Primi anni di vita
Antonio nacque il 6 dicembre 1936 da Salvatore Loi e Greca Furcas a Decimoputzu, un piccolo paese del campidano di Cagliari. In quel piccolo angolo di mondo la vita si svolgeva tra il duro lavoro dei campi e il campanile della Chiesa intitolata a Nostra Signora delle Grazie. La fede è entrata a far parte della cultura della famiglia e del paese, tanto che Antonio fu battezzato pochi giorni dopo la sua nascita, l’8 dicembre, dal Sac. Emanuele Meloni, e gli fu imposto il nome di Antonio Giuseppe e Salvatore. Da ragazzo frequentò la scuola elementare del paese, situata dirimpetto alla Chiesa Parrocchiale, dove fin da ragazzo non mancava di fare qualche visita a Gesù Sacramentato, distinguendosi subito per pietà e devozione. Erano anni difficili, una nuova e difficile guerra veniva combattuta nel territorio italiano, Cagliari ne risultò la città più distrutta, il campidano era via di passaggio per tanti che cercavano rifugio nei paesi più interni. Nonostante tutto in paese non si perse la fede, la gente si rimboccò le maniche e ben presto si riprese una vita normale. Antonio ricevette la Prima Comunione il 10 maggio 1945. Nell’immaginetta ricordo che la sua mamma volle donare ai presenti è raffigurata una bella immagine del Sacro Cuore di Gesù. Nello stesso anno, il 1° dicembre, ricevette la Santa Cresima dalle mani di monsignor Piovella, Arcivescovo di Cagliari.
Ricevuta la Prima Comunione Antonio chiese al Parroco don Deidda di poter entrare a far parte del gruppo dei chierichetti. Il parroco con grande gioia accolse quel ragazzo che già aveva notato attento a tutte le funzioni, in special modo nel mese di maggio, quando alla sera si recitava il Rosario. Aveva notato che spesso Antonio arrivava di corsa. Trascorreva il pomeriggio a lavorare nei terreni della famiglia ma faceva il possibile per terminare in tempo e poter assistere alla funzione Mariana. Come ministrante ben presto si distinse per zelo e compostezza, divenendo di esempio per il resto dei ragazzi. Aveva il carisma di attrarre anche altri ragazzi un po’ refrattari alla Chiesa promettendo loro una buona e sana partita a calcio, una volta terminato il servizio all’altare.
I desideri di Antonio nei confronti del Signore andavano pian piano ben oltre il semplice servizio come ministrante. In un tema della quarta elementare rivelò la sua grande aspirazione a «diventare sacerdote»; e questo gli procurò non poche prese in giro non solo da parte di alcuni compagni ma anche della stessa insegnante. In seguito, facendo l’esame della vocazione scriverà: «Quando frequentavo la scuola elementare sentii proprio il desiderio di diventare Sacerdote. Ogni giorno allora sentivo il desiderio di andare in Chiesa per qualche minuto, assistevo alla Messa prima di andare a scuola. Questo venne appreso dalla maestra e dagli scolari che in seguito mi deridevano. Ma io sentivo questo desiderio e non ascoltai mai le loro derisioni».
La vocazione sacerdotale
Il desiderio nato nel cuore di Antonio non venne meno con il trascorrere del tempo; anzi si sviluppò grandemente. La sua frequenza alla Messa e alle funzioni in Chiesa erano ormai diventate quotidiane. La sua unica aspirazione di vita era «diventare Sacerdote». Manifestò questo suo intento in casa ma la Mamma, Greca, già aveva intuito questo “suo amore”. Nonostante le difficoltà economiche che poteva comportare seguire questa strada i genitori appoggiarono la decisione di Antonio e assieme al Parroco si presentarono al Seminario di Cagliari. Antonio aveva concluso la scuola media ma si presentava un problema: non aveva ancora sostenuto l’esame di ammissione alla scuola media! Il seminario di Cagliari che in quel periodo non aveva problemi di candidati tralasciò la richiesta di Antonio. Si doveva ripresentare il prossimo anno con tutti gli studi in regola. Per Antonio fu un duro colpo! Aveva sentito nel cuore la chiamata al Sacerdozio però quelle porte che gli consentivano di iniziare il cammino per il momento rimanevano chiuse. La delusione fu grande, in casa non parlava di altro e la tristezza trapelava dai suoi occhi. Un pomeriggio si presentò a loro un caro amico di famiglia, Annio Caboni, che voleva tanto bene ad Antonio ed era molto amico di monsignor Melis, che allora era rettore del Seminario di Iglesias. Dopo il colloquio con monsignor Melis si giunse a questi patti: Antonio avrebbe iniziato il seminario a Iglesias, anche senza l’esame di ammissione, e nel frattempo si sarebbe dovuto preparare per l’esame. Le porte del seminario che non si aprirono al Seminario di Cagliari, per altre vie si spalancarono al Seminario di Iglesias. Il sorriso ricomparve nel viso di Antonio che, con l’aiuto della sorella di Annio Caboni si preparò a sostenere l’esame. Il suo impegno nello studio ebbe esito positivo nella Scuola Media Statale “G. Mameli”, in via Goceano, a Cagliari, durante la sessione autunnale 1948-1949.
