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Vladimir Sergeevic Solovev Laico

Festa: Testimoni

Mosca, 16 gennaio 1853 – Uzkoe, 31 luglio 1900


1. Un pensatore e un profeta da riscoprire
La cultura filosofica occidentale non ha prestato finora molta attenzione a Vladimir Sergeevic Solovëv. Eppure Von Balthasar - cui nessuno vorrà disconoscere l'ampiezza dell'informazione e la perspicacia del giudizio - non teme di indicare il pensiero soloveviano come «la più universale creazione speculativa dell'epoca moderna» (Gloria III, 266).
Solovëv è in realtà un autore di grande vigore e di indubbia originalità, che conosce e mette a frutto praticamente tutta la letteratura filosofica degli ultimi secoli. Ma fede cristiana e razionalità sono in lui ugualmente limpide e vive; anzi si illuminano e si alimentano reciprocamente: tanto basta a spiegarci perché al suo pensiero non sia riuscito di superare le censure del dogmatismo laicistico dominante.
Chi però lo avvicina senza pregiudizi, ne rimane di solito affascinato. È sperabile perciò che il suo benefico influsso possa crescere, ora che anche in Russia può irradiarsi liberamente.
Non intendo qui proporre neppure la più schematica introduzione alla riflessione soloveviana. Vorrei invece limitarmi a raccogliere da lui un ammonimento profetico, che mi pare di qualche rilevanza per la cristianità dei nostri giorni; un ammonimento che è espresso nell'ultima opera che egli ci ha lasciato: I tre dialoghi sulla guerra, il progresso, la fine della storia universale, e il racconto dell'Anticristo; un ammonimento che potrebbe appunto essere espresso con queste parole: Attenti all'Anticristo !

2. Il tema dell'Anticristo nella tradizione cristiana
Il discorso sull'Anticristo appartiene al patrimonio della Rivelazione e tutte le generazioni cristiane ne hanno sentito il fascino conturbante.
Già il Signore Gesù aveva preannunziato: «Sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli» ( Mt 24,24). San Paolo parla dell'«uomo iniquo», del « figlio della perdizione», di « colui che si contrappone», che dovrà manifestarsi alla fine (cfr. 2 Ts 2,3.4). L'appellativo di «anticristo», che poi entrerà in tutta la tradizione, è usato solo da san Giovanni nella sua prima lettera: «Come avete udito, deve venire l'anticristo; di fatto ora molti anticristi sono apparsi» (1 Gv 2, 18).
Si vede da questi testi che dall'origine si sviluppa una interpretazione, per così dire, pluralistica: si tratta di molti oppositori al disegno salvifico del Padre, che nelle varie epoche si presentano camuffati da annunciatori del Vangelo e da portatori della salvezza.
Nella coscienza religiosa russa il tema dell'Anticristo ebbe sempre un rilievo notevole, almeno a partire dall'epoca del «raskol», cioè dello scisma del secolo XVII. Per il campo specificamente letterario basterà ricordare che la celebre trilogia di Merežkovskij, Cristo e l'Anticristo, è praticamente contemporanea allo scritto soleveviano che qui ci interessa.
Solovëv affronta esplicitamente l'argomento dell'Anticristo solo negli ultimi mesi di vita. Ma esso è sempre stato ben vivo in lui, addirittura a partire dall'età infantile. Si riferisce press'a poco al settimo anno di sua vita quanto egli rivela nell'autobiografia: «L'esaltazione religiosa mi spingeva a diventare monaco; e, in vista della possibile imminente venuta dell'Anticristo, desiderando il martirio per la fede, cominciai a infliggermi dei tormenti» .
Da che cosa è connotata la figura dell'Anticristo nel comune sentimento ecclesiale? Ci sono alcuni elementi propri e determinanti.
- È sostanzialmente e radicalmente un personaggio al servizio del male: il suo scopo è portare l'umanità alla perdizione; il suo mezzo è l'inganno. Poiché l'unico Salvatore del mondo è Gesù Cristo, il Figlio di Dio crocifisso e risorto, primariamente contro la persona di Cristo sarà rivolta la sua azione malefica (cfr. 1 Gv 4,3).
- L'Anticristo esternamente appare come arruolato al servizio del bene e della nostra salvezza. E dal momento che la salvezza nel piano di Dio è contenuta nel Vangelo, egli si ammanta di cristianesimo, propugna «valori» che possono essere intesi come evangelici, usa un linguaggio abbastanza conforme a quello di Gesù, «così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti» ( Mt 24,24). San Paolo parla di «falsi apostoli» che «si mascherano da apostoli di Cristo» (2 Cor 11,13); e aggiunge: «Ciò non fa meraviglia, perché anche satana si maschera da angelo di luce» (2 Cor 11,14).
- Per riconoscere l'Anticristo nella sua vera natura, l'elemento decisivo è il suo rapporto con la persona dell'Uomo-Dio crocifisso e risorto. Su tutti gli argomenti egli può parlare quasi come un autentico discepolo del Signore, anzi come il Signore stesso di cui assumerà le sembianze e il linguaggio; ma a proposito dell'evento salvifico dell'incarnazione e della redenzione non gli è consentito di assimilarsi. Si sa che il cristianesimo non è primariamente un sistema di idee, è un fatto: può dirsi cristiano senza ambiguità non chi condivide in qualche misura e per qualche aspetto la dottrina evangelica, ma chi accoglie il fatto cristiano. Finché si discorre di concetti e di «valori», l'astuzia demoniaca può sempre avere buon gioco, ma davanti all'avvenimento non ci si può travestire.

