Sotto il segno del militarismo prussiano
Egon von Petersdorff nacque l'8 gennaio 1892 a Posen/Poznan in un territorio che apparteneva alla Prussia da cento anni, dal tempo della seconda spartizione della Polonia e che ritornò alla Polonia nel 1920. È il primogenito di una antica famiglia di cavalieri. Uno «Junker» dunque, erede della tradizione dell'antico Ordine Teutonico e, soprattutto, della sua secolarizzazione rappresentata dalla casta militare dello stato prussiano. La madre era di origine francese: nata Fehlan (Vélan), discendeva da una famiglia di ugonotti che aveva goduto a suo tempo della ospitalità della Prussia. Il padre, Axel, che morì con il grado di generale, lo introdusse come cosa ovvia alla carriera militare. È così che frequentò la famosa accademia di Potsdam dove ebbe come compagno di studi - fra gli altri - anche il futuro maresciallo Rommel.
La prima parte della sua vita trascorre sotto il segno di quella che chiamerà in seguito la «magia del militarismo prussiano». Ufficiale della Guardia conosce a fondo l'ambiente delle istituzioni militari e politiche - così come della Corte - della Germania guglielmina. È una esperienza che lo segnerà per la vita. Si allontanerà progressivamente da questo mondo, verso il quale porterà i giudizi più negativi. Dopo la tempesta del nazionalsocialismo - che vede in evidente continuità con il militarismo prussiano - esclamerà: «Nie wieder Potsdam! [Mai più un'altra Potsdam!]» .
Elaborerà anche tutta una tesi per spiegare la formazione della Prussia e del suo militarismo «magico». Tesi interessante soprattutto per comprendere il nostro personaggio. La conversione dei Sassoni - dice Petersdorff - è avvenuta violentemente per azione di Carlo Magno. Questo ha fatto sì che il paganesimo non fosse mai veramente e serenamente superato nell'intimo e nel profondo della coscienza di questo popolo, nel suo subconscio. A loro volta i Sassoni sono divenuti missionari del Vangelo verso oriente e hanno dato vita al Drang nach Osten, all'epopea della conquista - che fu nello stesso tempo una cristianizzazione - dei territori della Germania orientale, l'Ostelbien. Quelli che furono convertiti con la violenza finiscono fatalmente per «convertire» con la stessa violenza i popoli che incontrano sul loro cammino, popolazioni slave con le quali - d'altra parte - si mescolano. Nasce così l'etnia germanico-slava dei prussiani. Paganesimo e cristianesimo, germanismo e slavismo sono le componenti di questo intreccio. Ma la violenza con cui si produce impedisce che la fusione sia armoniosa. Rimane una insopprimibile dialettica, la tensione di un conflitto irrisolto genera un equilibrio instabile. Il paganesimo dei Sassoni era fortemente caratterizzato da una componente sciamanica . Lo sciamanismo ritorna a galla, secondo Petersdorff, nella «magia» del militarismo prussiano, con il valore - raramente compreso in tutta la sua portata - che rivestono in esso le forme complesse e spettacolari del rituale militare, come ad es. la marcia e la musica da parata.
Credo che qui si possa condividere la valutazione di Fittkau, secondo cui «Egon von Petersdorff nel suo esagerato e unilaterale giudizio sulla storia coloniale dell'oltrelba, così come nella sua indifferenziata venerazione della storia delle popolazioni a occidente della “linea celtica” e del limes oltre che dei popoli slavi, era rimasto un prigioniero polemico di quell'atteggiamento spirituale unidimensionale, da lui così appassionatamente combattuto, che aveva vissuto a Potsdam» .
Un'appassionata ricerca della verità
La guerra del 1914-18, che combatte con valore, e la sconfitta della Germania gli aprono gli occhi sulla realtà degli ideali che aveva condiviso e lo spingono sulla via di una appassionata ricerca della verità.
Incomincia con l'iscriversi alla facoltà di filosofia dell'Università di Heidelberg e partecipa con entusiasmo a tutte le esperienze di rinnovamento e di ricerca che agitano l'effervescente ambiente universitario. Spinoza, Goethe e Meister Eckhart sono gli autori che dominano i suoi interessi. Elabora anche un sistema personale: la «filosofia dell'anche così [Auch-so-philosophie]», che si risolve in un relativismo radicale. La ferrea coerenza che del suo carattere lo porta a sviluppare fino in fondo la logica del pensiero filosofico immanentista che incontra nei suoi studi universitari: la vita si riduce così all'eterno va e vieni degli io del momento [Augenblicks-Iche]. Si profila all'orizzonte una vera e propria dissoluzione dell'io. Anche il mondo accademico però lo delude profondamente. Ultimata la sua tesi su Spinoza con il neokantiano Rickert, si orienta verso altre esperienze. Nel 1923 diventa operaio in una fabbrica di anilina a Ludwigshafen, si getta a corpo morto nella politica e fa suoi, per un momento, gli ideali comunisti.