Nell’ottobre del 1948 Antonio entrava nel seminario Vescovile di Iglesias. Dopo gli esami sostenuti e il percorso avviato gli venne chiesto se voleva entrare nel Seminario di Cagliari ma lui, per rispetto dell’impegno preso con l’amico di famiglia, volle rimanere nella Diocesi di Iglesias. Fu così che continuò la sua formazione e i suoi studi sempre più convinto della sua scelta. Nel seminario di Iglesias Antonio ebbe la fortuna di incontrare il Padre Nicola Abbo, che nell’ottobre del 1952 divenne Rettore del Seminario. Sotto l’influsso di Padre Abbo Antonio consolidò la sua devozione alla Madonna. Così scrisse Padre Abbo: «La sua pietà, senza avere stranezze, si rendeva manifesta da una particolare attrattiva per le pratiche di devozione in uso nel Seminario; in modo particolare gustò e praticò la perfetta consacrazione alla Madonna nello spirito di San Luigi di Montfort». Il suo direttore spirituale P. Piano M. Manfredo lo descrisse in questo modo: «Ricordo il suo atteggiamento durante le meditazioni e le conferenze: fermo, con l’animo aperto e disposto e la Parola lo raggiungeva tutto. Nel colloquio in direzione: diceva poco, ma con molta precisione, poi ascoltava, seguiva, capiva…lo rivedo nella recita del rosario e dell’Ufficio della Madonna: era tutto lui in venerazione e lode alla Madre di Dio».
Il tempo della scuola media e del ginnasio trascorse sereno per il giovane Antonio che procedeva nel cammino verso il Sacerdozio. Il maestoso Seminario Tridentino di Cuglieri, tanto sognato dall’episcopato Sardo e desiderato da Pio XI, era situato in un paese al centro della Sardegna e riuniva i seminaristi di tutta l’isola. La direzione era affidata ai Padri Gesuiti. Fu costruito in quel luogo per essere equidistante dalle varie diocesi ma soprattutto per affidare alla Madonna quanto di più prezioso aveva la Chiesa Sarda. Era intitolato al Sacro Cuore di Gesù. Dopo i moti rivoluzionari dell’800 un nuovo impulso si dava alla devozione del Cuore di Cristo che veniva ripresa e spiegata anche teologicamente. Attraverso la formazione spirituale e culturale il Seminario doveva rendere il cuore del futuro sacerdote simile al cuore di Cristo, che si è donato senza riserve per la salvezza delle anime.
Antonio arrivò a Cuglieri nell’ottobre del 1954. Così descrive il suo primo giorno di seminario: «Finalmente dopo quattro ore di viaggio, eccomi in vista di Cuglieri alla cui entrata s’erge maestoso il Seminario Regionale. Stavano ad attendermi al pulman alcuni compagni che per un motivo abbastanza noto erano arrivati alcuni giorni prima. Nel varcare la soglia del Regionale, il primo simpatico personaggio con cui ero venuto a contatto è stato il prefetto “Virdis”. Questi prese gentilmente due valigie (non leggere), mi invitò a seguirlo e via…per corridoi, porticati, scaloni a non finire. Nel trovarmi per la prima volta in un ambiente così vasto e così movimentato non nascondo che mi trovai smarrito “in una selva oscura” e che cominciarono a spuntare i primi sintomi di nostalgia». Il tempo in seminario scorreva velocemente, ritmato dai vari impegni che i superiori ritengono più importanti per conformare quei giovani alla sequela di Gesù. Antonio da subito si ambientò in modo lodevole. Si applicò nello studio in cui riportò soddisfacenti risultati. Venne notato anche per le sue doti canore. Alla vita spirituale intensa e allo studio impegnativo erano alternate lunghe passeggiate per il piccolo paese che sempre culminavano con una visita alla Basilica di Nostra Signora della Neve. Lo sport rivestiva un ruolo importante nella vita del seminario: di distensione nelle ore pomeridiane ma nei giorni in cui si disputavano le “olimpiadi” assumeva livelli agonistici. In quella occasione i seminaristi si sfidavano con grandi gare su vari sport. Antonio non amava la competizione ma amava molto lo sport. Così don Vincenzo Fois: «Con la sua corporatura esile quando faceva il salto in alto o in lungo pareva potesse volare», assicurandosi la vittoria ma senza farsene motivo di vanto.