3. La personalità di Solovëv
A evitare possibili malintesi, credo utile premettere all'esposizione del pensiero Solovëviano circa l'Anticristo il richiamo di alcuni tratti della stessa concreta personalità del filosofo.
Solovëv è stato un uomo che ha lavorato tutta la vita, a prezzo di molte incomprensioni e sofferenze, al servizio della unificazione del genere umano e della pace tra i popoli. Pur conservando sempre un grande amore per la sua terra e pur avendo una concezione altissima della missione storica del popolo russo, ha lottato decisamente contro le prevaricazioni del nazionalismo e contro ogni forma di rifiuto degli «altri». È tipica a questo proposito la posizione non conformistica da lui tenuta nella questione polacca e nella questione ebraica. Per la gente di Israele, che già ai suoi tempi raccoglieva una vastissima antipatia in Russia e fuori di Russia, ha elevato la sua ultima preghiera, pochi istanti prima di morire.
Ha affrontato con grande impegno speculativo i problemi sociali generali e ha propugnato prospettive audacissime di giustizia e di solidarietà. Al tempo stesso ha costantemente nutrito un grande amore per il «prossimo» nel senso evangelico del termine, cioè per l'uomo in carne e ossa che ci ritroviamo accanto nella vicenda della vita. La sua generosità coi poveri era proverbiale: arrivava perfino a cedere, durante il rigido inverno russo, scarpe e cappotto ai mendicanti che incontrava per la strada.
Lungo tutto l'arco dell'esistenza si è adoprato per l'unità delle Chiese cristiane, tanto che il moderno ecumenismo deve riconoscere in lui uno dei suoi più determinanti ispiratori.
Era di grande mitezza, del tutto alieno da ogni violenza. La sua critica alla pena di morte, e in genere a ogni sistema penale che non si proponga con la difesa della società anche la rinascita interiore del delinquente, è acuta e stringente. Dopo l'uccisione dello zar Alessandro II, egli pubblicamente indica al figlio -il nuovo zar -il dovere cristiano del perdono, sollevando l'indignazione dell'opinione pubblica e guadagnandosi la perdita della cattedra.
I bambini e gli animali erano misteriosamente attratti da lui: gli uccelli parevano addirittura aver ritrovato un redivivo Francesco d'Assisi.
Si nutriva quasi esclusivamente di legumi e di tè. Nella discussione della sua tesi di dottorato del 1880 ammette che sia lecito cibarsi anche di carne, o almeno che la questione è discutibile, ma ribadisce che non è affatto eticamente consentito all'uomo infliggere sofferenze agli animali .
Aveva un grande amore per la natura, e si rattristava nel vederla a poco a poco perire sotto i colpi dell'egoismo imprevidente e del potere distruttivo del moderno tecnicismo .
La pubblicazione di alcuni versi appassionati per «Saimaa» gli valse la diceria di una sua tardiva infatuazione per qualche fanciulla finlandese; ed egli fu costretto a chiarire che Saimaa era un lago di cui - come spesso gli capitava con le bellezze naturali - si era perdutamente innamorato . Tener presenti queste sparse note della sua biografia sarà utile a valutare al meglio e senza equivoci fastidiosi la sua raffigurazione dell'Anticristo.

