Ignazio Caroccio (1647-1716) appartenne – come lo zio omonimo, che ugualmente svolse nella Chiesa Torinese un ruolo importante – alla illustre famiglia dei Conti di Villarfocchiardo.
Ignazio conseguì la laurea in utroque jure e per due volte, succedendo allo zio, fu capitolare della Metropolitana di Torino, nel 1689 e nel 1713. Attento fino allo scrupolo, per venticinque anni non si assentò dall’ufficio neanche quando era malato, destando unanime ammirazione. Fu sempre rigoroso nel valutare le qualità di quanti dovevano essere ammessi al Capitolo.
«Umile, zelantissimo, di sconfinata carità, compagno all’amico beato Sebastiano Valfré in tutte le opere di bene» , ebbe verso i poveri una carità “senza limiti”, ma discreta. Fece costruire l’ospedale di Carignano e contribuì al funzionamento dell’Ospedale Maggiore di San Giovanni di Torino, di cui fu per molti anni amministratore migliorandone il regolamento a vantaggio degli infermi. Come il Valfrè, la sera visitava e confortava i malati, elargendo elemosine.
La Chiesa torinese si giovò della sua esperienza nelle controversie tra la Corte sabauda e la Santa Sede, unendo anche in questo ambito, oltre che nell’assistenza ai monasteri, la sua opera a quella di p. Valfré. Le virtù dell’abate Caroccio ebbero eco a Roma e il beato Innocenzo XI, conferendo al Principe Eugenio di Savoia l’investitura dell’Abbadia di S. Michele della Chiusa, lo volle perpetuo vicario generale della giurisdizione. Fu anche abate di Santa Maria Maggiore di Susa e gli furono offerti i vescovadi di Saluzzo e Vercelli, che ricusò per umiltà. Dovette accettare invece l’incarico di confessore della Duchessa Anna d’Orleans, moglie di Vittorio Amedeo II, e ne formò un’anima di grande levatura.
Nel 1689, essendo vacante la sede metropolitana di Torino per la morte dell’arcivescovo Michele Beggiamo, fu eletto Vicario Capitolare. Nella lunga vacanza della cattedra arcivescovile, causata dai citati contrasti tra i Savoia e Roma, l’abate Caroccio si impegnò in una severa campagna moralizzatrice del clero, diminuendo ai confessori, tra i primi necessari provvedimenti, alcune facoltà concesse dall’arcivescovo defunto. P. Sebastiano, che ne era ampiamente fornito, pregò l’abate di comunicargli liberamente le nuove disposizioni, pronto ad accettare ogni sua prudente decisione. In risposta il Caroccio gli indirizzò questo scritto:
M. R. Padre P.ron mio Colendissimo
Non ho potuto a viva voce esprimere a V. P. M. Reverenda la confusione, che mi ha con la sua lettera apportato: se quando non avea, che una piccola particella di facoltà, tutta l’ho infusa, per quanto potei nella sua persona, sapendo, che con simile partecipazione ne riceverò benedizione, ora, che più ne ho, vorrà, che io ristringa (io che le vivo, quale sa) quello, che gli altri gli hanno accordato? Vegga, dove la posso più estendere, e mi avvisi, che con ogni ampiezza v’accorrerò, né tampoco desidero vedere come mi scrive, quali sieno le sue facoltà, bastandomi solo di rimirare quanto senza merito è in me per dire che sia suo, e con tutta la maggiore sincerità, ed ossequio le vivo. Torino,12 dicembre 1689
Devotissimo ed obbligatissimo servitore Ignazio Caroccio
Valente direttore d’anime, uomo di grande preghiera, austero penitente, si ritirava, quando poteva, nella solitudine dell’eremo di Pecetto, soggiornandovi, come il Valfré, almeno una volta l’anno.
La sua ammirazione per P. Sebastiano lo portò più volte al capezzale dell’anziano padre: «Tra gli altri personaggi cospicui, che lo visitavano nella malattia, veniva più volte onorato dall’Abate Ignazio Carroccio Proposto della Chiesa Metropolitana, uomo venerato da tutta la città per le sue preclare virtù. Andava questi animandolo alla confidenza nella divina bontà, ed esortandolo a rassegnarsi al voler di Dio per ricever di buon grado la morte; ma egli che già da lungo tempo non avea altro desiderio, che di conseguire il suo ultimo fine, non seppe celare il suo interno ad una persona tanto a lui confidente e di rare virtù ornata; dissegli adunque ingenuamente così: Sappia Signor Proposto, che non ho mai avuto attacco a cosa alcuna di questo mondo: perciò non mi rincresce separarmene».
L’abate Caroccio spirò il 3 aprile 1716 e venne sepolto nella cattedrale di Torino dove fu posto a ricordo un suo busto. Una statua gli fu dedicata nell’Ospedale di San Giovanni.
Autore: Daniele Bolognini
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