Lehfed, Libano, marzo 1889 - 30 agosto 1938
Stefano Nehmé era un monaco converso, umile, riservato, intento a compiere la volontà di Dio attraverso l'osservanza della regola, pieno di spirito di abnegazione. Era sempre disponibile, caritatevole e pacificatore. Fu capace di intessere un buon rapporto con gli operai alle sue dipendenze, godendo allo stesso tempo della fiducia illimitata dei suoi superiori. Nacque a Lehfed, nella regione di Jbeil in Libano, nel marzo 1889. Due anni dopo la morte del padre, avvenuta nel 1903, chiese di entrare nell'ordine libanese maronita. Venne accolto nel noviziato nel convento dei santi Cipriano e Giustino a Kfifane, nonostante avesse solo 16 anni. Emise la professione solenne il 23 agosto 1907. Svolse mansioni di falegname, muratore e si occupò del lavoro nei campi. Venne trasferito in vari conventi dell'ordine, lasciando ovunque una testimonianza di fedeltà alla chiamata di Dio, di impegno ascetico, di preghiera continua. Sua caratteristica era di fare ogni cosa alla presenza di Dio. A questo proposito, ripeteva spesso: "Dio mi vede". Morì il 30 agosto 1938 al termine di una giornata di intenso lavoro nei campi. E' stato beatificato il 27 giugno 2010.
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Yūsuf Nehmé nacque l'8 marzo 1889 nel villaggio di Lehfed (regione di Jibeil, Libano), quarto di sei figli di una famiglia di tradizione maronita profondamente religiosa. Fu battezzato il 15 marzo dello stesso anno. Ricevette la prima educazione spirituale e culturale sia in famiglia che presso la chiesa del villaggio. Fin dall’infanzia manifestò una predilezione per la solitudine e il raccoglimento; nell’adolescenza si evidenziò in lui un intenso spirito di preghiera e di meditazione, viva espressione del suo amore verso Dio e del suo tenero affetto per la Vergine Maria. Impegnato nel lavoro dei campi e nel pascolo del bestiame, il contatto con il ritmo pacato e uniforme della natura costituì per lui quasi un eremitaggio, un preludio a quello che sarebbe stato il suo futuro orientamento vocazionale. A volte, intrattenendosi con gli amici, raccontava loro le vite dei santi e, con l’esempio e la parola, li esortava all’obbedienza verso i genitori e i fratelli maggiori. Costante e fruttuosa era la sua partecipazione all’Eucaristia e alla preghiera mariana del rosario. Alto e robusto fisicamente, andava maturando una personalità caratterizzata da intelligenza vivace e da un senso di prudenza, ponderazione e saggezza, coerente espressione della sua libertà interiore. All’età di sedici anni, vincendo una certa contrarietà familiare, Giuseppe entrò come novizio dell’Ordine Libanese Maronita nel convento dei ss. Cipriano e Giustina a Kfifane: qui assunse il nome di Stefano. Nel cammino spirituale monastico il Servo di Dio trovò la piena realizzazione del progetto del Signore e dellesua personali attese. Fu esempio vivente di sincera obbedienza, autentica povertà, gioiosa castità, spirito di mortificazione e di ascetismo. Perspicace e disponibile verso tutti, diffondeva intorno a sé serenità e affetto; la sua amabilità lo rendeva bene accetto e la sua premurosa vigilanza lo metteva in grado di prevenire tensioni e difficoltà nella comunità religiosa. Sentiva molto il legame con i confratelli, soprattutto con quelli più anziani o ammalati, e riusciva ad instaurare buoni rapporti con tutti, cercando sempre la pace e la riconciliazione nella verità, nella sincerità e nella gentilezza. Rimase per tutta la vita fratello coadiutore e, per umiltà e desiderio di nascondimento, non volle ricevere il ministero ordinato, pur essendone riconosciuto idoneo dai superiori per le sue capacità spirituali e intellettuali. Nei vari conventi dell’Ordine dove fu di volta in volta trasferito, si impegnò a fondo nel lavoro manuale che gli competeva: successivamente, e spesso contemporaneamente, fu falegname e contadino, giardiniere e muratore; ma in ogni circostanza si manifestò dinamico e sorridente, in piena armonia con tutte le creature che spiritualmente abbracciava in un costante atteggiamento di amore universale. La sorgente della sua spiritualità può essere identificata nella consapevolezza di vivere alla presenza di Dio, un Padre buono e accogliente, alla cui benevolenza si abbandonava con docilità e fiducia. «Dio mi vede! Dio mi vede!», amava ripetere a se stesso e agli altri. Questa totale immersione nell’amore di Dio faceva di lui, nella semplicità della vita quotidiana, un autentico contemplativo. La Prima Guerra Mondiale, con il suo carico di lutti e di lacerazioni, produsse un effetto destabilizzante anche sul Libano. I conventi si aprirono per aiutare quanti erano stati provati dagli eventi bellici. Nella sua comunità il Servo di Dio, con il suo carattere austero e modesto, si impegnò silenziosamente e concretamente a favore dei poveri e dei sinistrati, animato sempre da un grande spirito di servizio e da un forte senso della giustizia. Dopo la guerra fu incaricato dai superiori di dirimere delle questioni concernenti la vita e i beni di alcuni conventi: anche in questo frangente egli svolse il suo compito con perizia e avvedutezza, giungendo in breve tempo ad una equilibrata soluzione dei problemi. In ogni circostanza si mostrò «un vero monaco», modello perfetto di vita cristiana vissuta in letizia e generosità. Qualche leggero sintomo di malattia reumatica si era evidenziato nel corso degli anni. La sua morte tuttavia fu causata da un’insolazione che, inizialmente sottovalutata, era degenerata in un acuto stato febbricitante; infine sopravvenne un’emorragia cerebrale. Si addormentò nel Signore il 30 agosto 1938.
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