Un anno, in maggio, fu chiamato a predicare la novena in preparazione alla festa di Maria Ausiliatrice. E lui, don Toni, prese come tema: «...in principio c'era una ; madre». Parlò della sua mamma che l'aveva messo al mondo a Rovereto in Piano (Udine) il 30 ottobre 1880, in una famiglia patriarcale... Continuò parlando di Maria, Madre di Gesù e Madre dell'umanità, posta da Dio «in principio» dell'opera di salvezza. La basilica dell'Ausiliatrice, a Torino, andava gremendosi di gente, di giorno in giorno, ad a-scoltare quel prete appassionato e simpatico.
Una raccolta di lauree Nel suo Veneto, che chiamava «il paese più bello del mondo», Antonio Cojazzi era cresciuto vivace, forte e intelligentissimo. A 13 anni, era entrato nel collegio salesiano di Mogliano Veneto, dove gli insegnanti compresero subito che era un originale e non gli imposero i loro schemi personali. Lui, dopo il ginnasio, con molta naturalezza, comunicò che voleva farsi salesiano e prete, come suo fratello più grande, Francesco... Così l'anno dopo, entrò anche con la stessa idea in testa, il fratello più piccolo Enrico. I due, Antonio e Enrico fecero il noviziato insieme a Foglizzo Canavese, con o-nore, ricevendo l'abito religioso, come allora ben si usava, da Mons. Giovanni Cagliero, Salesiano e Vescovo missionario in Argentina. Finito il liceo classico nel 1900, Toni (così già lo chiamavano) cominciò insieme studi teologici e corso di lettere all'università di Torino, a cui aggiunse, poco dopo, quello di filosofia. Per riempire il tempo libero, frequentava all'Università un corso di inglese. Ed insieme già lavorava tra i giovani con lo stile di Don Bosco: amorevolezza, gioia, catechesi avvincente. Lo apprezzavano e lo amavano i superiori salesiani e i primi ragazzi che avvicinava. Lo ammiravano i professori universitari, gli illustrissimi Gaetano De Sanctis e Arturo Graf. Nel 1905, si laureò in lettere, nel 1906, in filosofia. Perfezionò il suo inglese in Gran Bretagna con un titolo di studio così prestigioso che il professore a Torino l'invitò a fargli da assistente. Cosa che egli subito rifiutò, a-vendo già scelto «la parte migliore». Il 18 aprile 1908, nella cattedrale di Treviso, era ordinato sacerdote. Fu subito, dalla prima ora, un prete simpatico, soprattutto ai giovani. Dopo la Prima Messa, fu destinato, con la raccolta delle sue lauree e diplomi (aveva persino quello in «lavori manuali») a insegnare, prima italiano, poi filosofia al liceo Valsalice di Torino, cattedra che terrà fino al 1948, insieme ad altre «cattedre» che lui stesso si cercava per il mondo, per donare Gesù, unica ragione della sua vita.
Un ragazzo di nome Pier Giorgio Giovane prete trentenne, gli capitò un incontro singolare.«Nel novembre 1910 - racconta don Cojazzi - fui chiamato dal mio Superiore maggiore, don Albera, a recarmi quotidianamente a tenere lezioni nella casa del senatore Frassati. Feci scuola così a Pier Giorgio e alla sorella, che frequentavano la la ginnasiale al "D'Azeglio". Vi andai per tre anni consecutivi. In seguito ebbi rapporti frequenti con il giovane Pier Giorgio e con la sua famiglia, negli anni in cui frequentava il liceo e il Politecnico. Dopo la prima lezione, Pier Giorgio, di nove anni, si alzò e piantandosi davanti a me, mi disse: "Ed ora come premio della mia attenzione, mi racconti un fatto di Gesù"... Subito raccontai alcune pagine del Vangelo con parole mie. Vidi nel volto del fanciullo un'impressione di commozione, per cui intuii che, dopo ogni lezione, mi avrebbe rivolta la stessa domanda. Infatti, così avvenne in seguito. Ad o-gni racconto, Pier Giorgio o sorrideva lieto o piangeva con grosse lacrime. Se le asciugava in modo aperto, dicendo: "Bello, bello! Me ne racconti altri!"». Sbocciò, in questo tempo, l'affezione di Pier Giorgio, ragazzo, a Cristo affezione che dilagherà travolgente, nella sua giovinezza splendida, fino all'ultimo istante, diventando modello, trascinatore di giovani a Dio. Ed era, don Antonio, docente di filosofia al Liceo Valsalice. Sapeva incantare con le sue lezioni, sicure per dottrina e profonde di erudizione, vivaci, brillanti, animate da grande affetto verso gli allievi. Li aiutava a cogliere i grandi «perché» della vita, li dibatteva, passando in rassegna