Neppure la politica rivoluzionarie riesce a saziare la sua sete di verità e di conoscenza. Comincia così un lungo viaggio attraverso lo spiritismo, l'occultismo, l'astrologia, l'alchimia, l'antroposofia, lo yoga e il buddismo, viaggio che non si fermerà che nel 1927-28 con la conversione alla Chiesa cattolica. Sente forte il fascino della figura di Rudolph Steiner e della sua antroposofia e prende contatto con un barone antroposofo che, nel suo castello, è a capo di una strana società occultista. È lì che fa conoscenza con l'ascesi, sforzo di rinuncia per ottenere un fine spirituale. Nel gruppo di ricerca che abita il castello, vi è praticata anche sotto la forma di magia sessuale: la ricerca della «pietra filosofale animale», cioè la ricostituzione dell'androgine paradisiaco ottenuta con una sapiente mescolanza degli umori maschili e femminili. Petersdorff non si sbaglia sulla natura di queste pratiche: non si tratta, almeno nelle intenzioni, della banale ricerca del piacere sessuale, ma proprio di ascesi, di una forma di alchimia «interna», di auto realizzazione spirituale. Da cui il seguente paradosso: pur rifiutando in seguito queste pratiche come immorali, riconoscerà che l'occultismo gli aveva insegnato - in certo qual modo - il valore dell'ascesi, dello sforzo continuato che si sottomette a leggi rigorose. Questo contrastava vigorosamente con il relativismo della sua filosofia, ma era controbilanciato dall'orgoglio spirituale a cui l'occultismo dava ampio sfogo .
«Per molti anni - scrive nell'autobiografia - mi aggirai in tutti i campi dell'occultismo, alla ricerca della verità, senza pregiudizi e sempre pronto a fermarmi là dove avrei potuto trovarla. Ma non la trovai» .
La ricerca continua in una casa solitaria ai piedi delle Alpi bavaresi (vicino a Benediktbeuern). È una fase eremitica molto forte e pericolosa, perché la pratica dell'ascesi lo conduce ai limiti della morte per fame. È salvato solo dall'intervento provvidenziale di due coniugi medici. Pratica lo yoga e la preghiera ritmica. Gli abitanti del luogo potevano osservare, fra lo stupito e il divertito, questo strano personaggio, ormai conosciuto come il «barone pazzo», che faceva esercizi di yoga davanti ad una statua della Madonna in una cappella solitaria. Incominciano esperienze di trance e - soprattutto - l'esperienza degli «spiriti», con l'inquietante impressione di esser sul punto di perdere il controllo di sé. «Notai subito che non avevo più a che fare solo con il mio “démone”, ma con spiriti in gran numero. Al posto del démone arrivavano ora i demòni. E io mi diedi a loro senza ritegno, perché si poteva diventare un “iniziato”, solo se si fosse stati scelti dagli spiriti e da loro spiritualmente istruiti»
Dall'occultismo alla fede
Ben presto la situazione si fa insostenibile e spinge ineluttabilmente verso una alternativa drammatica: «manicomio, pistola o dogma!» . E l'itinerario che lo conduce alle soglie del dogma passa proprio per l'occultismo: è infatti da ambienti occultisti che gli viene il suggerimento di recitare il Padre Nostro - naturalmente solo in quanto catalizzatore di una immane forza magica, quella di tutti coloro che lo hanno recitato con fede nei momenti di disperazione… Nell'occultismo, soprattutto attraverso la lettura di Jakob Böhme, incontra una quantità di simboli cristiani che lo rifamiliarizzano con un clima spirituale dimenticato. Ma l'episodio decisivo è la lettura «casuale» di santa Teresa d'Avila:
«Il giorno in cui lessi l'ultima pagina di Jakob Böhme, caddi malato. Il medico mi ordinò cibo leggero, sia corporale che spirituale. Cosa potevo leggere? I grandi mistici, che mi ero proposto come lavoro più immediato erano troppo pesanti per me. Ma c'erano lì vicino ancora gli scritti di una certa “santa Teresa” (di Avila). Forse era un diversivo interessante, gettare l'occhio una volta tanto nelle confessioni di una suora mistica. Una santa cattolica! Cattolicesimo è - pensai - “buio Medioevo”, “atavismo”, cosa sorpassata. Non avrei avuto bisogno di uno studio impegnativo; si sarebbe lasciato sbrigare senza fatica, per ricreazione» .