L’offerta della sua vita
«Seguire Cristo e formare gli stessi sentimenti del Suo Cuore» è il riassunto della formazione Cuglieritana. Quello stesso cuore, povero, umile, casto che si dona, che è sofferente per il disprezzo e il rifiuto da parte degli uomini, era la meta di tutto l’iter seminaristico.
Quel Gesù che mostra il suo cuore, che attrae e che seduce, stava conquistando il cuore di Antonio. Anche sua sorella Anna, alla quale rimase sempre molto legato, lasciò la casa materna nel 1957 per donarsi al Signore nelle suore del Sacro Cuore a Vische, con il carisma speciale della preghiera per la santificazione Sacerdotale. Dopo le grandi apparizioni seicentesche a Santa Margherita Maria Alacoque, in cui Gesù mostrava il Suo Cuore incoronato di spine chiedendo riparazione per i peccati del genere umano, a fine ‘800 Luisa Margherita Claret de la Touche ricevette delle apparizioni di Gesù che presentò il suo cuore oltraggiato dai sacerdoti e chiedendone riparazione. Antonio rimase affascinato dal carisma di questa Congregazione, come testimoniato dai racconti della sorella Anna. Varie volte visitò il monastero di Vische rimanendone profondamente colpito, intessendo amicizie e suscitando grande ammirazione da parte delle religiose.
Gesù aveva chiesto a Margherita de la Touche la consacrazione di anime generose per donarsi totalmente e incondizionatamente a Lui per la salvezza del mondo. Antonio rimase entusiasta di questo messaggio. Aveva sempre desiderato donarsi al Signore interamente e quella consacrazione era vista da lui come un’anticipazione dell’ordinazione sacerdotale. Fu così che l’8 dicembre 1957 Antonio fece la sua consacrazione solenne all’Amore Infinito.
Da quel giorno la vita di Antonio non fu più la stessa. Il Signore ascolta chi si dona a Lui con Gioia e Gesù sembrò aver gradito quell’offerta in espiazione dei peccati. Iniziarono i malesseri, i mal di testa improvvisi, una stanchezza che prima di allora non si era avvertita. Il suo corpo, che prima riusciva a fare lunghi e alti salti sembra non riuscire a compiere tutti i passi della giornata. Ma Antonio, fedele alla sua consacrazione, cercò per quanto possibile di non far vedere ai suoi compagni e ai suoi superiori i malesseri che avanzavano. Ne annota solo qualcuno in forma brevissima nel diario. In una piccola confidenza a don Zucca, datata 13 settembre 1959, scrisse «Sempre unito nella preghiera e nel sacrificio solo così si possono continuare a portare le anime a Gesù». Una nuova esperienza spirituale entrò nella vita di Antonio: il “sacrificio” di un corpo che andava piano piano disfacendosi.
I malesseri iniziali che Antonio sentì non disturbarono così tanto i suoi studi, Furono sopportati nel silenzio come offerta piccolissima a quel Cuore che soffre coronato di spine. Comunque con grande impegno e soffrendo in silenzio Antonio continuò gli studi e cammino seminaristico: il 20 dicembre 1958 ricevette la Sacra Tonsura, il 19 dicembre 1959 l’Ostiariato e il Lettorato, il 17 dicembre 1960 l’Esorcistato e l’Accolitato.
