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Domenico Palestrino Salesiano coadiutore, sacrestano

Festa: Testimoni

Cappuccini Vecchi, Vercelli, 3 marzo 1851 - Torino, 1° novembre 1921


Nell’archivio del Centro Salesiano di Documentazione Storica e Popolare Mariana si trova un libretto quasi insignificante, di sole 19 pagine, editato dalla SEI nei primi anni venti, uno di quei pochi sfuggiti alla furia iconoclasta che distrugge tutto ciò che è “vecchio”. È scritto da Don Giovanni Battista Francesia, uno degli ultimi “Ragazzi di Don Bosco”, insieme al Cardinale Giovanni Cagliero, morto ultra novantenne nel 1930, dopo aver assistito alla Beatificazione di Don Bosco. È la biografia del Salesiano Coadiutore Domenico Palestrino, incaricato da Don Bosco nel 1875 della Sacrestia della Basilica di Maria Ausiliatrice, consacrata appena sette anni prima.
Domenico Palestrino nasce a Cappuccini Vecchi, piccola borgata di Vercelli, il 3 marzo 1851, da una famiglia povera di contadini che cerca di arrotondare lo scarno bilancio familiare anche con la pesca nel Sesia, come tutti gli abitanti del borgo, tanto che il vicolo dove abita è chiamato Vicolo dei pescatori. Domenico conserva in cuore per tutta la vita una grande nostalgia per questa professione. “Bastava chiedergli in che si fosse occupato in giovinezza” – scrive Don Francesia – “per fargli richiamare l’assopito vigore. I suoi occhi per lo più indifferenti, ripigliavano fuoco e splendore e mandavano quasi lampi di gioia. Oh! Come è bella, esclamava, la vita del pescatore, ancorché così povera e piena di pericoli”.
Di animo mite e docile, negli anni della giovinezza, si dimostra laborioso, disponibile e pieno di buona volontà; passa gran parte del tempo libero ad aiutare il sacrestano della sua parrocchia nelle pulizie della chiesa, “felicissimo, alla vigilia delle solennità, di poter aiutare nell’addobbare la chiesa e gli altari”.
Il Parroco, vedendo la sua bontà e la sua inclinazione, pensa di inserirlo in un ambiente che lo aiuti a trovare la sua vocazione. Per questo chiede al Superiore del Cottolengo che lo accolga nella Piccola Casa della Divina Provvidenza, e nel mese di aprile del 1875 lo accompagna personalmente a Torino. Essendo Cooperatore Salesiano, il buon Parroco vuole fare incontrare Domenico con Don Bosco: “Egli ti darà la sua benedizione, e vedrai mirabile effetto”. Lasciato quindi al Cottolengo il povero fagotto delle sue poche cose, lo conduce a Valdocco.
“Pareva che Don Bosco lo aspettasse, perché appena lo vide e lo sentì parlare, subito gli disse di fermarsi con lui all’Oratorio, ove da pescatore l’avrebbe fatto sacrestano”. Il Parroco fa presente che il giovane ha già lasciato al Cottolengo il proprio fagotto, ma Don Bosco ribatte: “Oh! Bella, si va a prendere e si porta qui, dove il Signore lo vuole”. Da quel giorno Domenico si mette nelle mani di Don Bosco che gli affida la cura del Santuario di Maria Ausiliatrice.