Invece l'impressione fu fortissima e l'esperienza sconvolgente. Cadevano diversi pregiudizi: meditazione e ascesi non sono solo affare dell'occultismo, ma cosa ovvia per la spiritualità cattolica. Sconvolgente fu la scoperta che, oltre l'ascesi naturale, ben conosciuta, si apriva un nuovo insospettato orizzonte: quello del soprannaturale, il mondo della «grazia».
«Per la grazia non avevo avuto fino a quel momento orecchie; Rudolf Steiner la respingeva espressamente. Avevo creduto che tutto nello spirituale si potesse raggiungere con il proprio agire naturale e che il Nirvana buddista fosse uno stadio finale e l' “estinzione” del proprio io e la “nube oscura” fossero già l'ultima beatitudine. Ma ora sentivo che, al di là del naturale, c'era ancora il “soprannaturale”: allora tesi l'orecchio» (159) .
Soprattutto lo colpisce la prospettiva di un «discernimento degli spiriti». Non più un semplice affidarsi a qualsiasi forza che sopravviene da un altro mondo, ma il discernimento critico. La prospettiva non è così ingenua come si era immaginato. Quello che gli era sempre apparso come una prerogativa del mondo affascinante dell'esoterismo e dell'occultismo gli si rivela ora come possesso già scontato della "ingenua" tradizione cattolica. Ma un possesso sicuro, pieno di discernimento, cioè di critica. I fenomeni del meraviglioso che lo avevano sempre tanto attirato, appaiono qui come tutt'altro che da desiderarsi, come qualcosa di accessorio, di inessenziale, anzi, addirittura di pericoloso. Altro, ben altro è quello che conta. Che radicale rovesciamento di prospettiva e che impressione indelebile sull'animo di un ricercatore sincero della tempra di questo ex ufficiale della guardia del Kaiser! Al vertice ci sono ormai le mistiche nozze dell'anima con Dio.
Il tema del discernimento lo porta ad un'altra scoperta sconvolgente e non meno decisiva: quella degli Esercizi Spirituali di sant'Ignazio di Loyola. Questa passione per il Loyola sarà più tardi motivo di stupito, incredulo scandalo per il vecchio genitore. Il generale prussiano non riuscirà a capacitarsi di come un suo figlio, depositario delle migliori tradizioni nazionali e di famiglia, potesse infeudare il suo pensiero ad uno spagnolo del cinquecento, il fondatore dei gesuiti, al punto da farne il suo modello! E certamente il percorso è lungo. Ma forse meno lungo di quanto non sospettasse il vecchio generale e neppure il suo zelantissimo figlio. Anche Iñigo era un soldato, era un nobile, era tutto presa dalla fierezza della sua stirpe... E l'episodio e la «liturgia» della conversione ricalcano quasi con naturalezza le tappe e i modi della conversione del Loyola.
La frequentazione dei mistici cattolici lo introduce sempre di più nel mondo spirituale del cattolicesimo. Dopo una forte esperienza provata durante la processione del Corpus Domini a Monaco, la sua vita di preghiera si purifica e si affina. Ormai la sua preghiera si compie davanti ad un crocifisso inviatogli da sua madre. Dopo «un grande assalto degli spiriti malvagi in una notte piena di spaventose fantasie», riceve delle grazie mistiche che ora ha imparato a ricevere nell'umiltà come «aiuto per la sua debolezza».
Legge con venerazione tutta la Sacra Scrittura che gli appare come il «coronamento degli studi mistici» . Essa gli da la definitiva certezza della verità della fede cattolica. E' ormai in grado di dare la sua piena adesione alla professione di fede tridentina.
E' interessante passare in rivista gli uomini, i sacerdoti e religiosi che hanno accolto e accompagnato la sua conversione.
Si presenta innanzitutto, verso la metà del 1927, ad un padre carmelitano in un monastero di S. Teresa, quindi al gesuita Wilhelm Klein, che aveva conosciuto come cappellano militare. Poi si rivolge a Beuron al convertito e mistico padre Willibrord Verkade O.S.B. Il padre Klein lo manda dal gesuita p. Georg von Sachsen. Costui si presenta come particolarmente adatto alla personalità di von Petersdorff: si tratta infatti niente di meno che dell'ex principe ereditario del regno di Sassonia.
