Nella foto di famiglia Bigazzi, Giovanni appare sempre vicino a Pietro: erano gli ultimi due figli di Luigi Bigazzi e della nobildonna Elvira Neroni Mercati, genitori di splendide virtù cristiane.
Era nato, Giovanni, il 12 luglio 1877 a Certignano in Valdarno (Castelfranco di Sopra – Arezzo) come gli altri suoi quattro fratelli. Dai suoi, ebbe educazione intensamente cristiana: ancora fanciullo, con il fratello Pietro, minore di lui di due anni, condivise la vocazione al sacerdozio e alla vita religiosa.
Dopo la scuola elementare, entrò nel Seminario di Fiesole, dove compì gli studi ginnasiali per tre anni. Il 15 agosto 1893, entrava nella Compagnia di Gesù e il 1° settembre successivo iniziava il noviziato a Castelgandolfo.
Gesuita
Di salute delicata, ma sempre pronto a superarsi, Giovanni rivelava un amore intenso alla preghiera e era fedelissimo a compiere gli incarichi avuto: il catechismo ai fanciulli nella parrocchia vicina di Marino, e il servizio ai malati all’ospedale del paese. Ai 17/18 anni, sembrava un S. Luigi Gonzaga, da vero degno suo emulo
Al termine del noviziato, qualcuno dei superiori dubitò un attimo se ammetterlo o no alla professione: era così fragile! Ma il Maestro dei novizi, P. Carini, tagliò corto: “Se morirà, avremo un angelo in più in Paradiso”. Così l’8 settembre 1895, Giovanni emetteva i primi voti nella Compagnia di Gesù: la Madonna da lui tanto pregata per riuscire nella vocazione, l’aveva esaudito.
Iniziava lo studentato, secondo “la ratio studiorum” dei Gesuiti. Fedelissimo alla regola, giovane innamorato di Dio, tutto “cristocentrico”, studiava deciso: domani sarebbe stato un padre colto, dottissimo, capace di illuminare i fratelli con la scienza delle realtà umane e divine. Intanto veniva rivelando quella dolce sottile vena poetica che sarà sua per tutta la vita.
L’8 settembre 1898, iniziava il triennio di studi filosofici all’Università Gregoriana. Aveva poco più di vent’anni e dal suo contegno emanava il fascino sempre attraente di un cuore vergine “perso” interamente nell’amore al suo Dio. Davvero, Gesù, incontrato nella preghiera e nella partecipazione intensa ai Sacramenti, era la sua Vita.
Al termine della “Filosofia”, Giovanni è “ripetitore” al collegio Pio Latino Americano, in Roma, al servizio dei giovani studenti provenienti dall’America Latina. Dopo la morte prematura del padre, la sua salute crolla: i superiori lo mandano al Collegio di Strada nel Casentino con l’incarico di “prefetto” dei piccoli allievi. I quali, presto, comprendono di aver trovato un fratello maggiore che trasforma la loro vita di collegiali in una vita di famiglia.
Davvero “Padre”
Poi la salute rifiorisce e Giovanni, rientrato a Roma, inizia gli studi della teologia. Nel 1908, è ordinato sacerdote di Cristo nella Famiglia di S. Ignazio di Loyola e nominato subito rettore del Collegio di Strada. Vero educatore dei suoi allievi, sa essere per loro padre e madre insieme. Ogni giorno dedica non meno di sette ore per il colloquio e la corrispondenza con i suoi allievi: come non amarlo?
Durante gli anni 1915-18, con la 1ª guerra mondiale, si sobbarca a numerosi e gravi sacrifici per procurare il sostentamento ai “suoi” ragazzi. In quel duro frangente, Papa Benedetto XV gli manda un suo ritratto con la dedica e la benedizione apostolica autografa, segno della sua stima per lui. Il 10 ottobre 1918, viene nominato rettore del Collegio Pio Latino Americano.
Si trova davanti a un compito difficile, alla guida di numerosi giovani del Sud America in cammino verso il sacerdozio, ma lui, colto e dimentico di se stesso, amabile e conoscitore del cuore giovanile, lo svolge con competenza e efficacia, anche nelle difficoltà. In quegli anni, il Collegio viene visitato dal presidente USA, W. Wilson, da re Alfonso VIII di Spagna, da ambasciatori e ministri accreditati presso la S. Sede, da molti Cardinali e Vescovi. Padre Giovanni lascia in tutti l’impressione dell’uomo di Dio.
