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Servo di Dio Giuseppe Canovai Sacerdote

Festa: .

Roma, 27 dicembre 1904 - Buenos Aires, Argentina, 11 novembre 1942

"Perché Signore mi attiri, mi chiami, mi attrai come in un risucchio irresistibile e violento e poi, oh mio Cristo, ti allontani e ti dilegui e mi lasci solo?"
Mons. Giuseppe Canovai nacque a Roma il 27 dicembre 1904. Fece il suo ingresso all’Almo Collegio Capranica nel 1928. Fu ordinato sacerdote nel 1931. Nello stesso anno divenne minutante alla Sacra Congregazione dei Seminari ed assistente diocesano della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI). Nel 1937 fondò, insieme alla signora Tommasa Alfieri, la “Piccola Opera Regina Crucis”, oggi conosciuta come “Familia Christi”, associazione privata di fedeli con lo scopo di promuovere la formazione dei laici alla vita interiore ed all’apostolato. Sempre nel 1937 mons. Canovai fu nominato uditore presso la Nunziatura Apostolica di Buenos Aires in Argentina. Svolse una profonda vita di preghiera e penitenza; guidò numerosi esercizi spirituali e conferenze. Morì in odore di santità l'11 novembre del 1942 a Buenos Aires. Il 14 febbraio 1994 fu concesso il “nulla osta” alla sua causa di Beatificazione. Nel maggio 2007 la Familia Christi è riuscita, dopo non poche fatiche, ad esaudire la volontà testamentaria di don Giuseppe, ed a ricondurre a Roma le sue spoglie mortali.



Nacque a Roma, "Peppino", il 27 dicembre 1904, festa di S. Giovanni Apostolo prediletto e 4°Evangelista, del quale, in vita, breve vita, sarebbe stato emulo. Da parte di mamma, aveva la zia suor Maria Elena, monaca di clausura, che gli sarà carissima e che avrebbe pregato tutta la vita per lui.

Solo sacerdote

Fin da ragazzo, divenne "figlio spirituale" di Padre Enrico Rosa, gesuita e scrittore della Civiltà Cattolica. Tutte le mattine, da via Terenzio ai Prati dove abitava, se ne veniva a servir Messa al suo "buon Padre". Consumata la colazione dopo la Messa, scappava a scuola. Frequentò il ginnasio e il liceo presso il Visconti (lo stesso frequentato da Eugenio Pacelli, il futuro Pio XII), primeggiando tra i compagni per intelligenza brillante e serietà di condotta.
In prima Liceo, nel 1919, cominciò a tenere un diario spirituale, confidente delle sue cose più intime, una vera "storia d’anima", scritta a brani, della sua intimità con Dio. Nel novembre 1922, è universitario alla Facoltà di Giurisprudenza alla Sapienza. Ai primi di marzo 1924, perde all’improvviso il padre ed egli viene assunto, al suo posto, al Credito Fondiario, ma sta maturando in lui la vocazione a farsi Gesuita, come il P. Rosa, alla sequela di Gesù, ormai l’unico Amore della sua vita, sulle orme del Padre S. Ignazio di Loyola.
Al terzo anno di Legge, Giuseppe Canovai, aggiunge il primo di Filosofia presso la Gregoriana. Nel luglio del 1926, si laurea in filosofia "magna cum laude" e nell’autunno successivo in Legge con il massimo dei voti. Subito si iscrive alla "Teologia" alla Gregoriana, rimanendo però in casa per non lasciare sola la mamma. P. Rosa lo convince, seppure a malincuore a diventare prete diocesano e lo manda al Seminario Capranica, dove è rettore Mons. Alfonso Carinci, che diventerà Vescovo e vivrà oltre i cento anni e dirà di Peppino, plurilaureato e tutto di Gesù: "Era un altro S. Giovanni Berchmans".
È un appassionato, un innamorato di Gesù Cristo e non vede altri che Lui. Il 4 aprile 1931 è diacono. Il 3 maggio 1931, festa dell’Invenzione della Croce di Gesù, è ordinato sacerdote. Ecco, ora nella Chiesa, come una meteora incandescente e luminosa, ci sarà anche don Giuseppe Canovai. Nel giugno dello stesso anno, è assunto come minutante presso la S. Sede, alla Congregazione dei Seminari. Comincia, lavorando, in umile posto, per i sacerdoti.
All’indomani della ordinazione, annota sul suo diario: "Quanto amore mi ha mostrato il Signore. Sento che il dovere più forte che ho… è conservare la pace del cuore per essere un vero uomo di Dio".