4. Le ultime persuasioni di Solovëv
Quando comincia a scrivere i Tre dialoghi , Solovëv ha già perso la speranza di veder realizzati i grandiosi progetti per i quali aveva tanto faticato e patito: la libera teocrazia, la riconciliazione delle Chiese, l'instaurazione in terra del Regno di Dio; ideale, quest'ultimo, che egli aveva condiviso con il suo amico Dostoevskij, come egli stesso afferma nel primo dei tre discorsi commemorativi: «Egli [Dostoevskij] credeva non soltanto al passato Regno di Dio, ma anche a quello futuro, e comprendeva la necessità del lavoro e del sacrificio eroico per il suo avveramento» .
A quarantasei anni - quando stende queste pagine - è fisicamente stremato e spiritualmente deluso. Ma scoraggiamento non significa affatto perdita della fede. Anzi: nella pena la sua fede si è piuttosto affinata ed essenzializzata, e il suo carisma profetico sembra essersi fatto più penetrante, almeno a giudicare da alcune sue previsioni.
Puntando lo sguardo sull'incipiente secolo XX, Solovëv lo preannunzia come «l'epoca delle ultime grandi guerre, delle discordie intestine e delle rivoluzioni» .
Poche settimane prima di morire confida a un amico: «Sento che si avvicinano tempi in cui i cristiani dovranno radunarsi per la preghiera nelle catacombe. La fede sarà perseguitata dappertutto, forse meno brutalmente che ai giorni di Nerone, ma più sottilmente e crudelmente: per mezzo della menzogna, dell'inganno, della falsificazione» .
Nella prefazione ai Tre dialoghi (datata alla domenica di Pasqua del 1900) egli coglie con perfetta lucidità - contro il naturalismo tolstojano che non conosce ne demòni ne redentori - che il problema vitale per l'uomo è quello di prendere sul serio il potere del male e di credere nella necessità di un intervento salvifico trascendente: «È forse il male soltanto un difetto di natura, un'imperfezione che scompare da se con lo sviluppo del bene, oppure una forza effettiva che domina il mondo per mezzo delle sue lusinghe, sicché per una lotta vittoriosa contro di esso occorre avere un punto d'appoggio in un altro ordine di esistenza?» . Questo è l'interrogativo semplice e drammatico che è posto in apertura del libro; e questa è ancora oggi una delle questioni che più radicalmente turbano e dividono la famiglia umana.
Le persuasioni circa la fine della storia, che presiedono alla stesura di queste sue ultime pagine, sono esposte con chiarezza già in una lettera scritta nel 1896 al suo amico Eugenio Tavernier. Si riassumono in tre affermazioni, che sgombrano il campo da ogni illusorio ottimismo nel quale egli stesso si era precedentemente cullato.
- «Il vangelo sarà predicato in tutta la terra; vale a dire, la verità sarà proposta a tutto il genere umano, o a tutte le nazioni». (Cfr. Mt 24,14: «Questo Vangelo del Regno sarà annunziato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; e allora verrà la fine»).
- «Il Figlio dell'uomo troverà soltanto poca fede sulla terra; vale a dire: i veri credenti formeranno una minoranza insignificante, mentre la maggior parte dell'umanità seguirà l'Anticristo ». (Cfr. Lc 18,8: « Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra? »; Mt 24,13: «Per il dilagare dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà. Ma chi persevererà fino alla fine, sarà salvato»; 2 Ts 2,1: «Prima dovrà venire l'apostasia»; 2 Tm 4,3: «Verrà giorno in cui non si sopporterà più la sana dottrina,... Gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole»). Perciò, nota a questo punto Solovëv, «bisogna abbandonare l'idea della potenza e della grandezza esteriore della teocrazia come scopo diretto e immediato della politica cristiana».
- «Tuttavia, dopo una lotta breve e accanita, il partito del male sarà vinto e la minoranza dei veri credenti trionferà completamente». (Cfr. Mt 24,31: «Manderà i suoi angeli... e raduneranno tutti i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all'altro dei cieli»).
Ma - aggiunge Solovëv - «La certezza del trionfo definitivo per la minoranza dei credenti non deve condurci a un'attitudine passiva. Questo trionfo non può essere un atto puro e semplice, un atto assoluto dell'onnipotenza di Cristo, perché se così fosse tutta la storia del cristianesimo sarebbe superflua. È evidente che Gesù Cristo, per trionfare giustamente e ragionevolmente dell'Anticristo, ha bisogno della nostra collaborazione...» .
Queste idee, comunicate a Tavernier nel 1896, sono le stesse che, in forma di dramma, saranno sceneggiate quattro anni dopo ne Il racconto dell'Anticristo.

