine e composto da due due kanji: il primo, fumi 踏み, “calpestare” e il secondo quello di “e” (絵) per indicare un dipinto.
L’atto del calpestare un bassorilievo della Vergine Maria di fronte a funzionari del governo di Nagasaki: chi cedeva a questa umiliazione, rinunciando alla propria fede, e abbracciava il Buddismo, veniva graziato. Questo atto di apostasia rappresentava una lacerazione profonda per la loro anima, un tradimento dei loro valori più intimi in cambio della sopravvivenza fisica.
L’atto di calpestare l’immagine della Vergine Maria, assumeva un significato estremamente simbolico per i cristiani di quell’epoca. Non si trattava di un semplice gesto di obbedienza, ma di una vera e propria abiura della propria fede, un atto di apostasia che segnava una macchia indelebile sulla coscienza. Coloro che cedevano a questa pressione, rinunciando al Cristianesimo e convertendosi al Buddismo, lo facevano spesso con il cuore straziato, divisi tra la paura della tortura e la fedeltà ai propri principi.
Questo metodo repressivo si diffuse presto in diverse aree del Kyūshū, ad eccezione di alcune zone come il dominio di Satsuma. Successivamente il fumie venne esteso a tutta la popolazione, diventando di fatto un vero e proprio strumento di controllo e repressione.
Inizialmente, le tavole per il fumie venivano realizzate utilizzando immagini sacre confiscate ai cristiani. Tuttavia, a causa dei danni subiti e con l’istituzionalizzazione e la diffusione di questo sistema, le tavole stesse subirono un processo di standardizzazione. Per questo motivo, vennero ampiamente utilizzate tavole in metallo con immagini religiose in rilievo oppure, tavole in ottone.
L’inasprimento delle misure anti-cristiane spinse l’Ufficio del Magistrato di Nagasaki a commissionare la realizzazione di tavole per il fumie in ottone. Oltre a sopperire alla carenza di tavole, questo provvedimento mirava ad acquisire il controllo sull’autorità di perseguitare i cristiani nella regione, attraverso la distribuzione delle tavole agli altri feudi del Kyūshū.
Sebbene il sistema del fumie fosse ufficialmente istituzionalizzato solo nel Kyūshū, procedure simili venivano applicate sporadicamente anche in altre zone del paese in caso di sospetti infiltrati o di senpuku kirishitan (潜伏キリシタン), i cristiani nascosti.
Con il tempo, a Nagasaki il fumie divenne un evento annuale che si svolgeva in ogni quartiere il primo giorno dell’anno. Nonostante l’abolizione ufficiale del sistema con la firma del Trattato di amicizia e commercio tra Giappone e Stati Uniti nel 1858, come testimoniano i registri dell’epoca, la pratica continuò ad essere applicata per alcuni anni in alcune zone al di fuori di Nagasaki.

Anazuri – 穴吊り
Lo anazuri era un altro metodo di tortura utilizzato per forzare i cristiani all’ abiura.
L’anazuri, una tortura atroce che letteralmente significa “appendere nella fossa”, consisteva nel calare le vittime, legate e capovolte, in una fossa adibita a discarica. Il sangue affluiva alla testa provocando un dolore lancinante e inesorabile che, con il passare delle ore, diventava indescrivibile. Le vittime, in questa condizione di agonia, erano costrette ad ascoltare per ore le insistenti parole di un funzionario che le incitava a rinunciare alla propria fede promettendo loro sollievo e liberazione.
“Rinuncia alla tua fede. Se rinunci alla tua fede, ti aiuteremo. Rinunciando, ti sentirai meglio”
Era una tortura efferata che prolungava l’agonia delle vittime, aveva come obiettivo la loro abiura piuttosto che la loro morte. I funzionari giapponesi, consapevoli del potere del martirio nel rafforzare la fede, escogitarono questo metodo per spezzare la volontà dei cristiani, costringendoli a rinunciare al loro credo sotto il peso di una sofferenza inenarrabile. Un atto di apostasia forzata, dunque, una conversione imposta dove la fede era la vera vittima sacrificale, immolata sull’altare della disperazione.
Lo shogunato, temendo il potere motivante del martirio, escogitò una strategia subdola per estirpare la fede cristiana: la tortura dei leader spirituali. Si pensava che l’abiura di figure autorevoli avrebbe causato un effetto domino di apostasie tra i fedeli. Per questo motivo, inizialmente il potere dominante optò per la coercizione all’abiura, piuttosto che per l’esecuzione, ritenendola un metodo di persecuzione più efficace e meno controproducente.
Un mio conoscente giapponese cattolico che conosce approfonditamente le vicende legate al cristianesimo della zona di Nagasaki, mi ha spiegato anche alcune preghiere che si sono diffuse tra i vari gruppi di cristiani di quel periodo e che venivano recitate da chi veniva sottoposto a questa tremenda tortura. Si dice che pregassero dicendo: “Prego, Signore, prendi la mia vita prima che io cada”.  In quel periodo, i cristiani usavano l’espressione “cadere” (転ぶ, korobu in giapponese) per indicare proprio  l’apostasia.