Al termine dell’incarico come rettore, viene mandato al Collegio Leoniano di Anagni, come docente di Psicologia, Teodicea e Storia sacra. Nel 1928 viene chiamato a redigere il Messaggero del Sacro Cuore, di cui è direttore il P. Aloisi-Masella prima, e il P. Venturini poi. P. Giovanni fa del Messaggero la base del suo apostolato e in breve il periodico diventa quasi tutto opera sua. Presto diventa organizzatore di diversi centri dell’Apostolato della preghiera a Roma e in Italia centrale.
Le pagine luminose scritte da lui su argomenti teologici e ascetici, rivelano uno scrittore-apostolo preparato e capace, per la profonda cultura e per lo spirito soprannaturale, che l’anima sempre, di irradiare Gesù e il suo amore infinito alle anime. La vita spirituale che diffonde trova il suo centro nel Cuore di Gesù, conosciuto, penetrato, amato, vissuto, fino all’ultima fibra. Accanto a Lui, Maria SS.ma, la Madre Celeste, è sentita come la guida a un incontro sempre più intimo con il suo Figlio.
Apostolo su diverse linee
Ma tutto ciò non basta a colmare il desiderio di irradiazione apostolica del P. Govanni. Lo incontriamo direttore spirituale ricercato da adulti e giovani, predicatore ascoltato perché ricco di una dottrina sublime, illustrata con parole semplici, toccanti, dense di testimonianze di vita, che non nasconde a nessuno le “Verità più scomode” della vita cristiana-cattolica.
Nei medesimi anni, parla alla Radio Vaticana, rivolgendosi soprattutto ai piccoli che lui tanto ama, con il nome di “Zio Giovanni”. È collaboratore al giornalino per i ragazzi “Il Crociatino” e non tralascia mai quello che è il primo apostolato di ogni sacerdote: il Sacramento della Confessione, per riconciliare e guidare le anime a Dio.
Non esclude dal suo apostolato le opere più difficili come il farsi pacificatore di liti, anche nei momenti più aspri: quando è riuscito a comporre in pace anche grosse questioni, i contendenti gli dicono: “A Lei non si può mai dire di no”. È la forza della Verità e dell’amore che vince, la presenza di Gesù che vive in lui e, per mezzo di lui, attrae le anime alla vita nuova della grazia santificante.
Nelle sofferenze, anche le più laceranti, P. Giovanni è presente per consolare, per offrire assistenza spirituale e materiale, portando ai bisognosi cibo, medicine e vestiario. Aveva fatto così anche il suo papà, Luigi Bigazzi, e opera così il fratello Pietro, diventato P. Cristoforo dei Domenicani, arrivando a privarsi del cibo, di tutto il denaro per darlo ai più poveri.
In mezzo ai sofferenti, ai poveri, alle anime in difficoltà per le mille croci della vita, appare l’angelo consolatore, sempre umile, mite, innamorato di Dio, pronto a sacrificarsi per tutti, un uomo veramente del Vangelo.
Da quanto siamo venuti narrando, emerge l’immagine di un religioso santo che vive in una stretta unione di amore con Gesù: ne è segno che quando sente parlare dei peccati che si commettono, soprattutto delle infedeltà di confratelli nel sacerdozio, P. Giovanni piange calde lacrime, vedendo Gesù offeso, dimenticato, misconosciuto. La sua passione è la preghiera liturgica: la S. Messa e la recita del Breviario, fatta possibilmente dinanzi al Tabernacolo, è ogni giorno di più il centro della sua giornata, della sua esistenza religiosa e apostolica.
È devotissimo della Madonna e vuole infondere questa sua grande affezione mariana in tutte le anime, certo che chi ama Maria SS.ma non può andare perduto, perché Ella è la Madre dell’Uomo-Dio e dei figli di Dio, la consolatrice, la causa della nostra gioia, la guida delle anime all’incontro con Gesù.
La sua vita tutta cristocentrica e mariana lo conduce a un amore molto forte al prossimo e, per amore di Dio e del prossimo, compie la predicazione del Vangelo, che illumina e salva, senza risparmiarsi. Affabile e amabile con tutti, non incute soggezione né timore, ma sa farsi amare e riesce a “espugnare” i cuori più duri. Proprio per amore, è zelantissimo per la causa del Regno di Dio: nessuno può mai farlo tacere quando si tratta di parlare in difesa della Fede, per vincere l’ignoranza religiosa, per combattere la bestemmia, la volgarità dei discorsi, la violazione della festa, come un buon “miles Christi”, un soldato di Gesù.