5. L'Anticristo

Siamo così arrivati al centro del nostro argomento.
Solovëv prevede che, dopo le grandi guerre del secolo XX, i popoli, persuasi dei gravi danni derivati dalle loro rivalità, daranno origine agli Stati Uniti d'Europa. «Ma... i problemi della vita e della morte, del destino finale del mondo e dell'uomo, resi più complicati e intricati da una valanga di ricerche e di scoperte nuove nel campo fisiologico e psicologico, rimangono come per l'addietro senza soluzione. Viene in luce soltanto un unico risultato importante, ma di carattere negativo: il completo fallimento del materialismo teoretico» .
Non è a dire però che ciò comporti l'estendersi e l'irrobustirsi della fede. Al contrario, l'incredulità sarà dilagante. Sicché, alla fine si profila per la civiltà europea una situazione che potremmo definire di vuoto. In questo vuoto appunto emerge e si afferma la presenza e l'azione dell'Anticristo.
Più che la vicenda immaginata da Solovëv - nella quale l'Anticristo prima viene eletto Presidente degli Stati Uniti d'Europa, poi è acclamato imperatore romano, si impadronisce del mondo intero, e alla fine si impone anche alla vita e all'organizzazione delle Chiese - mette conto di richiamare le caratteristiche che sono qui attribuite a questo personaggio.
Era - dice Solovëv - «un convinto spiritualista». Credeva nel bene e perfino in Dio, «ma non amava che se stesso». Era un asceta, uno studioso, un filantropo. Dava « altissime dimostrazioni di moderazione, di disinteresse e di attiva beneficenza» .
Nella sua prima giovinezza si era segnalato come dotto e acuto esegeta: una sua voluminosa opera di critica biblica gli aveva propiziato una laurea ad honorem da parte dell'università di Tubinga.
Ma il libro che gli ha procurato fama e consenso universali porta il titolo: La via aperta verso la pace e la prosperità universale ; dove « si uniscono il nobile rispetto per le tradizioni e i simboli antichi con un vasto e audace radicalismo di esigenze e direttive sociali e politiche, una sconfinata libertà di pensiero con la più profonda comprensione di tutto ciò che è mistico, l'assoluto individualismo con un'ardente dedizione al bene comune, il più elevato idealismo in fatto di princìpi direttivi con la precisione completa e la vitalità delle soluzioni pratiche» .
È vero che alcuni uomini di fede si domandavano perché non vi fosse nominato nemmeno una volta il nome di Cristo; ma altri ribattevano: «Dal momento che il contenuto del libro è permeato dal vero spirito cristiano, dall'amore attivo e dalla benevolenza universale, che volete di più?» .
D'altronde egli «non aveva per Cristo un'ostilità di principio» . Anzi ne apprezzava la retta intenzione e l'altissimo insegnamento.
Tre cose di Gesù, però, gli riuscivano inaccettabili.
Prima di tutto le sue preoccupazioni morali. «Il Cristo - affermava - col suo moralismo ha diviso gli uomini secondo il bene e il male, mentre io li unirò coi benefici che sono ugualmente necessari ai buoni e ai cattivi» . Poi non gli andava «la sua assoluta unicità» .
Egli è uno dei tanti; o meglio - si diceva - è stato il mio precursore, perché il salvatore perfetto e definitivo sono io, che ho purificato il suo messaggio da ciò che è inaccettabile all'uomo di oggi. Soprattutto non poteva sopportare il fatto che Cristo sia vivo, tanto che istericamente si ripeteva: «Lui non è tra i vivi e non lo sarà mai. Non è risorto, non è risorto, non è risorto! È marcito, è marcito nel sepolcro...» .

