Jablonka, Polonia, 9 dicembre 1914 - Wisnicz, Polonia, 8 giugno 1940
Padre Ferdynand Machay, sacerdote della Congregazione dell’Oratorio di Tarnów in Polonia, venne tradito da una spia della Gestapo nell’ospedale di Tarnów, dove esercitava il ministero di cappellano volontario. Trasferito nel carcere di Montelupich a Cracovia e nel campo di prigionia di Nowy Wiśnicz, nonostante le torture ripetute non perse la fede e l’amore per Dio e per la sua patria. Morì per fucilazione l’8 giugno 1940, a venticinque anni. La sua causa di beatificazione è in corso unitamente al gruppo “Henryk Szuman e 104 compagni”: l'inchiesta diocesana si è aperta il 17 settembre 2003 e si è chiusa il 24 maggio 2011.
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Ferdynand Machay, figlio di Ferdynand senior e Veronica, nacque il 9 dicembre 1914 a Jabłonka, nel voivodato della Piccola Polonia. I genitori, contadini, educarono lui e il fratello (che prese anch’egli la via del sacerdozio) secondo i principi della religione cattolica.
Diplomatosi al liceo Goszczyński di Nowy Targ il 20 giugno 1933, nello stesso anno aderì alla Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri e iniziò gli studi presso il seminario di Tarnów. Secondo i suoi superiori e i professori, si trattava di un chierico modello, che otteneva i punteggi più alti in ogni materia.
Venne ordinato sacerdote il 20 giugno 1938, per mano di Franciszek Lisowski, vescovo di Tarnów. In una lettera scritta prima del gran giorno, chiese ai genitori di non fare grandi spese per la sua Prima Messa, rifiutando perfino i vestiti e le scarpe nuove che volevano regalargli.
Quasi subito dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, si offrì volontario come cappellano nell’ospedale di Tarnów, dov’erano stati portati feriti sia polacchi sia tedeschi. Il 28 settembre 1939, mentre si prendeva cura di alcuni soldati conterranei feriti, raccolse la confessione di uno di loro, tanto depresso per le condizioni della patria da aver meditato il suicidio. Per consolarlo, gli disse che non sarebbe finita lì, che la guerra sarebbe terminata e la Polonia sarebbe insorta, mentre l’esercito si stava riorganizzando all’estero. In realtà, il soldato era una spia per conto dei tedeschi: a causa della sua delazione, il cappellano venne arrestato alle 22.30 della sera successiva.
Condotto dapprima nella sede della Gestapo a Tarnów, venne trasferito dodici giorni dopo a Cracovia e, il 21 ottobre, al carcere di via Montelupich, sempre a Cracovia. Riuscì a far arrivare delle lettere ai genitori: quella datata 15 dicembre rappresenta efficacemente la sua fede e la sofferenza che provava.
Nei primi tempi della guerra, Montelupich non era stato ancora completamente organizzato e costituiva un luogo di isolamento e detenzione temporanea. Padre Machay e un altro sacerdote, insieme ad altri prigionieri, vennero rinchiusi nella cappella della prigione, in modo che in un primo momento potevano celebrare Messe e amministrare i Sacramenti. Quando ciò venne proibito, lo compirono clandestinamente, facendosi arrivare vino e particole. Gli altri detenuti testimoniarono la sua grande fede e il suo ardente amor patrio, il suo coraggio e il fatto che esortava continuamente gli altri a pregare, senza lamentarsi mai del proprio destino.
Una sera venne condotto fuori dalla sua cella e picchiato fino a ridurlo in stato di incoscienza: aveva i segni delle chiavi sul viso, sulla schiena e su altre parti del corpo. In un’altra circostanza, gli venne ordinato di calpestare la croce: quando si rifiutò, venne ripetutamente colpito proprio con quella stessa croce, fino a subire danni alla colonna vertebrale.
Pur in mezzo a quei patimenti orribili, non dimenticava di essere un prete: confessava e portava il suo aiuto a chiunque fosse afflitto e scoraggiato. Un suo compagno di prigionia lo descrisse come «la bontà personificata, sinonimo di perseveranza e di sopravvivenza». Come testimoniò il cardinal Adam Kozłowiecki nel suo libro di memorie «Oppressione e afflizione», continuava ad essere gentile e cordiale con i suoi compagni di prigionia.
Il 14 maggio 1940, padre Machay e un gruppo di frati Albertini vennero condotti nel campo di prigionia di Nowy Wiśnicz. Nonostante le minacce dei tedeschi, che prevedevano la fucilazione di dieci prigionieri per ogni detenuto che avesse tentato la fuga, il 27 maggio dello stesso anno un prigioniero ebreo riuscì a evadere. Gli altri, nei giorni successivi, restarono in angosciosa attesa di capire chi di loro sarebbe stato condannato per rappresaglia. Il 4 giugno vennero prelevati dieci di loro, tra i quali era incluso padre Machay.
L’esecuzione avvenne tra le 4 e le 5 del mattino dell’8 giugno 1940, senza dare notizia agli altri prigionieri, in un bosco a circa quattrocento metri dal campo. I soldati infierirono sul condannato fino a pochi minuti prima di sparargli, mentre s’inginocchiava per pregare; dopo la sua morte, si ubriacarono. Padre Machay aveva ventisei anni meno sei mesi.
La sua causa di beatificazione è stata inserita in un gruppo di 105 potenziali martiri polacchi vissuti sotto il nazismo, capeggiato dal sacerdote diocesano Henryk Szuman, del quale fa parte anche il confratello oratoriano padre Jan Chryzostom Michałkowski. L’inchiesta diocesana, aperta il 17 settembre 2003, si è chiusa il 24 maggio 2011.
Autore: Emilia Flocchini
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