filosofi, letterati, studiosi, guidando i giovani alla ricerca della Verità. E annunciava con uno stile originale, conquidente la Verità che è solo Cristo, Via, Verità e Vita. Senza lasciare la cattedra, cominciò a percorrere l'Italia, vero apostolo e missionario di Gesù: nelle parrocchie, negli incontri promossi dall'Azione Cattolica, negli oratori, nelle scuole, nei cinema, con la sua parola sicura e forte, il suo stile allegro e scanzonato, a dire a tutti u-na sola stupenda parola: il Cristo! Lui il Redentore dell'uomo, la soluzione di tutti i problemi, dell'uomo e della società, in ogni luogo e tempo. Sentì presto di dover farsi divulgatore di Cristo con la penna: cominciò con un libriccino dal titolo «Don Bosco diceva così» cui seguiranno più di 60 volumi, uno più bello dell'altro. Don Cojazzi presentava Gesù come il Salvatore e il Modello più alto e più affascinante da vivere ed insieme figure di credenti capaci di avvicinarsi a Lui. Uscirono dalla sua penna brillante, dal 1913 al 1925, gli studi sul Manzoni, su Maritain, le biografìe di giovani eroici come Federico Ozanam (1913), Ernest Psichari (1918), Giosuè Borsi (1919), Adolfo Ferrero (1919), libri che, tra i lettori, ebbero anche Pier Giorgio Frassati, ormai studente al Politecnico e impegnato a testimoniare Gesù sulla via di questi suoi «amici», già andati all'incontro con Dio. Dopo la la guerra mondiale, don Cojazzi ebbe un'idea: a tanti giovani disorientati per le false ideologie che si diffondevano era necessario offrire una rivista piacevole, ricca di luce e di esempi, impregnata di Gesù vivo. Nel 1920, fondò la Rivista dei giovani. Dopo un anno, era già in deficit. Lui non si scoraggiò: don Filippo Rinaldi (allora «numero due» della Congregazione Salesiana) sostenne subito la rivista che uscirà per 28 anni. Grazie a don Toni, migliaia e migliaia di giovani scoprirono che Cristo non è una favoletta per bambini, ma è il Vivente, il Contemporaneo, Colui che rende bella e grande la vita, e presero a incontrarlo ogni giorno nella meditazione del Vangelo, nella preghiera, nella Confessione e nella Comunione frequenti, nel servizio ai poveri, nell'impegno sociale.
Un libro, un best-seller Il dolore più grande della sua vita, don Cojazzi, l'ebbe il 4 luglio 1925, quando a Torino, al tramonto, si spense a 24 anni, Pier Giorgio Frassati. La sera del funerale, scrisse un articolo per la sua Rivista dei giovani: «Non credevo di amarlo santo... Si parlerà di lui a lungo, nei palazzi dorati e nei casolari sperduti! Perché di lui parleranno anche i tuguri e le soffitte, dove passò un angelo consolatore... Scriverò la sua vita». Proprio a questo lo invitava il Card. Giuseppe Gamba, Arcivescovo di Torino, l'indomani stesso... Nel marzo 1928, uscì la vita di Pier Giorgio Frassati, scritta da lui: fu un successo strepitoso. In soli nove mesi, vennero esaurite 30 mila copie del libro. Nel 1932, erano già state diffuse 70 mila copie. Nel giro di 15 anni, il libro raggiunse undici e-dizioni e fu il best-seller dell'editoria cattolica di quel periodo. Fu tradotto in 20 lingue. Non è un libro perfetto - come nulla è perfetto in questo mondo - ma segnò una svolta nella gioventù italiana. Grazie ad esso, Pier Giorgio diventò l'ideale additato senza alcuna riserva: «Eccolo, uno come voi, uno uscito dalle vostre file, uno che ha saputo dimostrare che essere cristiano fino infondo, non è utopistico, ma una meravigliosa realtà». La «cordata» di giovani amici alla sequela di Cristo, che Pier Giorgio aveva iniziato durante la sua breve vita, continuò sconfinata, in Italia, in Europa, più lontano ancora. Migliaia e migliaia di giovani, molti dei quali chiamati con il suo stesso nome di Pier Giorgio, da quei giorni fino ad oggi, ebbero l'esistenza trasformata per averlo conosciuto tramite il libro di don Cojazzi. Il quale continuò a parlare di lui in tutta Italia, a voce, negli artìcoli, nella sua Rivista, negli incontri di direzione spirituale, dovunque, in modo che il nome dell'uno richiama ancora oggi quello dell'altro. Persino il miracolo ottenuto da Dio, per intercessione di Pier Giorgio, e che lo porterà alla beatificazione il 20 maggio 1990, sarà documentato, per la prima volta da don Cojazzi, sulla Rivista dei giovani, il 15 novembre 1935.