Come appare dai suoi scritti il 15 febbraio del 1961, Mercoledì delle ceneri, Antonio si trovava nell’infermeria del Seminario, il suo stato di salute era preoccupante e la febbre lo lasciava solamente per alcune ore. Poiché i dolori articolari e lombari erano sempre più forti Antonio dovette lasciare il seminario e iniziare la sua Quaresima. Ormai non si poteva più nascondere il suo stato di salute. Il fratello Giovanni lo accompagnò alla mutua dei coltivatori diretti, vari medici lo visitarono ma non trovarono una diagnosi a quelle continue febbri e dolori. Venne ricoverato nella Clinica «Sant’ Antonio» per calcoli renali ma non si risolse nulla. Qualche medico indiscreto pensò che si trattasse solo di una forma di stress, per motivare una decisione nascosta di lasciare il seminario, ma la risposta di Antonio impressa nella memoria dei familiari, fu netta: «Lei pensi con coscienza a curare i malati che alla mia ordinazione ci pensa il vescovo». E il suo vescovo pensava realmente al suo seminarista, tanto forte, tanto brillante che si trovava in quel momento con Cristo sulla Croce. In questo periodo nasceva una vera e propria corrispondenza tra Antonio e monsignor Pirastru. In una lettera del 13 giugno 1961, indirizzata a monsignor Pirastru, egli scrisse: «Sono nelle mani della Madonna, il Signore sa quel che fa e fa tutto perché ci ama». Dall’11 marzo iniziarono numerosi ricoveri che miravano a cercare la risposta medica a quei strani disturbi, dolori articolari, febbri altissime che si alternavano, sensazione di stanchezza estrema che lo costringevano a lunghe ore di riposo. La più grande preoccupazione di Antonio era constatare che non aveva le forze per completare gli studi per poter diventare presto sacerdote. Fin dai primi momenti dirà al professor Fiaschi: «Il suo compito è di rimettermi in piedi solo per diventare sacerdote».
Dal 1961 per Antonio la malattia divenne una sua compagna di viaggio, il suo letto il luogo dove iniziare a vivere il sacerdozio, le corsie degli ospedali l’ambiente in cui esercitare in grado massimo le virtù umane ma soprattutto le virtù spirituali. I medici che lo ebbero in cura e gli assistenti rimasero sbalorditi da come lui portava su di sé il dolore, con serenità. Lo stesso professor Enrico Fiaschi, dell’istituto di patologia medica dell’università di Cagliari, tramite una sua testimonianza, poté scrivere: «La nostra memoria ce lo fa ancor oggi vedere come una persona dalle doti spirituali non comuni, sereno nella sopportazione, sempre fiducioso in quanti si adoperavano per lui». Un altro medico che allora era uno studente al 4° anno di medicina, il dottor Giovanni Sarigu di Decimomannu così scrisse di Antonio: «Giovane magro, pallido, cordialissimo, pronto al sorriso. Soffriva di violenti dolori addominali…si mantenne sempre calmo, sereno, rispettosissimo. Intuiva d’avere una malattia molto grave e mi chiedeva continuamente spiegazioni…la disinvoltura e il distacco con cui parlava del suo male mi lasciava sbalordito». Nel giugno-luglio 1961, ricoverato nella Patologia Medica dell’Ospedale Civile venne operato alle tonsille. Per un periodo la febbre sembrava scomparire. In quello stesso anno arrivò una lettera dal Seminario. Le sorelle non la lessero mai ma ancora oggi testimoniano che «aperta quella lettera, pur dicendo che i dolori sono ingenti, lui dopo aver letto disse che l’indomani sarebbe ripartito per Cuglieri». Forse quella stessa lettera ricordava al chierico che per poter diventare sacerdote era necessario sostenere gli esami e quella degenza lontana non lo aveva di certo aiutato. Ma la tristezza e il dolore più grande per Antonio era vedere sfumare il desiderio di essere «Tutto di Cristo». Il giorno dopo partì alla volta di Cuglieri. Dopo alcuni mesi trascorsi al seminario di Cuglieri, nel febbraio 1962 era di nuovo ricoverato all’Istituto di Patologia Medica. Questa volta si sospettava appendicite, venne operato e rimase ricoverato da agosto a novembre. Dopo l’operazione rientrò in Seminario per cercare di dare qualche esame e ritardare il meno possibile l’Ordinazione. In quello stesso anno, il 1° luglio 1962, veniva ordinato sacerdote don Alfredo Tocco, suo compagno di classe. Nonostante i suoi mali, Antonio non mancò di partecipare alla ordinazione e anche alla Prima Messa, il giorno dopo, nel paese di Serbariu. don Tocco annota: «Don Loi, evidentemente molto stanco, voleva ripartire subito al suo paese, ma il Vescovo lo invitò a recarsi a Serbariu per la mia prima messa e così fece».
