Angela era nata il 7 marzo 1932 ad Andria, nell'Italia meridionale, in un'autentica famiglia cristiana. Aveva due fratelli più grandi e due più piccoli. Fin da piccola aveva manifestato una spiccata pietà religiosa. Insegnava catechismo ai bambini della sua parrocchia ed era impegnata nell'Azione Cattolica. Era allegra, ma molto puntigliosa e determinata. Non ritornava mai sui suoi passi; dubbi ed esitazioni non facevano parte del suo carattere. Preferiva il rischio al compromesso, e odiava la mediocrità. "La sua fede poteva smuovere le montagne," secondo quanti la conobbero. Dio la chiamò alla vita missionaria. A vent'anni aveva iniziato il noviziato presso le Missionarie Francescane di Maria a Grottaferrata, vicino a Roma, prendendo il nome di suor Margherita da Cortona. Le sue compagne ricordano queste sue parole: "Voglio offrire i primi frutti della mia giovinezza a Dio e alle missioni. E quando avrò consumato tutte le mie energie per Lui, vorrei avere il privilegio di offrirgli anche la mia vita". Quattro anni più tardi, il 22 agosto 1956, si era imbarcata per il Congo. Finalmente si realizzava il suo sogno missionario. La separazione dalla propria famiglia era stata dolorosa ma il suo entusiasmo contagioso per le missioni l'avevano aiutata a superare il distacco. A Stanleyville aveva portato il buonumore e la gioia della sua vocazione; svolgeva qualsiasi attività con grande ottimismo. Per otto anni la missione di Stanleyville testimoniò la sua prontezza a rispondere ad ogni richiesta d'aiuto, a qualsiasi costo. "Volete sapere come passo le mie giornate?", scriveva ai suoi genitori. "La vostra domanda mi ha fatto ridere perché faccio così tante cose che non posso neanche rispondervi". E aveva cominciato spassosamente ad elencare tutte le faccende che costituiscono l'indispensabile cornice dell'apostolato. Furono anni di intenso lavoro in un Congo che sembrava guardare con fiducia al futuro, ma già si respirava aria di tempesta. Nel luglio del 1964, in occasione dei suoi ultimi esercizi spirituali, aveva scritto alla sua superiora generale: "Non so come ringraziare Dio per il grande dono della mia vocazione alla vita religiosa tra le FMM, ma certamente il miglior modo per ripagarlo è essergli fedele in tutto... Sento che morirò qui. Il Signore faccia di me ciò che vuole. Sono pronta. Desidero anche informarvi che sono molto felice di essere qui perché sono sicura che questa è la volontà di Dio, perciò cercherò di vivere ogni giorno per Lui. "Mi sembra di essere stata predestinata a Stanleyville. Ho avuto diverse occasioni per partire, ma il caso ha voluto che la partenza fosse sempre rimandata". All'inizio dell'agosto 1964, suor Margherita così si era espressa con i parenti: "Saprete benissimo che qui la situazione sta peggiorando sempre più. Preparatevi dunque da bravi cristiani per quello che avverrà; e se un giorno doveste apprendere che non ci sono più, pensate che avete donato vostra figlia al Signore e che Egli è libero di fare ciò che vuole. Sarò lieta di morire offrendo la mia vita per la salvezza del Congo". Dal 6 agosto Stanleyville era diventata un inferno. I ribelli avevano occupato inizialmente la parte centrale della città, sulla Riva Destra del fiume Congo dove erano ubicate le due comunità delle FMM. Queste ultime erano state le prime ad essere prese in ostaggio, seguite da altri gruppi di europei, sia religiosi che civili. Da quel momento, maltrattamenti, insulti e minacce erano diventati sempre più frequenti. I Simba avevano eliminato in fretta tutta l'élite locale, i colti, gli emancipati. Le vittime si contavano a migliaia, e nell'aria si diffondeva l'orrendo fetore dei cadaveri insepolti in decomposizione. Alla fine questi cadaveri erano stati gettati alla rinfusa nel fiume. Ogni giorno arrivavano notizie dalle zone limitrofe, un marasma di informazioni contraddittorie, non sempre fondate, ma tutte tragiche: massacri di popolazioni locali, missioni distrutte e saccheggiate, missionari picchiati, torturati e uccisi. Dall'altra parte del fiume si trovava la terza comunità delle Francescane. Qui regnava una relativa calma, nonostante l'angoscia e la preoccupazione per le consorelle imprigionate. Ma il 29 ottobre, tutte le suore belghe della comunità di s. Giorgio, anch'essa sulla Riva Sinistra del fiume, erano state costrette dai ribelli a trasferirsi sull'altra sponda, lasciando indietro solo due consorelle ritenute "neutrali": suor Margherita, italiana, e suor Maria di s. Marciano, spagnola. Il dolore più grande, sia per le rapite che per coloro che restarono, era stata questa separazione forzata. Da allora c'era stato uno scambio frequente di messaggi tra una parte e l'altra del fiume, grazie a Henry, l'audace messaggero. Erano bigliettini contenenti parole di speranza e fiducia, ma anche di apprensione per la sorte delle consorelle prigioniere, esposte ad ogni tipo di angherie. L'ultimo di questi bigliettini datato lunedì 23 diceva fra le altre cose: "Ieri, festa di s. Cecilia, abbiamo cantato le canzoni più belle del nostro repertorio. Questa separazione è dolorosa, ma vedrai, madre, che l'ora di Dio non è molto lontana...". Martedì 24 novembre, l'immediata discesa di oltre 200 parà belgi a Stanleyville significò la salvezza degli ostaggi. I parà cercarono di raggiungere anche la Riva Sinistra del fiume in elicottero, ma furono respinti a colpi di mitragliatrice. Così, mentre gli ostaggi della Riva Destra venivano liberati, per quelli della Riva Sinistra iniziava il calvario. Quel tragico martedì 24 novembre, tutte le suore erano andate a messa e avevano ricevuto la s. comunione. Il giorno prima la comunità di s. Giorgio aveva accolto 15 suore fuggiasche, di diverse congregazioni. Le due suore francescane, Margherita e Maria di s. Marciano, le avevano accolte calorosamente aiutandole in tutti i modi. Fra i fuggiaschi c'erano anche nove padri del S. Cuore. Verso le nove, per vendicarsi della sconfitta subita sulla Riva Destra, un'orda rabbiosa assalì il convento, prese i missionari e li trascinò alla vicina prigione militare, dove per 24 interminabili ore non fu risparmiato loro alcun tormento. La lunga passione ebbe fine solamente la sera di mercoledì. "Ci allinearono contro il muro del grande salone," scrive il superstite p. Schuster, "le donne da una parte e gli uomini dall'altra. A noi uomini fu chiesto di indossare la veste, dopodiché due soldati ci puntarono contro il fucile e ci spararono uno ad uno".
Autore: Ida Tomasi
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