San Salvador de Jujuy, Argentina, 29 giugno 1626 – Valle del Zenta, Argentina, 27 ottobre 1683
Pedro Ortiz de Zárate, nato il 29 giugno 1626 a San Salvador de Jujuy in Argentina da una famiglia di origine basca, divenne sacerdote dopo essere rimasto vedovo e aver affidato i due figli avuti da Petronila Ibarra Argañarás y Murguía, che aveva sposato a diciassette anni, alla madre di lei. Parroco a Jujuy a partire dal 1661, percorse il territorio per assistere i malati e i poveri, provvedendo anche alla costruzione di chiese e cappelle tramite il suo patrimonio personale. Desiderava spendere gli ultimi anni della propria vita nell’evangelizzazione degli indios: ottenuto il permesso dal suo vescovo, il 18 ottobre 1682 salutò i suoi parrocchiani e partì per la missione del Chaco. A Humahuaca, il 20 aprile 1683, venne raggiunto da tre missionari gesuiti: i padri Giovanni Antonio Solinas e Diego Ruiz e il fratello coadiutore Silvestro Gonzáles; a essi si unì una settantina di persone. Arrivarono dopo un viaggio lungo e pericoloso e fondarono la reducción di San Raffaele (le reducciones erano villaggi dove gli indios catecumeni vivevano affiancati dai missionari). Ai primi di ottobre del 1683, don Pedro e padre Giovanni Antonio si avventurarono nella foresta della Valle del Zenta per andare incontro a padre Diego, in arrivo con le provviste, ma vennero avvisati che un gruppo di indios, armato di lance, si stava dirigendo verso di loro. Capirono subito di doversi preparare a morire, ma tentarono anche di offrire segni di affetto verso i loro aggressori, sperando così di aggiungerli tra i catecumeni. L’aggressione si verificò il mattino del 27 ottobre 1683, poco dopo che i due sacerdoti ebbero celebrato una Messa ciascuno. L’indomani, padre Diego, arrivato da Salta con le provviste, trovò i loro corpi smembrati. La causa di don Pedro e padre Giovanni Antonio comprendeva in origine anche i diciotto laici uccisi con loro, ma nel 2002 essi sono stati espunti per mancanza di documentazione a riguardo. I due sacerdoti sono quindi stati beatificati il 2 luglio 2022 nel Parco della Famiglia a Nueva Orán, sotto il pontificato di papa Francesco. La loro memoria liturgica ricorre il 27 ottobre, giorno della loro nascita al Cielo. I resti mortali di don Pedro sono venerati nella chiesa del Santo Salvatore a Jujuy.
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I primi anni
Pedro Ortiz de Zárate nacque il 29 giugno 1623 a San Salvador de Jujuy, in Argentina; fu battezzato probabilmente dal curato e vicario don Bartolomé Cáseres y Godoy. Era l’unico figlio maschio di don Juan Ochoa de Zárate e doña Bartolina de Garnica, di origini basche. Aveva preso il nome dal nonno paterno, Pedro de Zárate, generale, uomo molto in vista e fondatore della città di San Francisco de Alava, situata nel luogo dove sorge l’attuale Jujuy.
Secondo gli usi del tempo, fu educato secondo una religiosità profonda. Le «Litterae annuae» dei Gesuiti descrivono che la sua educazione «fu conforme a quella dei genitori molto cristiani e timorosi di Dio. Da loro attinse quella naturale inclinazione che sempre mostrò verso il culto divino; in seguito, tra i divertimenti della sua fanciullezza trasparivano i suoi affetti allo stato ecclesiale, che si manifestarono soprattutto nella sua maggiore età».
Il matrimonio e la vedovanza
Il 15 novembre 1644, ormai orfano di entrambi i genitori, Pedro sposò doña Petronilla de Ibarra y Murguìa. Dalla loro unione nacquero due figli, Juan Ortiz de Murguìa e Diego Ortiz de Zárate. In questi anni ricoprì varie cariche amministrative nel comune di Jujuy, soprattutto quella di “alférez” (corrispondente a sindaco), che lo poneva molto in vista.
Dopo nove anni di matrimonio, Pedro rimase vedovo. Affidò allora i suoi due bambini alla suocera Maria de Arganarás e continuò a dedicarsi all’am¬ministrazione dei beni che un giorno sarebbero stati dei figli. Molto spesso, però, si ritirava in preghiera e ripensava a come, nell’adolescenza, avesse pensato di diventare sacerdote.