Dopo vari ricoveri, assunti vari medicinali, varie volte operato senza aver risolto nulla… i dolori non passavano, anzi aumentavano. La febbre e la stanchezza lo obbligavano a passare più disteso a letto che in piedi. Seguì un nuovo ricovero all’istituto di Patologia Medica in cui gli fu riscontrato il suo vero male: «Linfogranuloma Maligno». I suoi dolori non erano immaginari. Il suo male come un beffardo ladro, piano piano gli toglieva le forze, gli toglieva la vita. Ma non aveva fatto i conti con Antonio che al Signore offriva ogni cosa. Iniziò una vera e propria maratona di preghiera. In tanti scrivevano ad Antonio per conoscere il suo stato di salute. I suoi compaesani lo visitavano chiedendo a Dio e alla Vergine Santissima il dono della guarigione. Intanto il male avanzava compromettendo la struttura ossea di Antonio e nel nuovo ricovero, dall’aprile a giugno 1963 gli venne applicato il busto che porterà fino alla morte. Il povero Antonio era martoriato nel corpo. Ormai le previsioni erano infauste per quello che concerneva la fine della sua vita, ma recava nel suo cuore una tranquillità e una giovialità fuori dal comune. Sentì che un po’ di aria fresca avrebbe giovato alla sua salute e così chiese e ottenne di trascorre del tempo a Flumini presso la casa delle Suore della Redenzione. Se in un primo momento si sentì molto meglio, con il passare dei giorni la situazione si aggravava sempre di più. Iniziò a confidarsi con varie suore che lo accudivano, parlava loro con minuzia medica della sua situazione di salute e dell’imminenza della sua dipartita per il cielo.
Chi con animo cristiano pensa al malato non può non rivolgere il suo pensiero a Lourdes, piccola cittadina francese dove nel 1858 apparve la Madonna a una fanciulla di misere condizioni sociali in cui chiedeva sacrifici e di portare i malati nel luogo delle apparizioni. Anche per Antonio si organizzò un viaggio a Lourdes. Il suo vecchio parroco don Cherchi si diede da fare per quel pellegrinaggio nella speranza che la Vergine Maria potesse risollevare dal dolore del suo figlio diletto. La data era decisa per il 17 agosto del 1963. Ma, ancora prima, Antonio scrisse una lettera a monsignor Pirastru per aggiornarlo sul suo stato di salute e per chiedergli il permesso per quel viaggio a Lourdes: «Lei eccellenza me lo permette?». In questa frase era racchiusa una perla di obbedienza e di totale abbandono di Antonio nelle mani del suo vescovo, al quale chiedeva, in quella stessa lettera: «Preghi per me perché diventi uno strumento malleabile nelle mani del Signore». Antonio si diresse a Lourdes non con la richiesta della guarigione, «a quella ci pensa il buon Dio» ripeteva, ma con l’intento di portare ai piedi della grotta di Massabielle un unico grande desiderio: «diventare sacerdote». Rimase a Lourdes fino al 26 agosto.
Il viaggio a Lourdes trascorse nel migliore dei modi, la Madonna aveva ascoltato il suo figlio prediletto che diceva: «Desidero morire da Sacerdote, ho già ricevuto gli ordini minori, dovrei dare solo qualche esame per essere ammesso all’Ordinazione Sacra. Ho già inoltrato domanda al mio Vescovo per esserne dispensato, perché non riesco ad applicarmi allo studio e non ne ho la forza». La Vergine di Lourdes non gli aveva tolto i suoi mali ma gli concedeva il desiderio più intimo. Infatti il 22 settembre 1963 Antonio Loi fu ordinato Sacerdote. Si era preparato ritirandosi ancora una volta a Flumini dalle Suore della Redenzione e aiutato nelle meditazioni da don Antonio Onnis, allora cappellano delle suore. In quei giorni ripeteva sempre: «Sì, Signore, l’Ordinazione, la prima Messa, e poi…con Te, per sempre». Il giorno della Prima Messa grande era la commozione di tutti. Antonio era raggiante, sembrava come se in quel giorno la malattia gli lasciava un po’ di tregua. Gli facevano corona tanti sacerdoti che piangevano non solo per la commozione della cerimonia ma al pensiero delle sue sofferenze e del suo sacerdozio che si prevedeva molto breve. In una lettera ad Antonio don Gino Bianchi annotava un aneddoto della celebrazione: «Ma quando i tuoi occhi sereni e luminosi si sollevarono in faccia a chi piangeva di più per dirgli: “Ma finiscila; non hai più nessuna fede? E, se hai fede, perché dovresti piangere?». La fede di Antonio era una fede basata sull’affidamento della sua vita a Dio. Era una fede che contagiava e che fortificava. Con la sua sofferenza Antonio diventa punto di riferimento per tanti che gli chiedevano aiuto e consiglio. Molti iniziarono ad avere con lui una corrispondenza: «Il vederti così sereno, contento, vivendo in pieno la tua croce mi ha impressionato...ho sentito il dovere di ringraziarti di quella pace intima che la tua vista mi ha donato».