水磔 – Suitaku
La crocifissione in acqua
Tra i supplizi della crocifissione, il più crudele è senza dubbio quello dove il condannato, capovolto, veniva fissato a un palo in acque basse soggette a violenti flutti e maree. Non solo subisce l’atroce dolore del reflusso sanguigno, ma è condannato a vivere l’incubo di annegare con l’innalzarsi della marea, una duplice agonia che dilania sia il corpo che la mente.
Si dice che questa crocifissione in acqua sia stata ideata all’inizio del periodo Edo, e si dice che un gran numero di cristiani siano stati crocifissi anche sulla spiaggia di Shinagawa poco la fondazione della città.

Unzen no junkyōsha – 雲仙の殉教者
I martiri di Unzen

A pochi chilometri da casa mia si erge l’Unzendake (雲仙岳) , un vulcano attivo situato al centro della penisola di Shimabara, nella prefettura di Nagasaki. E una montagna bellissima e maestosa con una natura mozzafiato che mostra uno splendido susseguirsi delle stagioni. Tuttavia, su questa montagna c’è una ferita rimasta aperta nel corso dei secoli e al susseguirsi delle stagioni: una croce di pietra che sembra aprire le braccia tra le rocce bruciate e i vapori dello shōnetsu jigoku di Unzen (雲仙焦熱地獄), l’inferno di Unzen.
La maggior parte dei turisti associano Unzen solo alle eleganti terme che circondano il suo “inferno”, spesso ignorando la ricca storia sepolta sotto la sua superficie bollente. Ignorato dai turisti attratti dalle sue terme lussuose, questo gigante ha forgiato la penisola con eruzioni devastanti, l’ultima delle quali tra il 1991 e il 1994. Tra le sue ceneri sono nate storie di eroismo sovrumano, come quella di Paulo Uchibori. Un patrimonio storico che negli ultimi decenni è stato riscoperto e valorizzato.
Tra il 1627 e il 1632, il Giappone si macchiò di un’atrocità che avrebbe segnato per sempre la storia della religione cristiana: il martirio di Unzen. Nella regione di Shimabara, il signore feudale Matsukura Shigemasa (松倉 重政), animato da un feroce zelo anticristiano, scatenò una brutale persecuzione contro i fedeli. A sostenere la sua crociata di terrore fu Takenaka Shigeyoshi, nominato magistrato di Nagasaki nel 1629. Le sorgenti termali vulcaniche di Unzen, soprannominate, Unzen jigoku (雲仙地獄), l’ “Inferno di Unzen“, divennero il macabro palcoscenico di questo martirio.
I cristiani, con la forza e la minaccia di torture atroci, venivano costretti ad abiurare la loro fede ai bordi delle acque bollenti. Coloro che, con incrollabile coraggio, rifiutarono di rinnegare la propria fede, venivano spogliati, legati mani e piedi, e condannati a una morte orribile: venivano cosparsi con l’acqua bollente, o immersi direttamente nelle acque straziati dal dolore e dalla disperazione. Unzen Jigoku si trasformò così in un simbolo di intolleranza religiosa e di immane sofferenza, un monito tragico che ancora oggi risuona nella memoria collettiva.