“Stai tranquillo, non è nulla”
Alla scuola di Don Bosco, Domenico comprende che tutta la perfezione sta nel lavoro e nella preghiera. Fa quindi suo programma di vita, lavorare senza risparmiarsi in nulla, ma mentre lavora non tralascia mai di pregare e con tale ardore da andare, qualche volta, in estasi.
“Un giorno” – scrive Don Lemoyne nella Vita di Don Bosco – “nell’accompagnare un sacerdote forestiero a far visita all’altare di Maria Ausiliatrice, Don Bosco trovò un giovane, sollevato in aria, rapito in adorazione, dietro l’altare maggiore del Santuario. All’arrivo di Don Bosco e di quel forestiero, restò come interdetto l’estatico, e volando come piuma portata dal vento, andò a posarsi ginocchioni innanzi al Venerabile, chiedendo perdono. Sta tranquillo, gli disse Don Bosco, va pure per i fatti tuoi, non è nulla. E voltatosi al sacerdote, si limitò ad osservare: Si direbbero cose da Medio Evo, e accadono oggi”.
Don Francesia annota che quando Don Lemoyne scrive questo fatto è ancora vivente quel ragazzo, per cui ne omette il nome, “ma ora è bene che si sappia... Quel giovane, sollevato in aria, rapito in adorazione presso il santo Tabernacolo, era il nostro caro confratello Palestrino”. Don Francesia riporta pure la testimonianza di un confratello sacerdote che attesta: “Il Venerabile Don Bosco mi disse: Palestrino qualche volta parla a Don Bosco e non capisce ciò che dice, ma l’intendo bene io: è lo Spirito del Signore che mi parla per mezzo di lui”.
Da bravo sacrestano di una Chiesa continuamente affollata, ha attenzione per tutti. Vive per la sua Chiesa e per il suo decoro. È solito pregare la Madonna che gli ispiri quanto si debba provvedere per il Santuario. Venutagli poi l’ispirazione, prega perché arrivino i mezzi per pagare; chiede aiuti a persone pie ed i soldi gli giungono da ogni parte. In questo modo riesce a dotare il Santuario di innumerevoli arredi sacri, tutti artistici, di ottima fattura e qualità, tanto che la S. Congregazione dei Riti, quando si tratta di elevare il Santuario a dignità di Basilica, ne fa i più ampi elogi.
È interessante ricordare quanto ha fatto per avere una Statua dell’Ausiliatrice degna della Basilica.
Riferisce Don Francesia:
“La statua della Madonna che si esponeva per la novena e festa di Maria Ausiliatrice, non gli pareva abbastanza decorosa. Maria Ausiliatrice – diceva – deve essere più bella!... La Madonna non è contenta di quella statua che la raffigura meno dignitosa! Ne vuole una più grande, più elegante, più ricca, con un bel trono... L’ha detto la Madonna...”. Ne parla ad amici, e non passa molto tempo che “da uno dei più rinomati laboratori di arte sacra di Torino, si vide portare all’Oratorio una statua grandiosa ed elegante, che era una meraviglia. E da quel giorno Maria Ausiliatrice sopra un ricchissimo trono ha cominciato ad essere portata in trionfo per le vie di Torino”.
È la magnifica statua di Maria Ausiliatrice, sull’artistico trono dorato, che noi ammiriamo e veneriamo in Basilica.

“Fatelo pregare”
Domenico prega, lavora e soffre con grande intensità di amore per il Signore e per la Madonna, tanto da suscitare l’ammirazione e la stima della gente e di Don Bosco stesso. Durante l’ultima malattia, a chi insisteva perché chiedesse alla Madonna la guarigione, Don Bosco risponde: “Se volete che Don Bosco guarisca, fate pregare Palestrino”. Don Francesia scrive: “Si andò allora a dirgli che pregasse per tal fine, ma egli ritraendosi, rispose che fosse fatta la volontà di Dio. La cosa fu comunicata a Don Bosco, il quale, fatto venire a sé il buon confratello, gli disse: O caro Palestrino, non ti dico di pregare per la mia guarigione, ma perché conservi la mia fede sino alla fine. Palestrino commosso e confuso baciò riverentemente la mano al Venerabile e pregò assai”.
Domenico ama di amore tenero e filiale Don Bosco e gode dei suoi consigli per tredici anni. Ne parla con grande venerazione e prega che venga presto glorificato dalla Chiesa. In attesa del sospiratissimo giorno della sua Beatificazione, egli prepara il prezioso paramentale ricamato in oro su lamella d’argento, che ancora oggi ammiriamo splendente nel giorno della festa.
Lavora fino all’ultimo, fino a quando è costretto a mettersi a letto con la febbre. Il 27 ottobre 1921 in Basilica si tiene la Trigesima di Mons. Giacomo Costamagna. Il Santuario è addobbato a lutto; nel pomeriggio stesso, Domenico si pone con febbrile ansietà a levare la tappezzeria, salendo su e giù per l’alta scala, aggirandosi attorno ai cornicioni con la sveltezza di un giovanotto. Trasuda abbondantemente, e a sera ha qualche brivido di febbre. Ritirandosi in infermeria commenta: “Ora se il Signore vuole e la Madonna è contenta, mi riposerò alquanto per prepararmi a morire”. Il dottore gli riscontra una broncopolmonite che però si spera, come già altre volte, possa essere superata nel giro di pochi giorni. Il 29 ottobre Domenico sente con serenità l’annuncio della morte del Rettor Maggiore Don Paolo Albera, e prega per lui con affetto di figlio. A chi lo visita dice di essere perfettamente rassegnato alla volontà del Signore, e che offre volentieri la sua vita ed i suoi patimenti per la Congregazione Salesiana. Il male precipita, accorrono al suo fianco Don Filippo Rinaldi, Don Pietro Ricaldone ed altri Superiori. Domenico con gli occhi fissi verso l’alto, sereni come se vedessero qualcosa di consolante, lascia questo mondo alle sette del 1° novembre 1921, Festa di Tutti i Santi. In tutti è viva la convinzione che Domenico sia asceso subito in Paradiso a far festa con la Madonna, con Don Bosco e Don Rua e con Tutti i Santi.
Il caso vuole che la nuova tappezzeria funebre di seta da lui preparata per la Basilica sia usata per la prima volta proprio per lui.


Autore:
Don Mario Morra

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Aggiunto/modificato il 2009-02-07

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