Apostolo di luce


È coltissimo, brillante nella vita e nella parola. Ha studiato a fondo filosofia, teologia, diritto. La sua impostazione filosofica-teologica-spirituale è tutta bassata sulla Summa Theologiae di S. Tommaso d’Aquino, e conosce il pensiero contemporaneo nei suoi abissi e nella sua necessità di luce. Così, Don Canovai, al lavoro d’ufficio, aggiunge da subito un luminoso apostolato dell’intelligenza.
Subito gode di un immenso prestigio tra gli intellettuali d’Italia: i più bei nomi del sapere sono avidi della sua parola, della sua conversazione che spazia su ogni problema e che illumina con la Persona e il Vangelo di Gesù, unica soluzione adeguata e definitiva a ogni problema. Così, è per i primi anni di sacerdozio, l’apostolo di Gesù, Luce del mondo, "mangiato" dallo zelo della missione, di amarlo, di farlo conoscere e amare, così come è Egli solo è: sublime, divino, mai discorso da nanerottoli, ma il "Logos", il Verbo delle anime più grandi, il Costruttore di uomini dell’infinito, di personalità divinizzate da Lui.
Dopo che la sua mamma nel gennaio 1937 era morta e il P. Rosa, suo direttore di spirito, nel novembre 1938 se ne andò in Paradiso, don Giuseppe Canovai rimase solo. Nel maggio 1939, dal Papa Pio XII gli arrivò la proposta di andare come uditore di Nunziatura a Buenos Aires in Argentina. Non aveva vocazione diplomatica e si sentì come spezzare la vita, ma prevalse in lui l’obbedienza alla volontà di Dio. Si trattava di lasciare Roma, gli amici, il suo apostolato fiorente, e di partire per un mondo sconosciuto. Don Canovai, della sua vita – ha solo 35 anni – anche ora ne fa un’offerta a Dio, con Gesù, per la Chiesa.
La sua vera statura si rivelò ancora meglio lontano da Roma, in un compito altamente impegnativo al servizio della Chiesa e ancora in un apostolato della cultura, in cui riuscì come pochi, tra i più dotti di Buenos Aires e di Santiago del Cile. Il 14 dicembre 1939, sulla nave Oceania, con il suo Nunzio Mons. Fietta, partì da Genova per l’Argentina. Appena in sede, cercò di impossessarsi al massimo della lingua – lo spagnolo – e di prendere chiara visione del suo ufficio di uditore. Ma già la sua salute cominciava a farsi fragile. Che fare? Un’offerta, solo un’offerta, come Gesù sulla croce: "Per coloro che ti ignorano – scriveva nel diario il 20 gennaio 1940 – prendimi, o Signore, affinché ti conoscano. Per coloro che ti dimenticano, prendimi, o Signore, affinché ti ricordino. Per coloro che ti offendono, prendimi, Signore, affinché ti servano. Per coloro che ti insultano, pendimi, o Signore, affinché ti glorifichino. Per coloro che ti tradiscono, prendimi, o Signore, affinché diano la vita per Te". Prendimi… prendimi. Nel mio lavoro, nel mio sacrificio, nella mia salute, nelle mie forze, nella mia solitudine, nel mio esilio, nella mia preghiera… prendimi, consumami, per Mariam in Spiritu Sancto ad gloriam Patris".
Questa la vita di Mons. Giuseppe Canovai, sempre e ancora di più negli ultimi anni, quando ancor giovanissimo già si avvicinava alla fine.