Padre Georg seguirà Petersdorff dal 15 ottobre 1927, festa di santa Teresa, al 25 gennaio 1928, festa della conversione di san Paolo. La sua formazione nella dottrina cattolica avviene sulla base della dogmatica dello Scheeben. Così si separa definitivamente dal mondo dell'occultismo, soprattutto da Jakob Böhme e da ogni ambiguo misticismo. Dopo gli Esercizi di sant'Ignazio, padre Georg lo accoglie solennemente nella Chiesa cattolica.
Lo spirito di Petersdorff, così marcatamente influenzato dal protestantesimo e dall'esperienza demonologica, si innamora dei sacramenti e dei sacramentali cattolici. Ascesi, sacramenti e sacramentali saranno sempre per lui i mezzi privilegiati di lotta contro il demonio. Naturalmente il loro aspetto demonologico viene fortemente sottolineato.
In mezzo alle prove e alla tempesta nazista
Molte prove vengono a confermare e fortificare la sua scelta. Il padre lo ripudia dalla famiglia, lo disereda e rifiuterà sempre ogni offerta di riavvicinamento fino alla sua morte, anche quando il figlio si troverà, di lì a poco, in fin di vita per una malattia dovuta ancora alle sue ferite di guerra. Non mancano neppure i sospetti da parte cattolica nei confronti della sua conversione. Ritorna sempre il tipo evangelico del «fratello maggiore» della parabola del «Figliuol prodigo»…
E' stupito della mancanza di interesse e di sensibilità anche nel mondo cattolico per l'esistenza e l'azione delle forze del male che lui aveva sperimentato così dolorosamente. Così inizia a farsi strada il progetto di quella che sarà l'opera della sua vita: la monumentale «Demonologia». A partire dalla Scrittura e dalla Tradizione della Chiesa vuole raccogliere tutto il patrimonio di conoscenze sull'azione del demonio in tutti i campi e in tutte le concrete forme della vita. Con la tenacia, energia e coscienziosità prussiane, testimoniate dalle 3000 note di referenze verificate, elabora tutto questo sterminato materiale. Cerca di attenersi «a concetti chiari, che non permettano né esagerazione né sotto valutazione del ruolo dei demóni nella storia».
«Anche se questo non gli è sempre riuscito. Soprattutto nei campi ambivalenti della storia, della letteratura, della musica e dell'arte. Sebbene, o forse proprio perché qui egli si esprime nel modo più originale e suggestivo in troppe ripetizioni, il lavoro rimane sempre orientato alla verità da una profonda serietà e da una sincera volontà. Ciò che scrive non è soltanto frutto di ricerca, ma piuttosto di sofferenza ed esperienza. Al di là di tutta la documentazione letteraria l'opera è una testimonianza e confessione molto personale e grata della vittoria della grazia sui demóni in una vita avventurosa. La continuazione della “lotta a viso aperto e con le armi della verità coraggiosamente riconosciuta” contro il “padre della menzogna” e i suoi servitori» .
Il prezzo che dovette pagare non fu quello di un martirio cruento, al quale d'altronde era preparato, ma quello del doloroso sacrificio rappresentato dalle molte delusioni e umiliazioni. La più amara fu quella del rifiuto dell'ordinazione sacerdotale.
Se in tutto negli avvenimenti sottratti al potere dell'uomo bisogna di necessità leggere la volontà significata di Dio, dobbiamo accogliere come provvidenziale la laicità di Petersdorff. Chi ci ha dato la demonologia più impegnata e seria dei tempi moderni è un teologo laico. L'ex ufficiale prussiano, discendente da membri dell'ordine cavalleresco dei cavalieri teutonici, è un cavaliere che è rimasto tale anche nello scrivere, con le armi della verità, una teologia “combattente” quale non può non essere una demonologia.
Dopo un processo durato sei anni è dispensato dall'impedimento costituito da un suo precedente matrimonio, ma non ottiene il permesso di accedere agli ordini. Così, terminati gli studi, si trova nella necessità di ricominciare la sua vita da capo. Nonostante la cocente delusione rappresentata sia dalla risposta alle sue richieste che dal modo con cui è presentata, rimane però fermo nell'obbedienza alla Chiesa.