6. Pacifismo, ecologismo, ecumenismo dell'Anticristo
Ma dove l'esposizione di Solovëv si dimostra particolarmente originale e sorprendente, tanto da meritare la più approfondita riflessione, è nell'attribuzione all'Anticristo delle qualifiche di pacifista, di ecologista, di ecumenista.
- Già s'è visto che la pace e la prosperità sono gli argomenti del capolavoro letterario del nostro eroe. Ma sono idee che egli riuscirà anche ad attuare. Nel secondo anno di regno, come imperatore romano e universale, potrà emettere il proclama: «Popoli della terra! Io vi ho promesso la pace e io ve l'ho data» . E proprio a questo proposito matura in lui la coscienza della sua superiorità sul Figlio di Dio: «Il Cristo ha portato la spada, io porterò la pace».
A ben capire il pensiero di Solovëv su questo punto gioverà citare quanto egli dice nel terzo dialogo per bocca del Signor Z., l'interlocutore che lo rappresenta: «Cristo è venuto a portare sulla terra la verità, ed essa, come il bene, innanzi tutto divide». «C'è dunque la pace buona, la pace cristiana, basata su quella divisione che Cristo è venuto a portare sulla terra, precisamente con la separazione tra il bene e il male, tra la verità e la menzogna; e c'è la pace cattiva, la pace del mondo, fondata sulla mescolanza o unione esteriore di ciò che interiormente è in guerra con se stesso» . Quanto al pensiero di Solovëv sulla guerra nel senso più comune e ovvio del termine, ricordiamo che il primo dei tre dialoghi è tutto dedicato alla critica del pacifismo tolstojano e della dottrina della non-violenza. La guerra - vi si afferma - è certamente un male, ma bisogna riconoscere che sia nella vita dei singoli sia in quella delle nazioni si danno situazioni in cui alla violenza malvagia non basta rispondere con gli ammonimenti e le buone parole. Possiamo dire che, secondo Solovëv, mentre gli ideali di pace e di fraternità sono valori cristiani indiscutibili e vincolanti, tali non possono essere ritenuti il pacifismo e la teoria della non-violenza che finiscono col risolversi troppo spesso in una resa sociale alla prevaricazione e in un abbandono senza difesa dei piccoli e dei deboli alla merce degli iniqui e dei prepotenti.
- L'Anticristo sarà un ecologista o almeno un animalista. Sono termini moderni che ovviamente Solovëv non usa; ma la sua descrizione è abbastanza chiara: «li nuovo padrone della terra era anzitutto un filantropo, pieno di compassione, non solo amico degli uomini ma anche amico degli animali. Personalmente era vegetariano, proibì la vivisezione e sottopose i mattatoi a una severa sorveglianza; le società protettrici degli animali furono da lui incoraggiate in tutti i modi» .
- L'Anticristo infine si dimostrerà un eccellente ecumenista, capace di dialogare «con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza» . Convocherà i rappresentanti di tutte le confessioni cristiane a «un concilio ecumenico da tenere sotto la sua presidenza» .
La sua azione mirerà a cercare il consenso di tutti attraverso la concessione dei favori concretamente più apprezzati.
«Se non siete capaci di mettervi d'accordo tra voi - dirà ai convenuti dell'assise ecumenica - spero di mettere d'accordo io tutte le parti, dimostrando a tutti il medesimo amore e la medesima sollecitudine per soddisfare la vera aspirazione di ciascuno» . Attuerà praticamente questo disegno, ridonando ai cattolici il potere temporale del papa, erigendo per gli ortodossi un istituto per la raccolta e la custodia di tutti i preziosi cimeli liturgici della tradizione orientale, creando a vantaggio dei protestanti un centro di libera ricerca biblica lautamente finanziato.
È un ecumenismo «quantitativo», che gli riuscirà quasi perfettamente: le masse dei cristiani entreranno nel suo gioco. Soltanto un gruppetto di cattolici con a capo il papa Pietro II, un esiguo numero di ortodossi guidati dallo staretz Giovanni e alcuni protestanti che si esprimono per bocca del professor Pauli resisteranno al fascino dell'Anticristo.
Costoro arriveranno ad attuare l'ecumenismo della verità, radunandosi in un'unica Chiesa e riconoscendo il primato di Pietro. Ma sarà un ecumenismo «escatologico», realizzato quando ormai la storia è pervenuta alla sua conclusione: «Così - racconta Solovëv - si compì l'unione delle Chiese nel cuore di una notte oscura su un'altura solitaria. Ma l'oscurità della notte venne a un tratto squarciata da un vivido splendore e in cielo apparve un grande segno: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle» .