Tramonto a mezzogiorno

Appena padrone della lingua, mentre assolveva in modo inappuntabile al suo ufficio, a poco a poco si lasciò travolgere da un’attività apostolica da vertigini. Il Nunzio, mons. Fietta, che lo amava come un figlio, avrebbe voluto frenarlo, ma dinanzi al bene immenso che "don Giuseppe" spargeva – tra gli operai, nella periferia di Buenos Aires, tra i religiosi e il clero, con magistrali conferenze tra gli intellettuali – lo lasciò a briglie sciolte, così che la sua predicazione del Cristo, era una come le cascate del Niagara.
Nelle ore libere (dove le trovava?) si asserragliava in camera e, nonostante il caldo, l’insonnia, i morsi dell’ulcera duodenale, studiava da ammazzarsi. I rappresentanti della più alta cultura argentina – studiosi, cattedratici, letterari – dovettero riconoscere che rare volte avevano inteso una parola più dotta, più convincente, più affascinante di quella portata loro da quel giovane prete, animato dall’ardore del suo zelo e dalla sua sete di santità e di irradiare Gesù.
È impossibile in poche pagine dire anche solo qualcosa della intensissima vita di diplomatico e apostolo, qual era mons. Canovai, accompagnata sempre dai fastidi di una salute tenuta su dalla sua volontà risoluta e al desiderio di spendere la vita e la sofferenza come moneta pregiatissima da offrire a Dio, alla Chiesa, alle anime, con la sua configurazione sempre più piena a Gesù Crocifisso e l’efficacia del suo lavoro sacerdotale. A seguire l’agenda di quei anni c’è da mettersi le mani nei capelli: ritiri, corsi di esercizi, di apologetica, nelle cappelle di poche suore, nei seminari, nelle sale affollate per conferenze, nelle Università di stato, nei noviziati, negli ospedali, ai medici, ai professionisti, all’Azione Cattolica. Dovunque lo chiamavano, andava.
Aveva da poco superato i 35 anni, l’età che gli antichi, come Dante, consideravano il "mezzogiorno", "il mezzo del cammin di nostra vita", e c’è ancora almeno un’altra metà. Ma per don Canovai, era vicino il tramonto: tramonto a mezzogiorno, quando il sole è allo zenit, tramonto di fuoco.
Ai primi di gennaio del 1942, gli giunse l’ordine di recarsi come incaricato di affari ad interim alla Nunziatura di Santiago del Cile. Pochi giorni dopo, partì, appena uscito da una "notte oscura" dell’anima in cui gli era parso, in una mestizia senza fondo, di essere riprovato da Dio, di non essere vissuto abbastanza per Lui. A Santiago fece prodigi di attività, sempre alternata con la semina del Vangelo di Gesù. Memorabile quello che fece per scongiurare che passasse al parlamento del Cile, la legge per il divorzio. Più che l’azione diplomatica accorta e penetrante, egli scongiurò la nefanda legge contro l’unità della famiglia con notti di preghiera e di penitenza inflittesi sino al sangue.
A Mar de La Plata, il 2 Maggio 1942, annotava nel suo diario: "Estraniarsi dell’anima, fuori di tutto, meno che da quell’Uno – Gesù Cristo – Cui mi dono interamente… Sete incontenibile di essere sempre ai piedi dell’altare e offrire il suo Sacrificio, aspirazione bruciante di scomparire e di cancellarmi nella sua unica Offerta. Grazie, mio Dio!".
Nel giugno del 1942 termina la sua missione in Cile e ritorna a Buenos Aires. Il suo collega si ammala e mons. Canovai si sobbarca anche il suo lavoro. Non si può dire di no al Cristo e alle anime. "Gioia incontenibile – scrive nel suo diario incandescente – di essere prete, gioia di offrire, di offrire almeno la pena di non fare e ben più ancora la pena di non essere ancora ciò che vorrei. Desiderio struggente di essere Gesù".
Alla fine di ottobre 1942 tenne un corso di cultura cattolica, in cui ai presenti parve sprigionare lo splendore insolito della sua fiamma che stava per estinguersi su questa terra. Il 5 novembre 1942, si sentì male. L’indomani non poté alzarsi per celebrare la S. Messa. Chiamò il gesuita P. Andrea Doglia per confessarsi: "Padre, ora muoio, vado da Gesù". Viene ricoverato in clinica perché la peritonite faceva già il suo corso. Riceve tutti i Sacramenti, in una serenità, una gioia indicibile. La mattina dell’11 novembre 1942, don Giuseppe Canovai va incontro al suo Dio. Non ha ancora compiuto 38 anni, ma sulle labbra sino all’ultimo ha detto, in una pace serena, in una vera trasfigurazione:
"Tutto per Te, Signore". E poi ancora: "Prendi, o Signore, il poco che offro, il nulla che sono; dammi il molto che spero, il tutto che Sei".

Preghiera
O Dio, che hai riservato al Tuo servo Giuseppe Canovai molteplici doni scaturiti dalla sorgente della Tua misericordia, sii Tu la nostra costante difesa perché anche noi, seguendo il suo esempio, sappiamo amare e servire la Chiesa che Cristo acquistò col suo sangue. Visita il nostro cuore con la dolcezza della Tua grazia e ravviva in noi, per l’intercessione del Tuo servo Giuseppe, la memoria della passione di Cristo perché nulla ci scoraggi mai dall’essere testimoni autentici del Tuo Regno di Verità, di Giustizia e di Pace. Per Cristo nostro Signore. Amen.


Autore:
Paolo Risso


Note:
Per maggiori informazioni: www.dongiuseppecanovai.it
Per contattare il Postulatore don Riccardo Petroni: assistente.ecclesiastico@dongiuseppecanovai.it

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Aggiunto/modificato il 2014-12-11

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