La tempesta nazista non lo ferma, essa costituisce al contrario un importante impulso per i suoi studi e i suoi interessi. Si ritira a Merano in Alto Adige, dove raccoglie un voluminoso archivio demonologico e lavora per anni nella Biblioteca Vaticana. Lì stringe amicizia con l'ex deputato austriaco e più tardi presidente del consiglio dei ministri Alcide de Gasperi, che gli presta, in qualità di bibliotecario scientifico, servizi amichevoli e gli ottiene, dopo la guerra, la nomina a cavaliere di Malta e a cameriere di cappa e spada di Sua Santità.
L'attività scientifica non gli impedisce però di dare anche il suo contributo attivo alla resistenza. Durante la guerra è impegnato nel movimento tedesco di resistenza del Sud Tirolo come «consigliere militare» e infine come «vice comandante» di un gruppo partigiano che opera in collegamento con gli alleati occidentali. Contribuisce così alla resa delle armate tedesche in Italia da parte dell'Obergruppenführer delle SS Wolff e del maresciallo Kesselring. Conosce anche un momento di gloria quando riesce a liberare un gruppo di 64 deportati tedeschi provenienti da Dachau e di 72 prigionieri di tutti i paesi occupati destinati a sicura eliminazione. Fra di essi vi erano il pastore Martin Niemöller, Kurt von Schuschnigg e il suo stesso secondo fratello Horst, colonnello in congedo, comandante dei corpi franchi nei paesi Baltici, sostenitore di Ludendorff e vecchio militante del partito nazista. Nell'ultimo anno di guerra, dopo l'uscita dal partito era stato deportato a Dachau.
Ultima amarezza è il rifiuto di assegnargli la croce al merito della repubblica. Cocente delusione per un tedesco inflessibilmente e coerentemente antinazista fin dalla prima ora.
Vive in spartana semplicità ospite di una fattoria a Kuens presso Merano. Si impegna con molte dichiarazioni e articoli per il riconoscimento giuridico e morale-teologico di un nuovo diritto di resistenza contro la minaccia totale costituita dal totalitarismo moderno e questo «come parte della lotta contro Satana». È nel dopoguerra che pubblica le sue opere principali, maturate su un fecondo terreno di esperienza e studio. Pubblica la sua grande Demonologia (1956-57) e il suo libro di memorie autobiografiche Storia di una conversione (1956). Del 1960 è la Demonologia “minore” qui pubblicata, riassunto e aggiornamento dell'opera maggiore.
Nel 1957 sposa la cinquantasettenne giurista viennese Emilie Mück e si ritira con lei in una modesta casa a Riffian presso Merano. Negli ultimi anni di vita tiene numerose conferenze in Germania, Austria, Italia e Stati Uniti, pieno di interesse per il rinnovamento religioso del dopoguerra, ma preoccupato per la mancanza di sensibilità nei confronti di quelle forze sinistre che avevano segnato così in profondità la sua vita.
Muore serenamente il 5 settembre 1963 durante una passeggiata.
La grande «Demonologia»
L'opera della vita di Petersdorff è la grande Demonologia. L'andamento è fortemente drammatico. Solo la consapevolezza demonologica infatti mantiene intatta la concezione drammatica della vita cristiana. Il che - secondo Petersdorff - non conduce ad una visione pessimistica della storia, ma piuttosto al suo contrario. La lucida consapevolezza del vero pericolo è l'unico antidoto ad un timore indifferenziato e quindi disperante. Il dramma della vita è innegabile per chiunque la viva con intensità e consapevolezza, esso diventa tragedia solo per chi non volge lo sguardo a Cristo signore della storia e vincitore del Maligno.