7. L'allusione al tolstojsmo
In questa descrizione dell'Anticristo, così ricca di particolari suggestivi e inattesi, Solovëv ha avuto presente qualche modello concreto? È innegabile che in queste pagine si alluda soprattutto al «nuovo cristianesimo» di cui in quegli anni si taceva efficace banditore Lev Tolstoj.
Tra il filosofo e il romanziere ci sono stati incontri, scambi di lettere, qualche reciproco positivo apprezzamento. Ma in definitiva l'incomprensione tra i due grandi uomini e l'incompatibilità tra le loro rispettive posizioni sono state nette e sostanziali. Il che è tanto più significativo, se si pensa che su molte questioni specifiche (come la pena di morte, l'aspirazione alla pace universale, la lotta al gretto nazionalismo, il vivo sentimento della natura) le loro prospettive appaiono largamente coincidenti.
In una lettera del 1894, che costituisce forse il massimo tentativo di riavvicinamento Solovëv scriveva al suo antagonista: «Le ragioni del nostro contendere possono essere tutte condensate in un punto concreto: la risurrezione di Cristo» . Ma questo è in realtà il cuore non solo del cristianesimo, ma di ogni totale visione del mondo, almeno nella prospettiva soloveviana.
Nel suo «Vangelo» Tolstoj riduce tutto il cristianesimo alle cinque regole di comportamento, che egli desume dal Discorso della montagna:
1 . Non solo non devi uccidere, ma non devi neanche adirarti contro il tuo fratello.
2 . Non devi cedere alla sensualità, al punto che non devi desiderare neanche la tua propria moglie.
3 . Non devi mai vincolarti con giuramento.
4 . Non devi resistere al male, ma devi applicare fino in fondo e in ogni caso il principio della non-violenza.
5 . Ama, aiuta, servi il tuo nemico.
Questi precetti, secondo Tolstoj, vengono bensì da Cristo, ma per essere validi non hanno affatto bisogno dell'esistenza attuale del Figlio del Dio vivente. Perciò nel «Vangelo» di Tolstoj Cristo è a ben guardare superfluo, e anzi non c'è posto ne per l'Uomo-Dio ne per il Risorto dai morti .
La celebre risposta dello staretz Giovanni all'Anticristo, nel racconto soloveviano, è anche risposta a Tolstoj e confutazione diretta della sua predicazione: «Quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da lui, giacche noi sappiamo che in lui dimora corporalmente la pienezza della Divinità» . Tutti i «valori» - ivi compreso quello di una moralità elevatissima e raffinata come quella tolstojana - non hanno per noi senso alcuno, se ci sono dati avulsi dall'unica vera ricchezza che è la persona adorabile del Salvatore e l'avvenimento della nostra redenzione.
Certo Solovëv non identifica materialmente il grande romanziere con la figura «storica» dell'Anticristo, se non altro perché il Padrone del mondo è delineato come un uomo di molto senso pratico e di scarse preoccupazioni moralistiche. Ma ha intuito con straordinaria chiaroveggenza che proprio il tolstojsmo sarebbe diventato lungo il secolo XX il veicolo dello svuotamento sostanziale del messaggio evangelico, sotto la formale esaltazione di un'etica e di un amore per l'umanità che si presentano come «valori» cristiani.
In effetti, il dramma di molti giovani generosi dei nostri tempi, affascinati per esempio dall'idea della non-violenza e dell'antimilitarismo, è appunto che sono convinti in buona fede di essersi posti alla scuola di Cristo, in modo anche più autentico e coerente di quello tradizionale, mentre sono discepoli inconsapevoli di uno scrittore eccelso, nobile, ben intenzionato, ma radicalmente pagano.