Sacerdote
Dopo aver molto riflettuto, ne parlò col vescovo del Tucumán, monsignor Melchor Maldonado y Saavedra, arrivato a Jujuy per la visita pastorale, e poco dopo raggiunse Córdoba per gli studi necessari. Fu ordinato sacerdote a Santiago del Estero intorno al 1657.
Negli ultimi mesi dello stesso anno fu nominato curato di Humahuaca. Nel 1661 divenne parroco di San Salvador de Jujuy e poi vicario di tutto il territorio: il Nord-Est, con sede a Humahuaca, che si estendeva da Chicas fino al limite dell’attuale Vulcano; e il Sud, con sede San Salvador de Jujuy, dal Vulcano fino ai fiumi Perico ed Esteco.
Le sue doti di evangelizzatore
Don Pedro fu molto stimato dai vescovi succedutisi nel Tucumán in quel periodo, per le sue doti di evangelizzatore, di uomo totalmente dedito al culto, di intensa pietà e penitenza e di grandissima carità. Varie volte, resasi vacante la diocesi del Tucumán, fu visitatore in tutta la diocesi per scelta del Decano e del Capitolo.
Il vescovo mons. Nicolas Ulloa, in una relazione al re, ne fece un grande elogio: sacerdote «zelantissimo della gloria di Dio, grande stimatore e molto ben disposto verso gli indios… assai impegnato nel culto divino».
In missione con l’aiuto dei Gesuiti
Don Pedro aveva però un altro sogno: portare il Vangelo nel Chaco, un territorio particolarmente ostile. Ne parlò a lungo al suo vescovo, scrisse al governatore del Tucumán e al re di Spagna. Ottenuta l’autorizzazione, il 18 ottobre 1682 salutò i suoi parrocchiani di Jujuy, raggiungendo come prima tappa Humahuaca.
Qui, il 20 aprile 1683, venne raggiunto da tre missionari gesuiti: i padri Giovanni Antonio Solinas e Diego Ruiz e il fratello coadiutore Silvestro Gonzáles. Aveva chiesto lui stesso il loro aiuto. Insieme a una settantina di persone, partirono il 4 maggio 1683, e, dopo un viaggio lungo e pericoloso, arrivarono nella Valle del Zenta, dove gli indios li accolsero pacificamente: lì fondarono la reducción di San Raffaele, popolandola di un centinaio di catecumeni.
Le reducciones erano, infatti, uno dei mezzi con cui si dispiegava l’azione missionaria dei Gesuiti: venivano creati degli insediamenti, dove i catecumeni vivevano aiutati dai missionari. Don Pedro capiva le loro difficoltà: per questo, quando occorreva, li difendeva. Per loro costruiva anche delle cappelle durante i suoi viaggi missionari, attingendo anche alle proprie sostanze.
Una situazione rischiosa
Nel luglio 1683 padre Diego partì per procurare viveri agli altri missionari, i quali, tre mesi dopo, vennero informati che il suo ritorno era prossimo. Don Pedro e padre Giovanni Antonio decisero allora di andargli incontro con altre ventitré persone, nella località di Santa Maria, nei pressi dell’omonima cappella, costruita dal primo dei due.
Tuttavia, nel corso dei viaggi che avevano compiuto nel frattempo, furono raggiunti da oltre seicento indios delle tribù Tobas e Mocovies: questi dicevano di venire in pace e di essere disposti a vivere in armonia con loro.
I missionari li accolsero e cercarono di farseli amici, lasciando le armi da parte e regalando loro viveri, vesti e altri doni, ma avevano capito che le loro intenzioni non erano affatto pacifiche. Don Pedro fu udito esclamare: «Non devo arrendermi, per procurarmi con tutte le forze la vita eterna delle loro anime, anche se perdo quella del corpo». Per questa ragione, continuando a distribuire i doni, non perse occasione per parlare loro di Dio.
Il martirio
Il 27 ottobre i due missionari celebrarono la Messa: prima don Pedro, poi padre Giovanni Antonio. Non appena l’ultima celebrazione fu terminata, gli indigeni, che avevano circondato la cappella, lanciarono un grido di guerra: assalirono, armati di lance e di clave, i sacerdoti e le diciotto persone presenti con loro.