Arima Harunobu
Figura emblematica del cristianesimo tra i daimyō, Harunobu Arima (有馬 晴信) intraprese un percorso spirituale complesso e contraddittorio. Inizialmente, si allontanò dalla fede, giungendo persino a demolire le chiese erette sotto il regno del padre Yoshisada. Tuttavia, esigenze politiche e la necessità di salvaguardare il proprio dominio lo spinsero ad abbracciare il battesimo. Con il tempo, la sua conversione si trasformò in una sincera e profonda devozione alla fede cristiana.
Sotto il comando di Arima Harunobu, la terra di Arima (attuale zona di Minami Shimabara, 南島原) si ergeva a baluardo del cattolicesimo in Giappone. Ma nel 1612, un colpo di scena travolse il feudo: lo shōgun condannò all’esilio Harunobu accusandolo di corruzione, condannandolo a morte e consegnando di fatto il suo dominio al figlio Naozumi, piegandosi all’ordine dello shōgun, abiurò la fede cristiana, abbracciò il buddismo e giurò al suo signore terreno di estirpare la religione cattolica dal suo dominio.

Obama – 小浜市
La città di Obama custodisce una memoria indelebile. I cristiani catturati ed imprigionati nelle zone di Nagasaki venivano deportati via nave dal porto di Mogi alla città di Obama, situata alle pendici del monte Unzen. Da qui, iniziarono la loro ascesa verso i cosiddetti inferni, in un evento noto come yama–iri (山入), traducibile letteralmente come “entrare nella montagna”.
Durante il periodo di persecuzione dei cristiani, coloro che venivano catturati a Nagasaki sbarcavano su una spiaggia, Ishiaihama (石合浜), dopo aver attraversato la baia di Tachibana (橘湾, Tachibana-wan), partendo dal porto di Mogi (茂木港, Mogi-ko) La spiaggia è stata inghiottita dalla strada ma nell’ufficio del turismo di Obama sono conservate delle foto risalenti al periodo Meiji.
I cristiani, una volta finiti sulla spiaggia, venivano legati tra loro e appesantiti con pietre al collo, poi condotti sul monte Unzen e condannati a un’atroce morte. Oggi, un piccolo parco, l’ Ishiai Kōen (石合公園), sorge sulla costa dove si consumarono questi tragici eventi, offrendo un luogo di memoria e riflessione. Il parco è un monito a non dimenticare le sofferenze del passato e a custodire i valori di libertà e tolleranza.
Dietro il municipio di Obama c’è una sorgente conosciuta come ue no kawa yūsui (上の川湧水), anch’essa teatro di eventi tragici durante l’epoca della persecuzione dei cristiani. Come riportato all’interno della kirishitan junkyōshi no hiwa (キリシタン殉教史の悲話), la “Tragica storia del martirio dei cristiani” del 1629, questa sorgente rappresentava l’ultimo possibile ristoro di un viaggio disperato per i condannati a morte. Condotti verso il loro supplizio sotto un sole implacabile, non potevano nemmeno sperare in un sollievo dalla sete. Le guardie, invece, indifferenti al loro dolore, si concedevano il privilegio di dissetarsi presso questa fonte. Oggi, la sorgente è un luogo di memoria e di riflessione, un monito a non dimenticare le sofferenze del passato e a custodire i valori di libertà e tolleranza.
Nello stesso luogo c’è anche una piccolo monumento in ricordo del martirio dei cristiani passati per questo luogo.
Lungo la strada statale che sale verso Unzen si incontra una fermata dell’autobus che prende il nome mimitori (耳採). In questo luogo i cristiani subivano l’atroce mutilazione dell’orecchio sinistro. La leggenda narra che gli abitanti del villaggio, mossi da compassione, raccolsero le orecchie recise e le seppellirono in un tumulo, detto mimizuka (耳塚) un monito silenzioso contro la barbarie umana. Questo mimizuka rimase intatto per secoli, un simbolo tangibile della sofferenza e della fede incrollabile dei cristiani, fino al 1957, quando la ristrutturazione della strada nazionale ne decretò la scomparsa.
Si narra anche che i Ventisei Santi Martiri di Nagasaki, durante il loro trasferimento da Kyōto a Nagasaki, per ordine di Hideyoshi, avrebbero dovuto subire il taglio dell’orecchio sinistro e del naso al loro arrivo al ponte ichijō modoribashi. Tuttavia, sembra che Ishida Mitsunari, provando compassione per i cristiani, riuscì a far sì che venissero mutilate solo l’orecchio orecchie sinistro.
Non è chiaro perché anche ai cristiani di deportati in queste zone siano state tagliate le orecchie: forse per costringerli ad abiurare o come segno di riconoscimento in caso di fuga, o semplicemente perché i funzionari seguirono semplicemente l’esempio di Kyōto.