Non è certamente un caso che la sua prima pubblicazione riguardi la liturgia. E' uno studio condotto con acribia sulle fonti liturgiche per evidenziare i luoghi demonologici e il dramma a forti ma gioiose tinte che ne emerge. Lo stesso impianto drammatico è quello della sua teologia. La prima parte della Demonologia è intitolato «Demòni nel piano della creazione», la seconda «Demòni all'opera». Per Petersdorff il piano non fa che sviluppare i due «unici dogmi della demonologia»: quello dell'esistenza degli angeli cattivi e quello della loro attività . A quest'ultimo punto viene data un'importanza inusitata e bisogna riconoscere che studi recenti hanno confermato la particolare importanza demonologica del sacramento della penitenza . Nella prima sezione, oltre ovviamente ai due dogmi definiti, hanno un ruolo fondamentale anche due opinioni teologiche. La prima è relativa alla dottrina sul peccato degli angeli, in cui Petersdorff segue decisamente l'opinione di Suarez, nella forma però in cui la riprende Scheeben, cioè «combinando» la tesi di san Tommaso, per cui il peccato di Satana è consistito nel voler conseguire con le forze della natura il fine che gli veniva proposto per grazia, con l'opinione che Suarez raccoglie da un'ampia tradizione patristica di una prova positiva consistente nel riconoscimento e nell'accettazione dell'Incarnazione del Verbo . L'altra è quella della creazione dell'uomo come conseguenza della caduta degli angeli. Gli uomini avrebbero come fine di sostituire i «seggi» lasciati vuoti nei cori celesti dagli angeli caduti. Anche questa opinione ha un forte sostegno nei padri e nella tradizione teologica (sant'Agostino e san Tommaso d'Aquino) e Petersdorff vi annette una grande importanza architettonica. Essa gli offre lo spunto per tessere tutta una teologia della vocazione umana, del suo cammino fra ispirazioni e tentazioni verso la realizzazione di un compito personale nel piano di Dio. Ma la parte certamente più interessante è quella dedicata all'azione dei demòni. Qui viene dispiegato un quadro particolarmente ambizioso che ha prestato il fianco alle critiche più forti. Sostanzialmente una: quella di esagerare il ruolo del demonio. Esso vien visto come «maestro di errori», «nemico della Chiesa», «nemico dell'uomo», «falso profeta», «mago», «falso mistico», «guida delle streghe», «spiritista», operante nella storia a livello politico sociale, nella letteratura, nel regno della musica, nell'arte figurativa, ricoprente un ruolo decisivo negli ultimi tempi. Certamente l'impressione è di onnipervadenza. Ma le precauzioni metodologiche non mancano. In un capitolo preliminare sul discernimento degli spiriti, Petersdorff sottolinea che esso non fornisce mai certezze assolute. Il quadro da lui tracciato è consapevolmente ipotetico, ma non per questo meno teologicamente fondato. Se il punto di partenza di questa faccia oscura della storia della salvezza è il rifiuto dell'incarnazione, tutto il suo dispiegarsi dovrà per forza seguire questa stessa incarnazione nella logica che le è propria, cioè quella di una presenza trasformante in tutti gli ambiti della realtà, umana e cosmica con quella particolare relazione del materiale allo spirituale che è il costitutivo della sacramentalità. Si può certamente discutere sui singoli punti, ma non si può mettere in discussione la coerenza teologica dell'impianto. Se si riconosce la realtà personale dei demòni, il loro ruolo non può essere altro che quello di contrastare l'azione redentrice in tutti gli ambiti in cui si dispiega.
La comparsa della Demonologia, che non è stata elaborata in un clima teologicamente favorevole, coincide con un momento di risveglio degli studi demonologici. Nel 1948 esce un numero monografico della rivista Études Carmélitaines interamente dedicato a Satana . Un testo che costituisce ancora oggi punto di riferimento obbligato per chi voglia accostarsi all'argomento. Michael Schmaus, un protagonista indiscusso della teologia contemporanea pubblica nel 1955 un volume dedicato a Angeli e Demoni, come estratto della sua Dogmatica. Il consiglio e l'impulso di Schmaus saranno decisivi per la pubblicazione della Demonologia di Petersdorff che seguirà immediatamente nel 1956-57 a Monaco. Del 1956 è anche un libro francese, di carattere piuttosto divulgativo, che avrà una certa diffusione: N. Corté, Satana, l'avversario . Del 1958 à Principati e potestà di un grande esegeta protestante convertitosi al cattolicesimo: Heinrich Schlier . Anche in Schlier, come in Petersdorff l'interesse è sicuramente in vivo rapporto con l'esperienza nazista . Seguiranno a breve distanza gli studi di Winklhofer, Balducci, Rodewyk . Il periodo postconciliare rappresenta una battuta d'arresto. Mentre in campo teologico serpeggia ormai il dubbio sull'esistenza stessa di Satana come essere personale , paradossalmente, ma non troppo, il «satanismo» e il «demoniaco» tornano alla ribalta delle cronache e al centro dell'interesse degli studiosi . La grande stagione demonologica del dopoguerra continua perciò ad essere indispensabile punto di appoggio e di partenza per chi voglia affrontare teologicamente un problema tutt'altro che astratto. E di quella stagione Petersdorff è indubbiamente protagonista.
Autore: Don Pietro Cantoni
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