L’indomani, padre Diego tornò con i viveri, trovandosi però di fronte uno scenario impressionante: i resti del confratello e dell’altro missionario, denudati, con la testa separata dal corpo, lasciati agli uccelli rapaci. Con buona probabilità, gli aggressori avevano anche consumato le loro carni e bevuto dai loro teschi.
Erano pratiche rituali favorite dai capi religiosi di quelle tribù, i quali erano decisamente contrari alla conversione dei loro compagni; soprattutto, avevano paura di perdere la loro posizione di prestigio all’interno di quelle comunità. I missionari, invece, cercavano di portare pace, non solo tra indigeni e spagnoli, ma anche all’interno delle tribù, tanto spesso in lotta tra loro. Le spoglie di don Pedro vennero portate nella chiesa del Santo Salvatore a Jujuy, poi diventata cattedrale.
La fama di martirio e l’avvio della causa
In una lettera al superiore provinciale, padre Diego raccontò nei dettagli la spedizione missionaria nel Chaco e l’uccisione dei missionari e dei diciotto laici, che ai suoi occhi appariva come un autentico martirio. Nelle più antiche raffigurazioni che li riguardano, hanno con sé i tipici attributi iconografici dei martiri autentici. Tuttavia, i tentativi d’introdurre la loro causa di beatificazione si risolsero in un nulla di fatto.
I frutti della loro uccisione non emersero immediatamente, specie nella regione del Chaco. Nel secolo successivo, però, si formarono villaggi, città e provincie nelle quali popoli e culture diverse, illuminati dal Vangelo e sostenuti dalla pietà popolare cattolica, riuscirono a vivere in pace.
Solo nel ventesimo secolo cominciarono le fasi preliminari. Il 10 ottobre 1986 monsignor Giovanni Melis, vescovo di Nuoro, la diocesi di nascita di padre Giovanni Antonio, chiese ai vescovi di Oran e di Salta di aprire la causa. Il 20 gennaio 1988 monsignor Diego Calvisi fu nominato postulatore. Il giorno dopo, il 21 gennaio 1988, monsignor Gerardo Sueldo, vescovo di Orán, firmò il Decreto di inizio della causa.
La causa di beatificazione e canonizzazione fino alla fase romana
Nel febbraio 1997 monsignor Mario Antonio Cargnello, vescovo di Orán, costituì il Tribunale Ecclesiastico Diocesano; il 18 febbraio 1998 chiese il nulla osta alla Congregazione delle Cause dei Santi, la quale lo concesse l’8 marzo 2002.
Tuttavia, nello stesso anno venne deciso di espungere dalla causa i diciotto laici uccisi coi due missionari, a causa dell’assenza di documentazione a loro riguardo; non sono stati tramandati nemmeno i loro nomi propri.
L’inchiesta diocesana venne quindi aperta nella diocesi di Orán il 4 maggio 2007 e chiusa il 14 novembre 2016. Intanto, il 31 dicembre 2009, suor Isabel Fernàndez venne nominata postulatrice della causa. Gli atti dell’inchiesta diocesana vennero consegnati, il 4 febbraio 2017, alla Congregazione delle Cause dei Santi, che l’8 giugno 2017 ne riconobbe con proprio decreto la validità giuridica.
La fase romana
La “Positio super martyrio”, consegnata nel 2019, venne sottoposta anzitutto ai Consultori Storici della Congregazione delle Cause dei Santi, il 24 settembre 2019.
La discussione sull’effettivo martirio dei due missionari continuò con il giudizio favorevole emesso, il 18 febbraio 2021, dai Consultori Teologi. Nella Sessione Ordinaria del 28 settembre 2021, i cardinali e i vescovi membri della stessa Congregazione si pronunciarono a loro volta a favore.
Il decreto sul martirio e la beatificazione
Il 13 ottobre 2021, ricevendo in udienza il cardinal Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco autorizzò la promulgazione del decreto sul martirio di don Pedro e padre Giovanni Antonio.
La loro beatificazione si svolse il 2 luglio 2022 presso il Parco della Famiglia a San Ramón de la Nueva Orán, presieduta dal cardinal Semeraro come inviato del Santo Padre. La loro memoria liturgica ricorre il 27 ottobre, giorno della loro nascita al Cielo.
Autore: Emilia Flocchini
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