Il viaggio a Roma
Dopo l’ordinazione sacerdotale don Antonio fu ricoverato al «Regina Elena» a Roma; un’ultima speranza su una possibile guarigione affidata alle cure di un complesso ospedaliero più avanzato. In quel tempo Antonio fu compagno di stanza di un altro sacerdote anche lui sofferente per un melanoma. Come si sentiva Antonio in quella situazione? Come testimonia don Agostino, «come cani alla catena che han la fregola dei prati», Antonio, in modo spesso scherzoso che strappava il sorriso a coloro che lo assistevano, descrisse la sua critica condizione. Questa simpatia che caratterizzava molte anime «che gli rende tanto simpatici agli occhi degli altri e che fa loro accettare il sacrificio generoso della loro giovinezza in unione alla Passione e Morte del Signore». Nonostante questi paragoni che fanno sorridere, Antonio non nascose la difficoltà del soffrire: «Soffrire è molto difficile e soltanto se il Signore riversa abbondanti le sue grazie si può andare avanti senza perdere la testa». Il Natale del 1963 si avvicinava, la degenza era durata alquanto in quella clinica. In quel periodo romano ricevette numerose visite da parte di suore, sacerdoti o semplici laici. Anche il personale medico e paramedico considerava la sua stanza un luogo speciale, dove guardare non solo un semplice malato ma qualcuno che donava a tutti una parola di conforto. Anche dal letto svolgeva il suo piccolo apostolato. Nel Natale 1963 Antonio, con grandi sforzi, si alzò dal letto e celebrò la Santa Messa nell’infermeria della Clinica a cui era presente la Madre Generale delle Suore di Betania del Sacro Cuore, assieme ad altre suore. Una di loro diceva: «viveva dopo il suo Giovedì Santo il suo Venerdì Santo nell’attesa del Sabato Santo».
Il 4 maggio 1964 fu un giorno di grande grazia. In occasione di un ulteriore ricovero a Roma Antonio fu ricevuto in udienza dal Santo Padre. Così descrisse quell’incontro: «Mattinata commoventissima. Il Signore mi ha concesso una grazia speciale: una udienza quasi privata con il Santo Padre. Commosso fino al pianto, mi ha detto di stare sempre tranquillo che il Signore può far tutto e sa quel che fa e se mi vorrà nel campo apostolico farà tutto Lui. Se la Sua volontà è diversa, accettare tutto con gioia serenità e amore». don Agostino Pugliese, in una sua testimonianza scritta, diceva che il Papa Paolo VI riconobbe nella malattia di Antonio «la volontà di Dio», esortandolo a compierla e portarla a termine. Durante il suo ricovero a Roma don Antonio fu visitato dal suo Vescovo Ausiliare monsignor Selis, che gli fece una richiesta particolare. Questo raccontò alla sorella: «Lo scorso anno a Roma avevo pregato suo fratello di scrivere quando gli veniva qualche buona ispirazione e a questo scopo gli portai anche un quaderno». Antonio ebbe per la scrittura sempre un grande amore, amava scrivere piccoli racconti per i “suoi chierichetti”, comporre piccoli canzoni per allietare i momenti di ricreazione e addirittura comporre opere da proporre al Teatro del Seminario. Ebbe anche puntualità e precisione nell’annotare in quaderni le meditazioni dei ritiri e delle conferenze. Il suo carattere era refrattario a mettere per iscritto le sue sensazioni ma nonostante ciò iniziò ad annotare ciò che aveva nel cuore. Lo scopo di questi quaderni? Ancora monsignor Selis scriveva: «Potranno servire per comune edificazione dei sacerdoti».