8. L'ammonimento profetico di Solovëv
Qual è allora l'«ammonimento profetico» di cui parlavamo all'inizio?
Verranno giorni, ci dice Solovëv - e anzi sono già venuti, diciamo noi - quando nella cristianità si tenderà a risolvere il fatto salvifico, che non può essere accolto se non nell'atto difficile, coraggioso e razionale della fede, in una serie di «valori» facilmente esitabili sui mercati mondani.
Il cristianesimo ridotto a pura azione umanitaria nei vari campi dell'assistenza, della solidarietà, del filantropismo, della cultura; il messaggio evangelico identificato nell'impegno al dialogo tra i popoli e le religioni, nella ricerca del benessere e del progresso, nell'esortazione a rispettare la natura; la Chiesa del Dio vivente, colonna e fondamento della verità (cfr. 1 Tm 3,15), scambiata per un'organizzazione benefica, estetica, socializzatrice: questa è l'insidia mortale che oggi va profilandosi per la famiglia dei redenti dal sangue di Cristo.
Da questo pericolo, ci avvisa il più grande dei filosofi russi, noi dobbiamo guardarci. Anche se un cristianesimo «tolstojano» ci renderebbe infinitamente più accettabili nei salotti, nelle aggregazioni sociali e politiche, nelle trasmissioni televisive, non possiamo e non dobbiamo rinunciare al cristianesimo di Gesù Cristo, il cristianesimo che ha al suo centro lo «scandalo» della croce e la realtà sconvolgente della risurrezione del Signore.
Gesù Cristo, il Figlio di Dio crocifisso e risorto, unico Salvatore dell'uomo, non è «traducibile» in una serie di buoni progetti e di buone ispirazioni, omologabili con la mentalità mondana dominante. Gesù Cristo è una «pietra», come egli ha detto di sè: su questa «pietra», o affidandosi, si costruisce o ci si va a inzuccare: «Chi cadrà su questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà» ( Mt 21,44).