Unzen junkyōdō – 雲仙殉教道
La via del martirio di Unzen

Lungo la strada statale che da Obama conduce all’ingresso di Unzen, un bivio indica il strada che conduce verso la Unzen Kyōkaidō (雲仙教会堂), la chiesa cattolica edificata nel 1981 in memoria dei martiri cristiani in occasione della visita papale a Nagasaki. Un cippo in pietra segna il luogo dove i condannati, prima di essere torturati all’Inferno di Unzen, percorrevano la cosiddetta Unzen junkyōdō (雲仙殉教道, la via del martirio di Unzen). La lapide, eretta circa 400 anni dopo quei tragici eventi, ne conserva il ricordo.
La lapide commemorativa riporta il seguente testo:
“Sotto il regime dello shogunato di periodo Edo, i cristiani subirono una dura persecuzione, costretti a rinnegare la loro fede e ad affrontare terribili sofferenze. Tra il 1627 e il 1632, Unzen si trasformò in un luogo di supplizio per i cristiani, dove vennero sottoposti a torture efferate come l’immersione in acqua bollente. Molti fedeli morirono per la loro fede, ma nemmeno il potere dello shogunato fu in grado di annientare la loro profonda devozione. Questo luogo è il crocevia dei sentieri che provengono da Obama e Ariie (ora parte di Minami Shimabara). Si narra che i cristiani percorressero queste vie per giungere a Unzen. Il cippo di pietra in basso a destra risale a quell’epoca.”

Il monumento dei Martiri di Unzen
Come accennato in precedenza gli inferni di Unzen sono una famosa meta turistica all’interno delle sorgenti termali di Unzen. Si trova all’interno del primo parco nazionale del Giappone, il Parco Nazionale Unzen-Amakusa. L’area è avvolta dall’aroma di zolfo, con vapore che sgorga dal sottosuolo e nuvole di vapore che si aggirano intorno, creando un paesaggio infernale. E possibile esplorare a piedi e gratuitamente circa 30 inferni diversi. Tra questi, l’inferno anche quello conosciuto come Oito jigoku, all’interno del quale è stato costruito un monumento dedicato ai martiri cristiani, apparso nella scena iniziale del film Silence, chinmoku (沈黙), in giapponese.
Proprio nel cuore del Parco Nazionale Unzen-Amakusa, si trova l’Unzen Jigoku (雲仙地獄), l’Inferno di Unzen, una suggestiva zona geotermica che attira visitatori da tutto il mondo. Qui, dove il sibilo del vapore si mescola a l’acre odore di zolfo, si dispiega un paesaggio infernale che lascia senza fiato. La parola “jigoku” ha il doppio significato di “sorgente termale” e “inferno”.
Percorrendo i sentieri gratuiti che si snodano tra fumarole gorgoglianti e pozze di fango bollente, ci si immerge in un’atmosfera surreale. Sembra quasi di aver varcato le soglie degli inferi, dove la crosta terrestre ha squarciato un varco verso le profondità incandescenti del pianeta. Più di 30 “inferni” differenti costellano la zona e tra questi, spicca l’Oito Jigoku (お糸地獄), dove il fango ribolle come un calderone infernale.
L’Inferno di Unzen non è solo un luogo di meraviglia naturale, ma anche un sito ricco di storia e spiritualità. Nel suggestivo scenario dell’Oito Jigoku, un monumento rende omaggio ai martiri cristiani che qui persero la vita. La loro storia si intreccia con la forza brutale della natura, creando un’atmosfera carica di emozioni che invita alla riflessione.
Gli appassionati di cinema riconosceranno nell’Inferno di Unzen alcuni scorci familiari. Questo luogo infernale, infatti, ha fatto da sfondo alle scene iniziali del film “Silence”, diretto da Martin Scorsese. Passeggiando tra i sentieri fumanti, si rivive l’atmosfera opprimente che ha ispirato il regista.