Ama la Chiesa e il magistero del Papa. Uomo di carattere integrale nella vita e nella coerenza religiosa, granitico nella scienza e nella fede, capace di penitenze personali anche molto dure, diventato nella preghiera e nell’ascesi “un sì vivente” a Dio, P. Giovanni è sempre dolce e sereno, così da essere piacevolissimo stargli insieme e condividere i suoi discorsi e i suoi ideali, la sua sete di santità e di apostolato.
“È croce di Gesù”
Nel 1938, appare stanco, affaticato. Una tosse secca e ostinata non gli dà pace. Dimagrisce a vista d’occhio. Gli diventa ogni giorno più difficile deglutire il cibo. Si sospetta un cancro alla gola. Tuttavia si occupa ancora degli altri: confessa, celebra la S. Messa, scrive sul Messaggero. Gli procurano i cibi più delicati affinché possa nutrirsi, ma il male lo tormenta ogni giorno di più: rimane calmo, sereno.
Un giorno va a visitarlo il fratello, P. Cristoforo, domenica illustre del “S. Uffizio”, e gli parla della grave malattia del comune amico P. Alfonso Gasperini, dell’Ordine dei Predicatori. P. Giovanni rimane turbato, ma poi calmandosi alquanto dice al P. Cristoforo: “Aspetta un momento”. E comincia a scrivere su una cartolina… Quindi dice: “Portala al P. Gasperini, gli servirà di conforto”.
Sulla cartolina, ha scritto:
“Il mio penare è una chiavina d’oro,
piccola sì, ma che apre un gran tesoro.
È croce, ma è croce di Gesù:
quando l’abbraccio, non la sento più.
Non ho contato i giorni del dolore:
so che Gesù li ha scritti nel suo cuore.
Vivo momento per momento e allora
il giorno passa come se fosse un’ora.
Mi han detto che guardata dal di là
la vita tutta un attimo parrà.
Passa la vita, vigilia di festa,
muore la morte, il paradiso resta.
Due stille ancora dell’amaro pianto
e di vittoria poi l’eterno canto!”
Oggi, questo testo poetico semplice e delizioso, di una sapienza grandissima, espressione di un’anima eroica, è conosciuto in tutto il mondo e nessuno può contare i sofferenti che ha consolato e incoraggiato a salire verso le vette dell’offerta che con-redime con Gesù Crocifisso.
Soffre, P. Giovanni, ma il suo cuore è ancora aperto a tutti più che mai. Il 15 maggio, già grave, manda a una bambina una poesia dolcissima: “Bimba, Gesù ti chiama”. A una sua collaboratrice nell’apostolato, chiede il dono di un paio di sandaletti per una piccola bisognosa. Chi lo vede in quei giorni, testimonia che nello strazio del corpo è sereno, affabile, in pace.
Il 1° luglio 1938, festa del Preziosissimo Sange di Gesù, P. Giovanni Bigazzi celebra la sua ultima Messa. Il 12 luglio riceve Gesù, Viatico per la vita eterna e l’Olio degli infermi. È il suo 61° compleanno. L’indomani, il 13 luglio 1938, va incontro a Dio, sereno come un santo, il santo che era santo.
Di lui, i confratelli scrivono sul ricordino funebre: “Fu un uomo di intensa vita interiore, di orazione profonda, di fine e intensissima spiritualità. Lavoratore assiduo, scrisse alcune biografie, i vangeli per le domeniche e le feste, molti articoli e poesie sacre e ispirate a domestici affetti. Nessuno si meravigliò, quando subito dopo la sua morte corse voce di varie grazie attribuite alla sua intercessione. Grazie che crescono di giorno in giorno”.
Il celeberrimo suo confratello, il Gesuita P. Pietro Tacchi Venturi, lo definì: “Uno di quei santi uomini, splendore della Chiesa, che sembrano proclamare con le opere e con tutto il loro contegno “da mihi animas, Domine, caetera tolle”, dammi le anime da salvare, o Signore, prenditi il resto”.
Autore: Paolo Risso
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