9. « Avvenimento » e « valori »
È indubitabile che il cristianesimo sia prima di ogni altra cosa «avvenimento»; ma è altrettanto indubitabile che questo avvenimento propone e sostiene dei «valori» irrinunciabili. Non si può, per amore di dialogo, sciogliere il fatto cristiano in una serie di valori condivisibili dai più; ma non si può neppure disistimare i valori autentici, quasi fossero qualcosa di trascurabile. Occorre dunque un discernimento.
- Ci sono dei valori assoluti (o, come dicono i filosofi, trascendentali): tali sono, ad esempio, il vero, il bene, il bello. Chi li percepisce e li onora e li ama, percepisce, onora, ama Gesù Cristo, anche se non lo sa e magari si crede anche ateo, perché nell'essere profondo delle cose Cristo è la verità, la giustizia, la bellezza.
-Ci sono valori relativi (o categoriali), come il culto della solidarietà, l'amore per la pace, il rispetto per la natura l'atteggiamento di dialogo ecc. Questi meritano un giudizio più articolato, che preservi la riflessione da ogni ambiguità. Solidarietà, pace, natura, dialogo possono diventare nel non cristiano le occasioni concrete di un approccio iniziale e informale a Cristo e al suo mistero. Ma se nella sua attenzione essi si assolutizzano fino a svellersi del tutto dalla loro oggettiva radice o, peggio, fino a contrapporsi all'annuncio del fatto salvifico, allora diventano istigazioni all'idolatria e ostacoli sulla strada della salvezza.
Allo stesso modo, nel cristiano, questi stessi valori - solidarietà, pace, natura, dialogo - possono offrire preziosi impulsi all'inveramento di una totale e appassionata adesione a Gesù, Signore dell'universo e della storia; è, per esempio, il caso di san Francesco d'Assisi. Ma se il cristiano, per amore di apertura al mondo e di buon vicinato con tutti, quasi senza avvedersene stempera sostanzialmente il fatto salvifico nella esaltazione e nel conseguimento di questi traguardi secondari , allora egli si preclude la connessione personale col Figlio di Dio crocifisso e risorto, consuma a poco a poco il peccato di apostasia, si ritrova alla fine dalla parte dell'Anticristo .

10. « Isba mia, buco mio, salvatemi! »
Nella prefazione ai Tre dialoghi Solovëv racconta che, ai suoi tempi, in qualche governatorato della Russia aveva cominciato a diffondersi una nuova religione, che aveva estremamente semplificato la sua attività di culto. I suoi adepti «dopo aver praticato in qualche angolo buio nella parete dell'isba un buco di media grandezza... applicavano ad esso le labbra e ripetevano molte volte con insistenza: isba mia, buco mio, salvatemi!» .
In questa incredibile aberrazione - nota Solovëv - c'era almeno il pregio di un uso corretto dei termini: «l'isba la chiamavano isba e il buco... lo chiamavano buco».
Nel nostro mondo c'è invece di peggio, continua implacabilmente il filosofo. «L'uomo ha perduto l'antica schiettezza. La sua isba ha ricevuto la denominazione di "regno di Dio in terra"; quanto al buco, si è cominciato a chiamarlo "nuovo evangelo"». [Qui la polemica con Tolstoj è scoperta e addirittura feroce ].
Ma il cristianesimo senza Cristo e senza la buona notizia di una reale e personale risurrezione «è poi la stessa cosa di uno spazio vuoto, come un semplice buco, praticato in una isba di contadini» .
Ebbene, a me pare che anche e soprattutto oggi siamo alle prese con la cultura della pura e semplice «apertura», della libertà senza contenuti, del niente esistenziale. Questa è la più grande tragedia del nostro tempo. Ma la tragedia diventa ancora più grande quando a questo «niente», a queste «aperture», a questi «buchi» si attribuisce per amore di dialogo qualche ingannevole etichetta cristiana.
Fuori di Cristo - persona concreta, realtà viva, avvenimento - c'è solo il «vuoto» dell'uomo e la sua disperazione. In Cristo, che è il «plèroma» del Padre, l'uomo trova la sua pienezza e la sua sola speranza.


Autore:
Card. Giacomo Biffi

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Aggiunto/modificato il 2010-01-24

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