Oito-jigoku – お糸地獄
L’ Oito Jigoku, l’Inferno di Oito, custodisce una leggenda che risale alla fine del 1800. Protagonista di questa storia è Oito, una donna agiata che viveva nei pressi del castello di Shimabara. La sua vita fu sconvolta dall’accusa di un crimine terribile: l’omicidio del marito, compiuto con la complicità del suo amante. Condannata a morte, Oito subì la sua esecuzione. Ma proprio nell’istante fatale, la leggenda narra che un jigoku, sgorgò dal sottosuolo, come un macabro presagio del suo destino ultraterreno.
Sulla collina che sovrasta l’inferno di Oito si trova il Monumento ai Martiri Cristiani. Eretto durante il periodo Meiji (1868-1912), per commemorare i 33 cristiani che furono torturati e uccisi a Unzen tra gli anni Venti e Trenta del Seicento.
Come scritto in precedenza a partire dal 1627, decine di cristiani vennero prelevati da tutta Nagasaki e dalla penisola di Shimabara e portati a Unzen, dove furono torturati nelle sorgenti infernali, finché non avessero abiurato la loro fede. Molti si rifiutarono; forse fu proprio il loro sacrificio ad ispirare la gente di Unzen a commemorare i martiri dopo la revoca del bando sul Cristianesimo.
Nonostante l’impossibilità di identificare con precisione i luoghi del martirio di cristiani per mancanza di formati storiche e perché nel corso dei secoli le diverse eruzioni hanno modificato sostanzialmente il paesaggio, due lapidi monumentali sono state erette a imperitura memoria dei martiri.
Lungo il percorso che si snoda oggi attraverso l’Oito jigoku si possono incontrare tre monumenti commemorativi in ricordo dei 33 martiri cristiani qui periti tra il 1627 e il 1631. Il Monumento della Fiamma Sacra, Seika Moyu no Hi (聖火燃ゆの碑), una pietra eretta nel 1939 e scolpita con un haiku del poeta Ikuta Chōsuke, che recita come segue”
“I vostri spiriti elevati e il sacro sangue rossonon sono mai venuti meno e si vedono ancora vividamente attraverso la montagna rossa ricoperta di fiori di azalea.”
Come un monito silenzioso una croce si erge tra la quiete del paesaggio. Voluta dall’Arcivescovo di Nagasaki nel 1961: sulla base, i nomi di sei martiri ricordano la loro sofferenza e testimoniano la fede tenace dei cristiani del passato e del presente. Immersi nella bellezza del paesaggio e nella ricca storia del luogo, si scopre la resilienza dei cattolici giapponesi di fronte alle persecuzioni subite.
Concludo questo articolo con la frase riportata sul monumento:
“A partire dal 1627, per ben cinque anni, l’Inferno di Unzen fu teatro di un martirio che presto risuonò oltre i confini del Giappone, commuovendo i cuori di molti. Decine di uomini e donne, senza mai piegarsi, subirono il martirio per la loro fede, gettati nelle pozze di zolfo bollente o cosparsi di acqua rovente su tutto il corpo. Seguendo l’insegnamento sacro “Non temete colui che può uccidere il corpo, ma non l’anima”, onorarono la fedeltà a Dio e la dignità dell’anima, trionfando sulla tortura e sulla morte. La gloria di questi santi martiri, vincitori di prove terribili, rimarrà impressa in questo luogo per sempre.“


Fonte:
https://www.ombrellirotti.asia/2024/07/02/i-martiri-cristiani-di-unzen/

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Aggiunto/modificato il 2024-09-26

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