Gesù solo, fino alla fine Non è possibile narrare in breve la poliedrica vita di questo a-postolo del nostro tempo: sarà necessario che qualcuno lo faccia, affinché siano conosciute il più possibile le meraviglie che Dio ha compiuto per mezzo di lui. Nessuno, al di fuori della Chiesa Cattolica, ha figure tanto grandi. Il Vangelo, le lettere di S. Paolo, l'apologetica cristiana, la testimonianza di fede, l'amore ai più poveri, sono i «punti», che don Cojazzi sviluppò in migliaia di incontri, predicazioni, conferenze, instancabile, su e giù per l'Italia, parlando come il cuore gli dettava, portando giovani e adulti all'incontro, al contatto vivo con Gesù, il Vivente, l'eternamente giovane e amante. Dalla sua scuola a Valsalice, dalla sua guida, sorsero, sulle orme di Pier Giorgio Frassati, decine e decine di giovani santi: Giacomo Maffei, Federico Vallauri, Giorgio De Micheli, Renato Sclarandi, Ferruccio Terinelli... sono soltanto alcuni nomi, ma non finiremmo più di citarne altri e altri ancora: una cascata di santità, attorno a questo prete dalla faccia che sembrava scolpita in un tronco d'albero, missionario su tutte le strade, con la chitarra in mano (che forse non sapeva suonare!), seminatore della gioia che viene solo da Cristo. Era affascinante e conquistava i giovani. Li polarizzava, come Don Bosco, attorno a Cristo, con tre amori, l'Eucaristia, la Madonna, il Papa; con la proposta dell'esistenza vissuta in intimità con Dio e nel servizio ai fratelli più poveri con la carità, compendio di tutto il Vangelo... Nell'ottobre 1953, scese a Salsomaggiore per una predicazione. Aveva 73 anni, ma arrivò a parlare anche sei volte in una giornata. Nella parrocchia di don Ersilio Tonini (oggi, illustre e noto Cardinale di S. Romana Chiesa!) l'ultima domenica d'ottobre, nel calendario liturgico di allora, festa di Cristo Re, don Cojazzi celebrò al tramonto la Messa vespertina. Predicò sul Vangelo del giorno: fu un inno trionfale al dolce Re, Gesù, che egli aveva servito con fedeltà, dal primo giorno. Concluse con le lacrime agli occhi, esclamando «Viva Cristo Re», come i martiri di tutti i tempi, come il «suo» Pier Giorgio Frassati. Molti dei presenti piangevano di commozione, toccati dentro da uno che parlava come se il Cristo lo vedesse in faccia e se lo stringesse al cuore. Fu l'ultima Messa, l'ultima omelia. Due giorni dopo, l'infarto l'abbatté, come un soldato che cade sul campo. Appena accortosi che la morte era lì, a due passi, disse, sereno, come chi va incontro all'Amore lungamente atteso: «In ogni modo, Deo gratias!». Era il 27 ottobre 1953. Subito l'elogio più bello e più autorevole venne da Mons. Montini, pro-segretario di stato in Vaticano, il futuro Papa Paolo VI: «Era molto amato; era molto seguito. Il suo nome, associato a quello di Pier Giorgio Frassati, di cui egli seppe fare splendido esempio di giovanile virtù cattolica, è e sarà tra quelli più cari a quanti hanno lavorato per la rinascita cristiana del nostro paese». Questo apostolo di Cristo, che nessuno poteva fermare, era partito di qui, dall'Ausiliatrice, che egli amava come un fanciullo e dalla quale veniva, scendendo dalla collina di Valsalice, ad attingere luce e coraggio per irradiare al mondo il Figlio suo: davvero, come disse quel giorno della novena, in un maggio profumato di fiori: «... in principio, c'era la Madre».
Autore: Paolo Risso
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