La sofferenza dei familiari era tanta, tutti aspettavano e pregavano per un miracolo, tanto che per una seconda volta, nonostante le difficoltà a causa del suo male fu portato a Lourdes, dal 6 al 15 luglio 1964, accompagnato da Pinuccio Schirra, in qualità di capo barelliere, il quale lui annotò: «Lo portammo barellato e nella serenità e rassegnazione viveva il dramma della sua incurabile malattia. Volevamo confortarlo con le nostre parole, ma il conforto lo ricevemmo noi». Nel cuore del novello sacerdote, per la seconda volta a Lourdes non c’era il desiderio della guarigione ma di ringraziare la Madonna che lo aveva ascoltato. Era diventato sacerdote. E quale modo migliore per ringraziare il Signore se non quella di celebrare alla Grotta proprio dove qualche anno prima aveva chiesto di diventare sacerdote? monsignor Enea Selis testimoniò: «Cosa straordinaria e insolita, che Antonio potesse celebrare alla Grotta seduto e da me assistito; fu per lui, che lo desiderava tanto, una gioia ineffabile». Durante la celebrazione gli fecero da assistenti don Spettu Efisio e don Onnis. Il registro delle Sante Messe riporta la data del 13 luglio 1964 all’Altare delle apparizioni e come intenzione e offerente monsignor Selis.
Gli ultimi giorni di vita
Il decorso della malattia non si arrestò. Numerosi furono i ricoveri e numerose le preghiere di amici e parenti. Gli ultimi giorni furono ancor di più di grandi sofferenze per don Antonio Loi. Nonostante le punture di morfina che il dottor Sarigu gli faceva, i dolori non passavano del tutto. Solo il gran prurito e le tante pustole che ricoprivano il suo corpo andavano pian piano scomparendo, dandogli almeno un po’ di tregua. Il suo soffrire, i suoi atteggiamenti lasciavano presagire l’imminente morte. Dal registro delle Sante Messe si apprende che il 15 maggio don Antonio celebrò la sua ultima Santa Messa. Riversato a letto una tavola sosteneva il suo corpo, come intenzione era scritto: «Immacolata». Il 27 maggio alle 6 del mattino arrivò don Zucca. Le condizioni di salute peggiorarono e il gonfiore della gola era ormai molto accentuato tanto da rendergli quasi impossibile la respirazione. Tuttavia quel giorno Antonio apparve molto sereno e con grande sorpresa dei familiari volle prendere addirittura il caffè. Quel giorno don Zucca riuscì addirittura a strappargli uno scatto fotografico. Dal lunedì al sabato era come in coma, ma ogni tanto sembrava come svegliarsi. Dalla Croce non si scende e il Signore gli concesse di vivere pienamente e totalmente il suo Venerdì Santo. Era il 29 maggio 1965. Alle 11 chiese insistentemente alla sorella Teresa di chiamare don Sanna, perché era giunta l’ora di ricevere l’unzione e prepararsi all’incontro con Gesù. Arrivò anche don Zucca che lo confessò e così pure Gino e Antonietta. Dopo aver ricevuto i sacramenti chiamò nella stanza i suoi familiari facendo loro delle raccomandazioni. Chiamò per ben 5 volte la mamma e l’ultima volta le chiese di rimanere accanto a lui perché quando Gesù morì, vicino a lui c’era la sua mamma. Intanto don Zucca chiedeva ad Antonio di ripetere le stesse parole di Gesù in croce ma Antonio, girandosi nel letto ripeteva quelle del Getzemani, perché ancora la sua consumazione non era arrivata.
Erano da poco scoccate le sedici, in tanti si assieparono nella sua casa: tanti sacerdoti e amici. Egli alternava momenti di calma a momenti di grande dolore. Oramai la fine era prossima. Chiese in mano la statuetta della Madonna e dopo averla baciata con le ultime forze la portò in alto e iniziò a fare un grande segno di croce per benedire gli astanti. Dopo di che con un filo di voce iniziò a cantare il Magnificat. Verso la fine del canto si adagiò sul cuscino. Erano le sedici e trenta quando don Antonio Loi si addormentò nel Signore.
Autore: don Fabrizio Deidda, postulatore
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